tag:blogger.com,1999:blog-83766077434404802772024-03-13T13:33:46.012+01:00Diritto del lavoroDiritto del lavoro: Sentenze, formulari, massime e leggi relative al diritto del lavoroUnknownnoreply@blogger.comBlogger957125tag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-49932073904846396732024-02-11T19:42:00.005+01:002024-02-11T19:42:48.704+01:00pagamento TFR<p>Sentenza Tribunale Napoli sez. lav., 04/10/2023, (ud. 04/10/2023, dep. 04/10/2023), n.5687</p><p>Fatto</p><p>RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE</p><p>ex artt. 132 e 429 c.p.c. lette in udienza</p><p><br /></p><p>OGGETTO: pagamento TFR</p><p><br /></p><p>Con ricorso depositato in data 11.05.2022 l'epigrafato ricorrente ha convenuto in giudizio l'INPS e il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta, in liquidazione, rassegnando le seguenti conclusioni “1) Voglia l'Adito Giudicante accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a percepire la quota di TFS/TFR con decorrenza dal 18.10.2001 fino alla data di risoluzione del rapporto di lavoro avvenuta il 06.07.2019, e/o dalla diversa data ritenuta di giustizia, in ragione della quantità e qualità della prestazione offerta e, comunque, per i titoli e le causali di fatto e di diritto indicate attraverso il presente ricorso;</p><p><br /></p><p>2) accertare e dichiarare l'avvenuta omissione contributiva previdenziale perpetrata dal Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta con tutte le conseguenze di legge; 3) condannare l'Istituto Nazionale Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona del rappresentante legale pro tempore (C. F. (omissis)) al pagamento in favore del sig. Es. Ge. della suddetta quota, pari ad € 35.767,36 per le causali analiticamente indicate negli allegati conteggi, parte integrante del presente ricorso, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali o a quella minore o maggiore somma ritenuta di giustizia; 4) condannare i resistenti, in persona del legale rapp.te pro tempore alle spese del presente procedimento in favore dei costituiti procuratori per anticipazione fattane”.</p><p><br /></p><p>A sostegno delle domande formulate, il ricorrente ha dedotto di avere lavorato per il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta dal 18.10.2001 fino alla data di risoluzione del rapporto avvenuta il 06.07.2019, allorquando è stato assunto dalla società SAP.NA S.p.A; di non avere ricevuto il trattamento di fine servizio e/o il trattamento di fine rapporto; che il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta è un ente pubblico non economico istituito con l'art. 11, comma 8, del d.l. n. 90/2008, a seguito dell'accorpamento dei Consorzi di bacino delle province di Napoli e di Caserta; che il suddetto ente è stato posto in liquidazione ex legge n. 26/2010 con conferimento al soggetto liquidatore dei più ampi poteri per la gestione dei debiti dal 2010 a tutt' oggi; di avere inoltrato all'Inps in data 1.3.2021 formale richiesta di accesso ai documenti amministrativi, chiedendo all'Istituto lo stato di avanzamento della pratica, di prendere visione di eventuali documenti o pareri prodotti dall'ufficio destinatario della missiva e di poter accedere ai documenti amministrativi al fine di ottenere chiarimenti in merito al procedimento di liquidazione e alle modalità del versamento della somma relativa al Trattamento di Fine Rapporto spettante; che l'INPS, in data 9.3.2021, ha rigettato la richiesta in forza di un riferimento a leggi speciali che disciplinerebbero le indennità di fine servizio e di fine rapporto spettanti ai dipendenti pubblici, le quali derogherebbero al principio sancito dall'art. 2116 c.c. e in ragione della segnalazione riguardante la totale assenza del versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro; che il Consorzio, il 26.11.2019, ha inviato all'INPS il modello TFR1 riferito al ricorrente, concernente il prospetto di liquidazione del TFR/TFS propedeutico all'erogazione della prestazione; che è spirato il termine previsto dall'art. 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 e s.m.i. per il differimento dell'erogazione della prestazione richiesta, ossia i 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta in data 06.07.2019. Il ricorrente ha prospettato la legittimazione passiva dell'INPS, competente alla liquidazione della somma di TFS/TFR; ha confutato le ragioni impeditive della liquidazione addotte dall'INPS e ha concluso nei termini trascritti.</p><p><br /></p><p>Il Consorzio Unico di Bacino ha eccepito la nullità del ricorso ed il proprio difetto di legittimazione passiva.</p><p><br /></p><p>L'Inps, costituitosi tardivamente con memoria del 16.1.2023 (rispetto all'udienza del 18.1.23 per la quale è stata rinnovata la notifica), ha eccepito l'improponibilità e l'infondatezza della domanda.</p><p><br /></p><p>Alla seconda udienza del 18.1.2023 il Consorzio ha, poi, eccepito l'incompetenza territoriale del giudice adito.</p><p><br /></p><p>Il Giudice, all'odierna udienza, ha pronunciato sentenza con motivazione contestuale.</p><p><br /></p><p>In via preliminare, va rilevata la inammissibilità dell'eccezione di incompetenza per territorio, sollevata dal Consorzio tardivamente alla seconda udienza del 18.1.2023.</p><p><br /></p><p>Va, altresì, respinta l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo, atteso che dalla lettura complessiva dello stesso è dato evincere con chiarezza il petitum oltre che la causa petendi dell'azione.</p><p><br /></p><p>Parimenti va respinta l'eccezione di improponibilità della domanda, atteso che il TFR è corrisposto d'ufficio, il modello TFR1 è stato compilato dal datore e inviato all'Inps il 26.11.2019 e l'istante ha sollecitato il pagamento con missiva del 29.3.2021.</p><p><br /></p><p>Nel merito, il ricorso è fondato nei termini di seguito enunciati.</p><p><br /></p><p>In via preliminare, può senz'altro affermarsi la natura di ente pubblico non economico del Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli e Caserta. La circostanza, oltre a non essere, nella sostanza, neppure in contestazione tra le parti, risulta, come già affermato da consolidata giurisprudenza, dalla normativa di riferimento.</p><p><br /></p><p>Il consorzio unico è, invero, stato costituito ai sensi del D.L. 90/2008, convertito L. 123/2008, che ha disposto la riunione dei disciolti consorzi di bacino delle Province di Napoli e Caserta, istituiti con L. Regione Campania n. 4/1993. La disciplina generale si rinviene nelle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri ed in particolare nell'ordinanza n. 3686 del 01/07/08. Ai sensi, poi, dell'art. 3 dello Statuto, il Consorzio Unico di Bacino è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia imprenditoriale ed è disciplinato dalle norme del D.Lgs. 267/2000, contenente il Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti Locali (v. anche nota dell'Ufficio Normativo e Contenzioso della Direzione Centrale dell'ex Inpdap del 5-12-2008).</p><p><br /></p><p>Tale normativa consente, senza ragionevoli dubbi, di affermare la natura del Consorzio quale ente strumentale dei comuni associati, munito di personalità giuridica e di un proprio statuto, cui si applicano le stesse norme previste per gli enti locali.</p><p><br /></p><p>Tanto premesso, alla liquidazione del trattamento di fine servizio/rapporto, è preposto l'INPS, la cui legittimazione passiva non è in contestazione.</p><p><br /></p><p>L'istituto previdenziale al fine di sottrarsi all'obbligo a suo carico ha opposto, quale fatto impeditivo, il mancato versamento della contribuzione da parte del Consorzio (circostanza pacifica in giudizio) e l'inapplicabilità dell'art. 2116 c.c. per cui, in ragione di tale omissione, esso non sarebbe tenuto all'erogazione del credito preteso.</p><p><br /></p><p>La tesi dell'INPS è destituita di fondamento.</p><p><br /></p><p>Il tfr per i dipendenti pubblici è un contributo corrisposto al dipendente nel momento in cui termina il rapporto di lavoro. L'importo è determinato dall'accantonamento, per ogni anno di servizio, di una quota della retribuzione annua e dalle relative rivalutazioni.</p><p><br /></p><p>Ed invero, come correttamente argomentato da altri Giudici di merito e in particolare dalla dott.ssa Picciotti nella sentenza n. 2652/2023 pubbl. il 19/04/2023 in prod. (cui si presta adesione ex art. 118 disp.att. c.p.c.):</p><p><br /></p><p>“giova l'insegnamento della Suprema Corte (v. Cass. n. 27427 dell'1-12-2020) per il quale, acclarata la natura previdenziale dell'indennità premio servizio (Cass., S.U., 30 maggio 2005, n. 11329; Cass. 17 maggio 2019, n. 13433 e Cass. 18 marzo 2019, n. 7608), avvalorata dal combinarsi del far carico della prestazione ad un ente terzo, sulla base di contribuzione espressamente indicata come «previdenziale» dall'art. 11 L. 152/1968 ed a carico anche del lavoratore, va ravvisato nella regola di automaticità delle prestazioni, di cui all'art. 2116 c.c., il fondamento dell'indifferenza del lavoratore rispetto all'effettivo versamento dei contributi per il sorgere del diritto consequenziale, allorquando sussistano i restanti presupposti di legge previsti per il riconoscimento del beneficio.</p><p><br /></p><p>Ciò posto -secondo la Suprema Corte- è inevitabile prendere le mosse da Corte Costituzionale 5 dicembre 1997, n. 374 la quale, seppur nel contesto di una sentenza di rigetto, ha chiarito come il «principio di "automaticità delle prestazioni", con riguardo ai sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, trova applicazione non già, come afferma il remittente, "solo in quanto il sistema delle leggi speciali vi si adegui", ma - come si esprime l'art. 2116 c.c.. - "salvo diverse disposizioni delle leggi speciali": il che significa che potrebbe ritenersi sussistente una deroga rispetto ad esso solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso».</p><p><br /></p><p>«Detto principio» - prosegue ancora la Consulta - «costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, e rappresenta perciò un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti».</p><p><br /></p><p>La giurisprudenza della Suprema Corte si è prontamente collocata in scia a tale ricostruzione del sistema, affermando anch'essa che «il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali, di cui all'art. 2116 c.c., così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 374 del 1997, trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale rispetto alla quale possono esserci deroghe solo se previste espressamente dal legislatore» (Cass. 2 febbraio 2001, n. 1460 ed altre successive, tra cui Cass. 14 giugno 2007, n. 13874). Fino ad affermare, con la più Cass. 22 giugno 2017, n. 15589 in tema di prestazioni del Fondo di Garanzia contro l'insolvenza, che solo in presenza di una previsione espressa che limiti il principio di automaticità, il diritto del lavoratore potrebbe restare condizionato non solo all'effettivo adempimento dell'obbligazione contributiva da parte del datore di lavoro, ma anche alla mancata prescrizione della stessa.</p><p><br /></p><p>Pertanto, dato per principio quello dell'automaticità, esso è limitato dall'intervenuta prescrizione del diritto dell'ente erogatore alla riscossione dei contributi (c.d. automaticità parziale) solo in quanto vi sia una norma che disponga in tal senso.</p><p><br /></p><p>Norma che esiste per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti (v. art. 27, co. 2, R.D.L. 636/1939), ma che non è contenuta nella disciplina dell'indennità premio servizio.</p><p><br /></p><p>In sostanza, pur se vi sia stata prescrizione del diritto dell'ente alla percezione della contribuzione, il fondamento solidaristico sotteso all'art. 2116 c.c. fa sì che, allorquando, come nel lavoro dipendente, la contribuzione stessa doveva essere versata dal datore di lavoro anche per la quota a carico del lavoratore, l'inadempimento non possa comportare pregiudizio per il lavoratore dipendente (mentre il principio di automaticità di regola non opera nel caso di lavoratori autonomi che siano obbligati a versare direttamente la propria contribuzione: v. Cass. 24 marzo 2005, n. 6340), se la legge non lo preveda.</p><p><br /></p><p>In applicazione dei principi espressi, nella fattispecie in esame, mancando una norma che espressamente deroghi all'art. 2116 c.c., è irrilevante l'omissione contributiva - e parimenti la prescrizione dei contributi omessi- ai fini del diritto del lavoratore al pagamento da parte dell'Inps del credito maturato alla cessazione del rapporto” (cfr. sent. Picciotti).</p><p><br /></p><p>Quanto alla prescrizione va per completezza rilevato che l'art. 3, comma 10-bis, L 335/1995 vigente dispone che: “Per le gestioni previdenziali esclusive e per i fondi per i trattamenti di previdenza, i trattamenti di fine rapporto e i trattamenti di fine servizio amministrati dall'INPS cui sono iscritti i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i termini di prescrizione di cui ai commi 9 e 10, riferiti agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria afferenti ai periodi di competenza fino al ((31 dicembre 2018)), non si applicano fino al ((31 dicembre 2023)), fatti salvi gli effetti di provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato nonche' il diritto all'integrale trattamento pensionistico del lavoratore”.</p><p><br /></p><p>Lo stesso Inps ha rilevato l'applicabilità del disposto di cui all'art. 9, comma 4, DL 30 dicembre 2021, n. 228 convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15 , per cui - nella formulazione vigente “Le disposizioni di cui ai commi 8 e 9 dell'articolo 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, non si applicano fino al ((31 dicembre 2023)) agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria di cui al comma 10-bis dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dal comma 3 del presente articolo, e al comma 10-ter del medesimo articolo 3 della legge n. 335 del 1995, introdotto dal comma 3 del presente articolo. Non si fa luogo a rimborso di quanto già versato”.</p><p><br /></p><p>Non è, dunque, maturata la prescrizione (rilevabile d'ufficio), nemmeno eccepita dall'Inps.</p><p><br /></p><p>Ne consegue il diritto del ricorrente a percepire dall'Inps la somma lorda di 35.767,36, non specificamente contestata. Sulla sorta sono dovuti i soli interessi legali ex art. 16, 6° comma legge 412/91 che decorrono ex art. 3, comma 2, DL 79/1997 dalla scadenza del terzo mese successivo ai 24 mesi dalla cessazione del rapporto al saldo. Segue la condanna dell'Inps al relativo pagamento.</p><p><br /></p><p>Va, poi, dichiarata l'inammissibilità della domanda di accertamento dell'omissione contributiva a carico del Consorzio Unico convenuto, trattandosi di circostanza preesistente all'instaurazione del giudizio e del tutto pacifica tra le parti.</p><p><br /></p><p>Quanto alla domanda di condanna del Consorzio all'adeguamento contributivo, formulata dal ricorrente nelle note del 10.5.23, la stessa è inammissibile perché tardiva.</p><p><br /></p><p>Va, infine, dichiarata l'inammissibilità della domanda dell'Inps relativa alla condanna del Consorzio datore di lavoro, nei limiti della prescrizione, al versamento dei contributi e alle sanzioni previste per legge: la domanda è stata, infatti, esplicitata nella memoria difensiva tardivamente depositata.</p><p><br /></p><p>10</p><p><br /></p><p>Le spese del giudizio vanno compensate nella misura della metà per la complessità della questione, con condanna dell'INPS al pagamento del residuo nella misura liquidata in dispositivo.</p><p><br /></p><p>Le spese vanno, poi, interamente compensate nei confronti del Consorzio Unico in ragione della riscontrata mancanza di res controversa sulla domanda di accertamento dell'omissione contributiva.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>P.Q.M.</p><p>Il Tribunale di NAPOLI, in funzione di giudice del lavoro, in persona della d.ssa Monica Galante, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:</p><p><br /></p><p>dichiara il diritto del ricorrente a percepire dall'Inps la somma lorda di 35.767,36, oltre interessi legali dalla scadenza del terzo mese successivo ai 24 mesi dalla cessazione del rapporto al saldo;</p><p><br /></p><p>condanna l'Inps al pagamento delle somme e degli accessori di cui al precedente capo; dichiara inammissibile la domanda del ricorrente e dell'Inps contro il Consorzio;</p><p><br /></p><p>compensa le spese di lite nella misura della metà e condanna l'Inps al pagamento del residuo che si liquida in € 1.900,00, oltre spese forfettarie, IVA e cpa, con attribuzione agli avv.ti antistatari di parte ricorrente in solido;</p><p><br /></p><p>compensa le spese di lite con il Consorzio.</p><p><br /></p><p>NAPOLI, 04.10.2023</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-9573053542406319902024-02-11T19:37:00.002+01:002024-02-11T19:37:48.744+01:00Riders riconosciuta tutela previdenziale<p> </p><p><br /></p><p>Sentenza Tribunale Milano, 19/10/2023, n.3237</p><p><br /></p><p><br /></p><p><br /></p><p>Fatto</p><p>SVOLGIMENTO DEL PROCESSO</p><p><br /></p><p>Con un ricorso al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, depositato in data 12.8.2021, la D SRL ha chiamato in giudizio l'INPS, l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI MILANO-LODI e l'INAIL e ha allegato come avrebbe ricevuto in data 24 febbraio 2021 un primo Verbale unico di accertamento n. 264 - 283 - 261 del 23/02/2021 (prot. ITL n° (omissis) del 23/02/2021-prot. INPS. (omissis)-prot. INAIL n° (omissis)), a cui sarebbero stati, poi, ricollegati due verbali dispositivi, all'esito di una ispezione cominciata nel luglio del 2019 e relativa ai rapporti con i riders.</p><p><br /></p><p>Successivamente, in data 8 aprile 2021, sarebbe stato notificato alla stessa un secondo Verbale di accertamento, contenente una diffida ad adempiere al pagamento di Euro 68.160.875,05 per presunti omessi contributi previdenziali per il periodo tra il 01/01/2016 e il 31/10/2020.</p><p><br /></p><p>Quest'ultimo discenderebbe dall'attività ispettiva e dalle conclusioni del primo verbale, notificato il 24 febbraio 2021 e che sarebbe viziato per la sua genericità e per la assenza dei requisiti di legge e in quanto la descrizione dell'attività societaria e dell'attività dei riders non sarebbe illustrata in termini corretti con, poi, un'errata applicazione dell'art. 2 del D.lgs. n. 81/2015.</p><p><br /></p><p>Gli ispettori, inoltre, avrebbero disposto, anche per prestazioni di carattere occasionale dei singoli corrieri, l'applicazione di un rapporto a tempo pieno di tipo subordinato, senza distinzioni.</p><p><br /></p><p>Infatti, il secondo verbale di accertamento avrebbe effettuato un errato calcolo dei contributi, tenendo conto di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno per ogni lavoratore e non delle prestazioni di lavoro effettivo e avrebbe posto quale parametro l'applicazione di un contratto collettivo diverso da quello indicato nel primo verbale di accertamento.</p><p><br /></p><p>Quindi, la parte ha sottolineato come ogni onere della prova incomberebbe sugli enti e non sulla stessa.</p><p><br /></p><p>Poi, ha eccepito la prescrizione quinquennale, rilevando come il primo Verbale, notificato in data 24 febbraio 2021, sarebbe inidoneo a interromperla.</p><p><br /></p><p>Infatti, il primo atto idoneo a tal fine sarebbe il secondo Verbale, notificato in data 8 aprile 2021: da tale data, allora, andrebbe computata, a ritroso, la prescrizione maturata per i periodi anteriori al 8 aprile 2016.</p><p><br /></p><p>Inoltre, i verbali ispettivi non sarebbero congruamente motivati ai sensi della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 13, co. 4, del D.lgs. n. 124/2004.</p><p><br /></p><p>Quindi, la opponente ha proceduto a descrivere la propria attività, specificando come passerebbe interamente dalla piattaforma e dall'applicazione («app») omonima che fornirebbe al pubblico la possibilità di ordinare cibo, ai ristoratori di promuovere e vendere i propri prodotti, ai collaboratori la possibilità di offrire o meno la propria prestazione per il trasporto di pasti.</p><p><br /></p><p>L'opera del rider sarebbe, infatti, meramente eventuale, non esistendo alcuna obbligazione continuativa di fare.</p><p><br /></p><p>Il rider potrebbe accedere alla piattaforma (loggarsi) e fornire o meno una prestazione, quando ritenga, senza che la declinazione anche totale dei servizi proposti abbia conseguenze. Ugualmente, la D SRL non avrebbe potuto domandare prestazioni ai singoli lavoratori.</p><p><br /></p><p>In più, a partire dal 2 novembre 2020, i riders attivi avrebbero firmato un nuovo e diverso contratto di lavoro autonomo, con diversi termini e condizioni e il sistema di prenotazione degli slot, cui si fa riferimento nel Primo verbale («SSB») non esisterebbe più.</p><p><br /></p><p>Nel descrivere l'attività del collaboratore, poi, la società ha specificato che ciascun rider firmerebbe un contratto con la società, dove sarebbero chiaramente descritti i termini e le condizioni applicabili alle eventuali attività che dovessero essere di volta in volta concordate, riceverebbe delle credenziali (login e password) per accedere all'applicazione (App) scaricata sul proprio smartphone. Poi, solo attraverso quest'ultima sarebbe offerta la consegna e potrebbe essere accettata dal corriere.</p><p><br /></p><p>Peraltro, circa il 10% dei riders che avrebbero firmato il contratto non avrebbe effettuato nemmeno un servizio.</p><p><br /></p><p>Vi sarebbe la libertà per i collaboratori di lavorare pure per altri committenti.</p><p><br /></p><p>Anche dopo la prenotazione di uno slot di consegna, ciascun corriere manterrebbe la facoltà di consegnare o non nell'ambito dello stesso.</p><p><br /></p><p>Peraltro, le prenotazioni degli slot sarebbero avvenute una volta alla settimana, al lunedì, e poi non più fino al lunedì successivo.</p><p><br /></p><p>Non ci sarebbe, poi stata mai una classifica (punteggio, ranking) relativa alla qualità del servizio o all'effettuazione di consegne.</p><p><br /></p><p>Il rider, dunque, contrariamente a quanto affermato nel primo Verbale, deciderebbe non solo quando e se fornire l'opera, ma anche, ogni volta, dove e quando effettuarla, secondo la sua unica determinazione, non esistendo da parte della D SRL alcuna imposizione su tempi e luoghi.</p><p><br /></p><p>Una volta accettata la consegna, il rider potrebbe eseguirla con libertà, senza alcuna direttiva, alcuna indicazione di sorta, nemmeno in merito alle tempistiche in cui effettuarla.</p><p><br /></p><p>Inoltre, sceglierebbe liberamente il tragitto da effettuarsi per l'esecuzione dell'incarico ricevuto, non ricevendo neppure istruzioni sulle modalità di svolgimento del trasporto. Non gli sarebbe neppure imposto l'uso della attrezzatura della opponente.</p><p><br /></p><p>Non corrisponderebbe, poi, al vero, l'affermazione del verbale per cui l'algoritmo del'app «secondo cadenze prestabilite determina per ciascun giorno e in maniera diversificata in base alla fascia oraria il numero di rider congruo per garantire il servizio di consegna».</p><p><br /></p><p>Quanto ai dati numerici, inoltre, la stessa parte ha sottolineato che nell'elenco di cui al primo verbale ci sarebbero 19.000 riders, ma di questi circa 9.000 sarebbero già non più in rapporto con la medesima, con un bacino che si ridurrebbe, dunque, a circa 10.000 persone.</p><p><br /></p><p>Di questi, circa 1700 (il 17% circa) non avrebbero effettuato alcuna consegna da un anno (1° luglio 2020 - 30 giugno 2021), pur permanendo rider nella relazione giuridica con la opponente.</p><p><br /></p><p>Quindi, rimarrebbero circa 8.300 rider dell'elenco, dei quali, nel 2020, solo 2324 avrebbero effettuato un numero pari o superiore a 1000 consegne.</p><p><br /></p><p>Sulla sussistenza di un “ranking”, in relazione al «SSB» (Self-Service Booking), la parte ha precisato come tali statistiche non avrebbero più alcuna rilevanza in merito alla prenotazione degli slot, essendo stato introdotto dalla società un sistema di free log-in a partire dal 2 novembre 2020 in base al quale, indipendentemente dai punteggi statistici, ciascun rider - oltre a poter lavorare liberamente, se e quando voglia, senza alcuna prenotazione (come prima del 2 novembre) - potrebbe acquisire qualsiasi slot in qualsiasi momento al pari di tutti gli altri rider senza alcuna distinzione.</p><p><br /></p><p>Ad ogni modo, tale sistema sarebbe stato basato su due indici, quello di affidabilità e quello di partecipazione nei picchi e i riders sarebbero stati costantemente informati delle statistiche stesse.</p><p><br /></p><p>I valori dei due indici sarebbero stati determinati, rispettivamente:</p><p><br /></p><p>- dal numero delle occasioni in cui il rider, pur avendo prenotato una sessione, non abbia partecipato, dove «partecipare» significherebbe solamente essere loggato per almeno un secondo nei primi 15 minuti della sessione (indice di affidabilità).</p><p><br /></p><p>- dal numero di volte in cui ci si renderebbe disponibili (essendo online per 1 secondo) per gli orari (20-22 dal venerdì alla domenica) più rilevanti per il consumo di cibo a domicilio (indice di partecipazione nei picchi).</p><p><br /></p><p>In ogni caso, tali indici sarebbero funzionali solo alla prenotazione della prestazione successiva (a partire dalle ore 11:00 del lunedì, a partire dalle ore 15:00 oppure a partire dalle ore 17:00 dello stesso giorno).</p><p><br /></p><p>Quindi, la parte ha descritto l'attività di alcuni lavoratori a livello esemplificativo.</p><p><br /></p><p>Non sarebbe, poi, corretta l'affermazione degli ispettori per cui esisterebbe una piattaforma digitale che «gestisce e dirige la prestazione» dei riders e che costoro sarebbero inseriti in una organizzazione imprenditoriale di mezzi materiali e immateriali <<riconducibili alla società proprietaria della piattaforma».</p><p><br /></p><p>Sarebbero, inoltre, legittime le soglie di reddito per il lavoro occasionale, sotto le quali è possibile svolgere attività autonoma senza partita IVA.</p><p><br /></p><p>Ancora, sarebbe inesatta la tesi per cui il corriere non potrebbe accedere a uno slot, se non nell'area geografica stabilita dall'applicativo, perché sarebbe il medesimo ad indicare il tempo e il luogo in cui intenda rendersi disponibile alla ricezione di proposte e non viceversa.</p><p><br /></p><p>In più, per poter essere ammesso a rendere una prestazione, il rider non dovrebbe necessariamente prenotare uno slot (fascia oraria), perché potrebbe, comunque, anche loggarsi per ricevere proposte senza aver effettuato alcuna previa prenotazione.</p><p><br /></p><p>Ancora, la difesa della parte ha sottolineato che l'accertamento da cui deriverebbe il Verbale avrebbe interessato un intero settore, il cd. Food Delivery su piattaforma, e la descrizione dei rapporti della D SRL nel medesimo atto conterrebbe elementi totalmente estranei al modello della società, forse provenienti da altre piattaforme.</p><p><br /></p><p>Inoltre, non sarebbe dato comprendere in base a quale norma o valutazione in fatto gli ispettori avrebbero disposto l'applicazione del CCNL del settore «Logistica», posto che la società applicherebbe ai propri dipendenti il CCNL Terziario.</p><p><br /></p><p>A ciò deve aggiungersi che la società non sarebbe iscritta ad alcuna delle associazioni datoriali firmatarie del CCNL Logistica, ma alla Assodelivery, che avrebbe sottoscritto, il 15 settembre 2020, uno specifico negozio per il settore.</p><p><br /></p><p>Inoltre, gli ispettori avrebbero omesso di considerare l'accordo integrativo del CCNL Logistica del 18 luglio 2018.</p><p><br /></p><p>In più, sarebbero errati i conteggi, perché l'INPS avrebbe utilizzato una base di calcolo concettualmente e tecnicamente errata, senza valutare in alcun modo come il tempo di lavoro possa essersi sostanziato nelle prestazioni dei riders, limitandosi ad eseguire i calcoli dei contributi come se ciascuno fosse un lavoratore subordinato a tempo pieno, tenendo a riferimento sempre la stessa retribuzione giornaliera a partire dall'anno 2016 e fino al 2020 per un V livello del CCNL Logistica, con, però, un'aliquota concettualmente e tecnicamente errata perché relativa al settore Terziario.</p><p><br /></p><p>Non sarebbe, poi, corretta l'affermazione per cui ogni rapporto di lavoro integrerebbe una collaborazione eterorganizzata con conseguente applicazione dell'art. 2 del d.lgs. 81/2015 e quindi di tutta la disciplina del lavoro subordinato.</p><p><br /></p><p>Tale norma non sarebbe, infatti, applicabile, in quanto la prestazione non avrebbe natura prevalentemente personale e difetterebbe del requisito della continuatività, nonché di quello dell'eterorganizzazione.</p><p><br /></p><p>Gli enti, peraltro, non avrebbero considerato la possibile applicazione degli articoli 47 bis e seguenti del medesimo decreto delegato.</p><p><br /></p><p>Ad ogni modo, per ciò che concerne la richiesta di fornire dispositivi di protezione individuale, la società avrebbe sempre adempiuto ai propri obblighi in materia, mettendo a disposizione gratuita un kit per la consegna di cibo e bevande conforme alla legge, ferma restando la possibilità per i riders di usare l'equipaggiamento che ritenessero purché conforme alla normativa vigente.</p><p><br /></p><p>In ogni caso, si dovrebbe sostenere solo una estensione parziale delle tutele del lavoro subordinato in caso di applicazione dell'art. 2 del D.lgs. n. 81/2015, risultando diverse norme in materia di subordinazione incompatibili con la fattispecie.</p><p><br /></p><p>Peraltro, la stessa previsione non sarebbe da applicarsi per i rapporti previdenziali e, in più, correttamente la società collocherebbe le relazioni giuridiche di cui si tratta nell'ambito della Gestione Separata Inps e non in quella dei Lavoratori Dipendenti.</p><p><br /></p><p>Sulla base di tali argomentazioni, perciò, la D SRL ha domandato, nelle conclusioni, che, accertata l'irregolarità e/o l'infondatezza e/o insufficienza e/o illegittimità dell'accertamento e/o dei verbali stessi, anche singolarmente considerati, si venisse a dichiarare l'archiviazione e/o l'annullamento e/o la revoca e/o l'inefficacia e/o, in via subordinata, la rettifica dei provvedimenti: verbale unico di accertamento e notificazione n. (omissis) del 23 febbraio 2021, verbale di disposizione n. (omissis) del 23 febbraio 2021 n. prot. (omissis), verbale di disposizione n. (omissis)del 23 febbraio 2021 n. prot. (omissis), verbale unico di accertamento e notificazione n. (omissis)/DDL del 8 aprile 2021. Con vittoria di spese di lite.</p><p><br /></p><p>Costituendosi con articolata memoria difensiva, ciascuna convenuta ha contestato, in fatto e in diritto, le tesi di parte opponente.</p><p><br /></p><p>Preliminarmente, l'INPS, l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO e l'INAIL hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso, per violazione degli articoli 4 e 5 LAC e per carenza di interesse, poiché il verbale impugnato conterrebbe gli esiti dell'accertamento effettuato, ma non imporrebbe a carico del datore di lavoro alcun adempimento avente immediata efficacia esecutiva, trattandosi di atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile.</p><p><br /></p><p>Inoltre, ciascuna parte opposta ha evidenziato come il verbale risulterebbe certamente sufficientemente motivato, anche ai sensi della legge n. 241/90 e delle altre norme in materia.</p><p><br /></p><p>In particolare, è stato sottolineato come, nella fattispecie, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 81/15 e la parificazione delle discipline tra collaborazioni eterorganizzate e lavoro subordinato dovrebbe essere effettuata secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, già fornita dalla Suprema Corte con la sentenza n. 1663 del 2020.</p><p><br /></p><p>Nel concreto, poi, la fornitura effettiva dei servizi di consegna sarebbe stata realizzata dai riders in nome e per conto della D SRL, che resterebbe sempre responsabile del servizio.</p><p><br /></p><p>La difesa dell'INPS ha, poi, evidenziato che la opponente aderirebbe a Assodelivery, che nel settembre del 2020 avrebbe sottoscritto un contratto nazionale con il sindacato minoritario Ugl per regolare il settore con un accordo contestato dai sindacati maggiormente rappresentativi.</p><p><br /></p><p>Inoltre, i volumi d'affari e i ricavi della Società sarebbero cresciuti esponenzialmente nel corso del periodo osservato (2015-2020), senza il corrispondente ed atteso incremento della forza lavoro denunciata, che risulterebbe persino ridotta dal 2019 al 2020 (da 135 a 130 dipendenti).</p><p><br /></p><p>È stato, poi, illustrato, come l'accertamento ispettivo sarebbe stato accompagnato dall'acquisizione di molteplici dichiarazioni di lavoratori, che avrebbero riferito di essere remunerati mensilmente previa emissione di fattura e che, all'approssimarsi ad € 5.000,00 dell'imponibile complessivo percepito nell'anno, sarebbero stati “invitati”, per poter proseguire nel rapporto di lavoro, ad aprire la partita IVA, pena la perdita del lavoro.</p><p><br /></p><p>Le fatture dei lavoratori, ad ogni modo, indicherebbero esattamente i tempi di lavoro, con le relative loggature.</p><p><br /></p><p>Sussisterebbe, inoltre, una vera e propria classifica di rendimento collegata all'affidabilità ed alla qualità dei riders, valutate attraverso il monitoraggio tecnico della prestazione, nel corso dell'esecuzione della stessa, sia mediante la geolocalizzazione, nonché mediante i dati raccolti dall'App per il tramite dello smartphone ad essa collegato.</p><p><br /></p><p>Il criterio preferenziale di accesso alle fasce orarie di turno si baserebbe, infatti, su due criteri: disponibilità dei riders nelle fasce orarie critiche (venerdì, sabato e domenica sera); affidabilità (ovvero partecipazione effettiva del rider ai turni prenotati o cancellazione precedente all'inizio del turno).</p><p><br /></p><p>La forma contrattuale, poi, non sarebbe stata scelta dai lavoratori, bensì imposta dalla società, con formulari standard e con consegna ai lavoratori degli strumenti di lavoro (zaini e divise loggati, porta cellulare etc).</p><p><br /></p><p>Quanto alla descrizione dell'attività, la difesa dell'INPS ha precisato che la gestione dell'ordine da parte di un rider prevederebbe diverse fasi scandite dall'azienda, tutte tracciate, tramite l'app, dal sistema anche per successive attività di analisi degli ordini e che sarebbero: accettazione dell'ordine; segnalazione di arrivo al ristorante; segnalazione di ritiro merce; segnalazione di arrivo presso il cliente; segnalazione di ordine consegnato al cliente.</p><p><br /></p><p>I dati relativi all'ordine nel suo complesso sarebbero conservati nel sistema aziendale.</p><p><br /></p><p>La localizzazione del rider e la sua posizione nello specifico momento sarebbe utilizzata dal sistema in fase di assegnazione dell'ordine, per consentire la massima efficienza della consegna, tenuto conto anche della sede del ristorante, del cliente e del mezzo di trasporto indicato dal rider stesso.</p><p><br /></p><p>Qualora, poi, al rider online non venisse assegnato un numero minimo di ordini (1,5), riceverebbe comunque un corrispettivo minimo a ciò connesso.</p><p><br /></p><p>Il rider, inoltre, avrebbe una limitatissima autonomia poiché, costantemente geolocalizzato dalla piattaforma, dovrebbe rapportarsi continuamente con l'operatore della società per i più piccoli problemi.</p><p><br /></p><p>A riprova della formale appartenenza alla opponente, i riders lavorerebbero con uniformi e attrezzature di lavoro fornite dalla stessa e contrassegnate dal relativo logo.</p><p><br /></p><p>L'App, poi, prevederebbe un sistema di turnazione per il quale ogni rider, per poter essere ammesso ad effettuare la prestazione lavorativa, dovrebbe prenotare la fascia oraria (slot) in cui si ponga a disposizione della piattaforma per la consegna e l'utilizzo dell'algoritmo di gestione del lavoro costituirebbe in sé, per definizione, il paradigma di un sistema di lavoro eterorganizzato e controllato.</p><p><br /></p><p>L'opera del rider non consentirebbe così alcuna discrezionalità e dovrebbe conformarsi all'organizzazione d'impresa della società.</p><p><br /></p><p>Quindi, le convenute hanno sostenuto l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione, stante la sospensione del decorso del termine prescrizionale prevista dall'art. 37 del Dl. 18/2020 convertito in Legge 27/20, nonché dall'art.11, comma 9 del DL 183/20.</p><p><br /></p><p>Inoltre, hanno argomentato la piena fondatezza di un inquadramento nell'ambito dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, sussistendone i presupposti della prestazione prevalentemente personale, della continuatività e delle eterorganizzazione, risultando, invece, residuale la tutela di cui agli articoli 47 bis e seguenti dello stesso decreto delegato.</p><p><br /></p><p>All'applicazione anche ai riders della disciplina dei lavoratori dipendenti, non potrebbe, poi, che seguirne l'assimilazione di trattamento in termini di contributi e prestazioni sociali e previdenziali, ivi compreso il principio di automaticità delle prestazioni che assicurerebbe la copertura contributiva anche nel caso di mancato versamento da parte del soggetto obbligato.</p><p><br /></p><p>Quanto ai conteggi, la base imponibile sarebbe stata determinata, parametrandola agli importi retributivi giornalieri previsti dal pertinente vigente CCNL Trasporti e Logistica, Quinto Livello, comprensivo di tutti i ratei e l'addebito avrebbe riguardato il periodo di accertamento fino al 31.10.2020.</p><p><br /></p><p>Per tutti questi motivi, ritenendo legittima l'azione amministrativa, le parti opposte hanno domandato il rigetto del ricorso.</p><p><br /></p><p>All'udienza di discussione è stata tentata inutilmente la conciliazione.</p><p><br /></p><p>Quindi, la causa è stata oralmente discussa e decisa come da dispositivo pubblicamente letto, con sentenza definitiva.</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p><br /></p><p>A) LE ECCEZIONI DI INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO.</p><p><br /></p><p>Preliminarmente, occorre rammentare che l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, l'INPS e l'INAIL hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso.</p><p><br /></p><p>In particolare, l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO ha sostenuto una carenza di interesse, poiché il verbale impugnato conterrebbe gli esiti dell'accertamento effettuato, ma non imporrebbe a carico del datore di lavoro alcun adempimento avente immediata efficacia esecutiva, trattandosi di atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile.</p><p><br /></p><p>Tale eccezione, nel caso, tuttavia, non può essere condivisa.</p><p><br /></p><p>Infatti, pur essendo noto un orientamento nel senso esposto dalla parte opposta (cfr. Cass. Ordinanza n. 32886 del 19/12/2018; Sentenza n. 16319 del 12/07/2010), si deve ritenere che, nel caso, l'interesse al ricorso della D SRL sussista per l'esigenza di un accertamento negativo che riguardi non solo le posizioni contributive e premiali di pertinenza dell'INPS e dell'INAIL, ma altresì la possibilità di evitare una sanzione amministrativa, con un'ordinanza ingiunzione.</p><p><br /></p><p>In questo senso, si deve riflettere come il verbale del 23 febbraio 2021 (n. (omissis) del 23/02/2021-prot. ITL n° (omissis) del 23/02/2021-prot. INPS.(omissis)-prot. INAIL n° (omissis)) costituisca “un atto unitario” dell'INPS, dell'INAIL e dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, cosicché si può ben comprendere l'esigenza della opponente di un accertamento negativo unico di fronte a tutti gli enti, anche al fine di evitare contrasti nelle decisioni.</p><p><br /></p><p>Da un lato, non è contestabile, d'altronde, che vi sia certamente l'interesse al ricorso della D SRL nei confronti dell'INPS e dell'INAIL, posto che indubbiamente l'accertamento dell'applicazione della normativa sul lavoro subordinato ex articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 determinerebbe un credito di questi enti nei confronti dell'opponente (tanto che è stato già emesso un ulteriore Verbale del 8.4.21 per la somma di € 68.160.875,05 a titolo di contributi, interessi e sanzioni Inps, doc. 2 ric.), cosicché, dall'altro, una volta che sussista l'interesse ex articolo 100 cpc nei confronti di tali ultimi soggetti, al fine di evitare un ingiustificato frazionamento del processo, risulta pure esistente quello nei confronti dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, in quanto, con atto del 23 febbraio 2021, è stato realizzato “un verbale unitario” che si pone quale possibile fondamento anche per gli illeciti amministrativi che siano considerati dall'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO.</p><p><br /></p><p>L'interesse al ricorso della D SRL anche verso tale ultimo ente viene, cioè, a corrispondere all'esigenza, consacrata nell'ultima giurisprudenza della Suprema Corte, di evitare un'inutile frazionamento dei processi, essendo stato chiarito che “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c.” (cfr. Cass. Sentenza n. 6591 del 07/03/2019; Ordinanza n. 17893 del 06/07/2018).</p><p><br /></p><p>Nel caso, si deve così prendere atto che la causa nei confronti dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO appare fondata sugli stessi fatti costitutivi rispetto a quella verso l'INAIL e l'INPS, cosicché la materia non potrebbe essere accertata separatamente, se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale.</p><p><br /></p><p>Sicché, in un'interpretazione costituzionalmente orientata ai sensi dell'articolo 24 e dell'articolo 111 Cost., si deve ritenere sussistente anche l'interesse al ricorso dell'opponente nei confronti dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO e alla materia di pertinenza dello stesso.</p><p><br /></p><p>Non risulta, poi, fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso ex articolo 4 e 5 LAC, posto come l'azione di accertamento negativo circa l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai riders, al di là delle conclusioni che possano impropriamente domandare un annullamento degli atti in questione, si pone come di tipo dichiarativo di fatti e di diritti sussistenti tra le parti, con competenza del Giudice Ordinario.</p><p><br /></p><p>B) IL LAVORO ETERORGANIZZATO NELL'INTERPRETAZIONE DELLA SUPREMA CORTE.</p><p><br /></p><p>Una volta così valutata l'ammissibilità del ricorso, occorre anche premettere, con riguardo alle eccezioni formali, che il verbale n. (omissis) del 23 febbraio 2021 appaia certamente ampiamente motivato ex articolo 3 della legge n. 241/90 e delle altre norme in materia, fornendo chiara, precisa ed esaustiva indicazione di tutte le circostanze in fatto e in diritto oggetto di accertamento (cfr. pagine 2-11 del documento) e garantendo la possibilità di difesa alla parte interessata.</p><p><br /></p><p>Venendo, poi, alle ulteriori questioni, le domande attrici sono risultate solo parzialmente fondate.</p><p><br /></p><p>Occorre, infatti, rammentare che l'articolo 2, co. 1, del D.lgs. n. 81/2015, vigente per il periodo oggetto dell'accertamento per cui è causa, decorrente dal gennaio 2016 a ottobre 2020, sotto la rubrica “collaborazioni organizzate dal committente”, inizialmente, prevedesse che</p><p><br /></p><p>“a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.</p><p><br /></p><p>Poi, in seguito alla novella dell'art. 1 del DL n. 101/19, la norma si è presentata nei seguenti termini:</p><p><br /></p><p>“a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.</p><p><br /></p><p>Pur essendo note le problematicità interpretative della statuizione in questione, occorre rilevare come con riguardo alla stessa si sia pronunciata la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1663 del 2020, nella quale così è stato illustrato il nuovo istituto:</p><p><br /></p><p>“22. In effetti, le previsioni dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 vanno lette unitamente all'art.52 dello stesso decreto, norma che ha abrogato le disposizioni relative al contratto di lavoro a progetto previsto dagli artt. da 61 a 69-bis del d.lgs. n.276 del 2003 (disposizioni che continuano ad applicarsi per la regolazione dei contratti in atto al 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del decreto), facendo salve le previsioni di cui all'art. 409 cod. proc. civ. Quindi dal 25 giugno 2015 non è più consentito stipulare nuovi contratti di lavoro a progetto e quelli esistenti cessano alla scadenza, mentre possono essere stipulati contratti di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell'art. 409, n. 3 cod. proc. civ. sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato. 23. È venuta meno, perciò, una normativa che, avendo previsto dei vincoli e delle sanzioni, comportava delle garanzie per il lavoratore, mentre è stata ripristinata una tipologia contrattuale più ampia che, come tale, comporta il rischio di abusi. Pertanto, il legislatore, in una prospettiva anti-elusiva, ha inteso limitare le possibili conseguenze negative, prevedendo comunque l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizzate con l'ingerenza funzionale dell'organizzazione predisposta unilateralmente da chi commissiona la prestazione. Quindi, dal 10 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente. 24. Il legislatore, d'un canto consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad unità tipologica, e, d'altro canto, conscio degli esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell'art. 2094 cod. civ., si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi. 25. In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina. 26. Tanto si spiega in una ottica sia di prevenzione sia "rimediale". Nel primo senso il legislatore, onde scoraggiare l'abuso di schermi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare, ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori. In ogni caso ha, poi, stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato. 27. Si tratta di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea. L'intento protettivo del legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza - per l'applicabilità della norma - di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero-organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", così mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione. 28. Il secondo profilo della doglianza in esame invita proprio questa Corte, invece, a adottare un'interpretazione restrittiva della norma in discorso. 29. Secondo la ricorrente, come si è detto, la Corte territoriale, affermando che la etero-organizzazione disciplinata dall'art. 2 consisterebbe nel potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro, avrebbe trascurato che l'art. 2 richiede, ai fini della sua applicazione, che le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro". La parola "anche" del testo normativo dimostrerebbe che le tutele del lavoro subordinato garantite dall'art. 2 richiedono non una semplice etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione, tantomeno in termini di mera "possibilità", ma "una ingerenza più pregnante nello svolgimento della collaborazione, eccedente quindi tale etero-determinazione". 30. Anche tale censura non può essere condivisa. 31. La norma introduce, a riguardo delle prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative, la nozione di eteroorganizzazione, "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro". 32. Una volta ricondotta la etero-organizzazione ad elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, si mette in evidenza (nell'ipotesi dell'art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015) la differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di comune accordo dalle parti che, invece, nella norma in esame, è imposto dall'esterno, appunto etero-organizzato. 33. Tali differenze illustrano un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell'art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone. 34. Ciò posto, se è vero che la congiunzione «anche» potrebbe alludere alla necessità che l'etero-organizzazione coinvolga tempi e modi della prestazione, non ritiene tuttavia la Corte che dalla presenza nel testo di tale congiunzione si debba far discendere tale inevitabile conseguenza. 35. Il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro esprime solo una possibile estrinsecazione del potere di etero-organizzazione, con la parola "anche" che assume valore esemplificativo. In tal senso sembra deporre la successiva soppressione dell'inciso ad opera della novella cui si è fatto più volte cenno. Del resto è stato condivisibilmente rilevato che le modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa lo sono, nell'attualità della rivoluzione informatica, sempre meno significative anche al fine di rappresentare un reale fattore discretivo tra l'area della autonomia e quella della subordinazione. 36. Parimenti si deve ritenere che possa essere ravvisata eteroorganizzazione rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa. 37. Il motivo in esame non critica dunque efficacemente le pertinenti statuizioni della sentenza impugnata. 38. Detto questo, non ritiene la Corte che sia necessario inquadrare la fattispecie litigiosa, come invece ha fatto la Corte di appello di Torino, in un tertium genus, intermedio tra autonomia e subordinazione, con la conseguente esigenza di Firmato selezionare la disciplina applicabile. 39. Più semplicemente, al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, come detto, di una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie. 40. Del resto, la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici. In passato, quando il legislatore ha voluto assimilare o equiparare situazioni diverse al lavoro subordinato, ha precisato quali parti della disciplina della subordinazione dovevano trovare applicazione. In effetti, la tecnica dell'assimilazione o dell'equiparazione è stata più volte utilizzata dal legislatore, ad esempio con l'art.2 del R.D. n. 1955 del 1923, con l'art.2 legge n.370 del 1934, e con l'art.1, comma 1, legge n. 1204 del 1971, con cui il legislatore aveva disposto l'applicazione al socio di cooperativa di alcuni istituti dettati per il lavoratore subordinato, nonché con l'art. 2 c.1 d.lgs. n. 626 del 1994 e l'art. 2, comma 1 lett. a), del d.lgs. n.81 del 2008 in tema di estensione delle norme a tutela della salute e della sicurezza, e con l'art. 64 del d.lgs. n. 151 del 2001, come successivamente modificato, che ha disposto l'applicazione alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell'INPS alcune tutele previste per le lavoratrici subordinate. 41. Non possono escludersi situazioni in cui l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell'ambito dell'art. 2094 cod. civ., ma si tratta di questione non rilevante nel caso sottoposto all'esame di questa Corte. 42. All'opposto non può neanche escludersi che, a fronte di specifica domanda della parte interessata fondata sul parametro normativo dell'art. 2094 cod. civ., il giudice accerti in concreto la sussistenza di una vera e propria subordinazione”.</p><p><br /></p><p>Dunque, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, si tratta di una “norma di disciplina”, posta in un collegamento con l'articolo 52 dello stesso decreto delegato e volta a tutelare dei prestatori di lavoro, che, pur nell'ambito di un rapporto ex articolo 409, n. 3, cpc, si trovino in una situazione di particolare debolezza, poiché la loro prestazione, comunque di tipo personale e continuativo, risulta eterorganizzata dal preponente.</p><p><br /></p><p>Ad ogni modo, anche aderendo alla soluzione per cui l'articolo 2 cit. rappresenta una “norma di disciplina” (con soluzione esegetica che risulterebbe, comunque, imprecisa per parte della dottrina perché la norma privatistica “delinea, per definizione, una fattispecie, cui ricollega determinati effetti in termini di disciplina applicabile”), resta che gli effetti previsti dalla stessa conseguono al verificarsi dei suoi presupposti che, dunque, debbono essere individuati nella presente motivazione.</p><p><br /></p><p>Innanzitutto, pur potendosi porre la disposizione nell'area del lavoro autonomo (è noto il dibattito in materia, ma questa sembra l'interpretazione preferibile da proporsi alla luce della disciplina normativa e della stessa analisi della Suprema Corte, che pur non ha ritenuto di proporre un inquadramento preciso rispetto a tale tematica: cfr. il par. 24 della sentenza citata) e, in particolare, in quello delle collaborazioni continuative ex articolo 409 n. 3, cpc (di cui nella fattispecie si richiamano tutti i caratteri, salvo la coordinazione, sostituita con la eterorganizzazione) e potendosi, così, collocare in tale ambito il nuovo istituto, si deve, tuttavia, mettere subito in evidenza la differenza rispetto ad un “coordinamento” nelle modalità organizzative tra le parti stabilito di comune accordo dalle stesse ai sensi di tale ultima norma, rispetto all'ingerenza unilaterale del preponente che, perché si applichi l'articolo 2 del decreto legislativo n. 81/15, è “imposta dall'esterno”, con lavoro eterorganizzato dal preponente.</p><p><br /></p><p>Tali distinzioni illustrano, infatti, un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore di obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, connotata da una organizzazione delle modalità operative imposta dal preponente.</p><p><br /></p><p>Tale ultimo requisito, che si desume anche dalla rubrica dell'art. 2, intitolato “collaborazioni organizzate dal committente”, vale anche, poi, a distinguere la fattispecie in esame dalla differente di cui agli artt. 47 bis e ss. del medesimo decreto delegato.</p><p><br /></p><p>Infatti, l'articolo 47 bis del decreto legislativo n. 81 del 2015 è introdotto dalla clausola di riserva “fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2”, che viene a chiarire come la disciplina prevista dal medesimo non possa trovare applicazione per le fattispecie già regolate dal precedente art. 2, attinente al lavoro eterorganizzato.</p><p><br /></p><p>In altri termini, il D.lgs. n. 81/15 distingue la figura del lavoro eterorganizzato per l'ingerenza dell'opponente nelle modalità organizzativa della prestazione, rispetto a quello autonomo o semplicemente coordinato e continuativo (ex art. 409, n. 3, cpc) realizzato tramite piattaforma ex articolo 47 bis cit., in cui difettano i requisiti per l'attuazione dell'art. 2.</p><p><br /></p><p>Quindi, solo qualora il lavoratore su piattaforma non sia qualificato come lavoratore subordinato ex art. 2094 c.c. o eterorganizzato ex art. 2 del D.lgs. n. 81/2015 si applicano le disposizioni di cui al Capo V bis.</p><p><br /></p><p>Le tutele minime dell'art. 47 bis e ss. si indirizzano, perciò, a quei lavoratori che si gestiscano in regime di autentica autonomia e senza vincolo alcuno “imposto” per il proprio schema organizzativo, operando in piena libertà quanto a modi, tempi e disponibilità del servizio.</p><p><br /></p><p>Viceversa, l'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato (salva sua incompatibilità) per i collaboratori di cui all'art. 2 si giustifica in ragione del coordinamento esterno e unilateralmente imposto dal committente al lavoratore, che, per svolgere la prestazione, è obbligato ad adeguarsi alla organizzazione del primo, rendendolo così assimilabile, quanto alle esigenze di protezione lavoristica e previdenziale, al lavoratore dipendente.</p><p><br /></p><p>C) LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE AI SENSI DELL'ARTICOLO 2 DEL D.LGS. N. 81/15.</p><p><br /></p><p>È bene, dopo tale analisi, anche precisare che, secondo l'interpretazione della Suprema Corte, il richiamo dell'articolo 2 cit., laddove fa riferimento all'applicazione della “disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, la concepisca nella sua interezza, salva incompatibilità, potendosi già qui riflettere come non vi siano motivi, né testuali, né logici, per escludere dalla stessa quella di tipo previdenziale.</p><p><br /></p><p>In senso contrario a tale impostazione e per una diversa soluzione esegetica, si è, tuttavia, richiamato il comma 2 dello stesso art. 2 cit., per il quale</p><p><br /></p><p>“la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore. (…)”.</p><p><br /></p><p>Infatti, poiché, ai sensi del menzionato comma due, la possibilità di deroga al comma primo dell'articolo 2, tramite i contratti collettivi, riguarda la disciplina per il trattamento economico e normativo, nella stessa non potrebbe rientrarvi quella di tipo previdenziale, per la sua “indisponibilità tramite pattuizione negoziale”.</p><p><br /></p><p>In tale percorso logico, risulterebbe, cioè, che (I) se, dunque, le disposizioni previdenziali non possono essere trattate tramite contratti collettivi, (II) poiché il comma 2 nella deroga, in tal modo, prevista verrebbe ad escludere “l'intera applicazione del comma primo”, (III) a tal punto, quest'ultimo (il co. 1), non potrebbe, per via logica, prevedere l'estensione della disciplina del rapporto subordinato anche dal lato previdenziale, dovendo interpretarsi come limitato all'ambito solo lavoristico.</p><p><br /></p><p>Ovverosia, il comma due non potrebbe comprendere nella facoltà di deroga la disciplina previdenziale in quanto indisponibile e siccome verrebbe a rendere non applicabile l'intero comma uno, verrebbe anche ad individuare l'ambito dello stesso, escludendo, nella sua possibile interpretazione, l'estensione delle disposizioni sul lavoro subordinato di tipo previdenziale da quest'ultimo.</p><p><br /></p><p>Tuttavia, tale tesi non può essere condivisa.</p><p><br /></p><p>Infatti, è noto il principio del parallelismo e automatismo tra la applicazione della disciplina lavoristica e quella previdenziale (cfr., ad es., Cass. Sentenza n. 5097 del 11/10/1984), che deriva dal fatto che la relazione di lavoro è il presupposto che giustifica l'insorgenza del rapporto giuridico, che, una volta qualificato, con individuazione della sua disciplina giuridica, determina, in conseguenza, quella previdenziale.</p><p><br /></p><p>Cosicché, qualora si debba fare applicazione, sussistendone i presupposti, del primo comma dell'art. 2, con estensione ai collaboratori eterorganizzati della disciplina del lavoro subordinato, evidentemente, ne seguirebbe, per il descritto parallelismo, l'applicazione della relativa normativa stabilita per i lavoratori eterodiretti dal lato previdenziale.</p><p><br /></p><p>Viceversa, qualora, in virtù delle deroghe degli accordi collettivi ex art. 2, co. 2 cit., non si venga ad applicare la normativa ex articolo 2094 cc ai collaboratori, benché eterorganizzati, per gli stessi principi, non sarà, evidentemente, da estendersi agli stessi neppure quella di tipo previdenziale dei lavoratori subordinati, venendo meno il suddetto parallelismo e non certo per una “disponibilità” dei diritti in materia contributiva tramite pattuizione negoziale.</p><p><br /></p><p>Dunque, nei casi in cui, per l'applicazione del primo comma dell'articolo 2 cit., si applichi al collaboratore eterorganizzato la disciplina lavoristica ex art. 2094 cc, ne segue, in immediata successione, quella di tipo previdenziale collegata ai prestatori subordinati.</p><p><br /></p><p>D'altronde all'interpretazione sistematica ora proposta, si deve anche aggiungere quella di tipo teleologico, poiché certamente la ratio legis che ha portato alla novella dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 è stata l'esigenza di assicurare una protezione più intensa a una tipologia di lavoratori ritenuti in qualche modo assimilabili a quelli eterodiretti e, in tale logica, appare non sostenibile, in assenza di una previsione espressa in tal senso, che si sia voluto introdurre tale maggior tutela solo dal lato lavoristico e non per quello previdenziale e per gli infortuni sul lavoro, almeno di analoga importanza, dovendosi, perciò, proporre l'analisi esegetica appena esposta.</p><p><br /></p><p>Nel presente processo, perciò, si procederà, in questo senso, alla verifica della natura dei rapporti di lavoro con i riders limitatamente ai rapporti con gli enti convenuti (come chiarito dalle parole “con riguardo ai rapporti tra la parte opponente e le parti opposte”, di cui al dispositivo), per verificare quale sia la corretta disciplina da applicarsi agli stessi dal lato previdenziale, non essendovi domande di tipo lavoristico per i singoli collaboratori.</p><p><br /></p><p>D) IL VERBALE UNICO DI ACCERTAMENTO E NOTIFICAZIONE N. (omissis) DEL 23 FEBBRAIO 2021 E L'ISTRUTTORIA TESTIMONIALE.</p><p><br /></p><p>Ciò posto, nel caso in questione, è impugnato il Verbale Unico di Accertamento e notificazione n. (omissis) del 23 febbraio 2021, redatto dai Carabinieri del nucleo ispettivo competente e dagli ispettori degli enti convenuti.</p><p><br /></p><p>Quest'ultimo descrive la fornitura dei servizi di consegna della opponente che viene realizzata dai riders in nome e per conto della stessa che resta responsabile del servizio nei confronti del cliente.</p><p><br /></p><p>Il corrispettivo della prestazione di consegna è un prezzo che la D SRL paga ai riders.</p><p><br /></p><p>Il rider, invece, svolge l'attività lavorativa, che è spesso per le consegne a favore di grandi gruppi con cui la società opera in partnership (cap. 109 Inps).</p><p><br /></p><p>Con il Verbale in parola, in particolare, si è contestato alla D SRL che i riders operanti nel periodo da gennaio 2016 ad ottobre 2020 avrebbero agito come “collaboratori organizzati” ex art. 2 del D.lgs. n. 81 del 2015.</p><p><br /></p><p>Ora, si deve condividere tale qualificazione.</p><p><br /></p><p>a) Quanto alla fase genetica, il modello di contratto di lavoro proposto e prodotto dalla stessa opponente (doc. 11 ric.) prevede la libertà del rider di decidere se, quando, dove e per quanto tempo desideri utilizzare l'App SSB e se accettare, rifiutare o ignorare qualunque richiesta per la fornitura di Servizi di Consegna (art. 3), oltre che l'assenza di un vincolo di esclusiva (art. 3.3).</p><p><br /></p><p>b) Per verificare, poi, in particolare, la fase esecutiva della relazione giuridica, è stata espletata un'istruttoria testimoniale sulle “modalità di funzionamento della piattaforma” in questione, che hanno coinvolto in modo analogo tutti i collaboratori della opponente (era in dotazione a tutti i riders) nel periodo oggetto di causa (gennaio 2016-ottobre 2020), potendo, quindi, ritenersi comuni a tutti i lavoratori coinvolti nel Verbale di accertamento.</p><p><br /></p><p>Ora, ha dichiarato M.F., rider per la ricorrente nel periodo dal Febbraio 2020 al giugno 2020, che “per lavorare, dovevo accedere all'app il lunedì per prenotare gli slot liberi per la settimana successiva e se cliccavo sullo slot automaticamente potevo lavorare in quella fascia oraria senza necessità di conferme ulteriori. Il giorno del servizio nell'orario stabilito accendevo poi l'app della piattaforma e c'era necessità che io mi trovassi in una zona prestabilita, definita dalla zona a me assegnata che non so definire in termini di metri quadri, perché corrispondeva a una zona colorata all'interno dell'app. Poi, all'interno della stessa, dipendeva da dove mi trovavo la possibilità che ricevessi gli ordini, perché ovviamente vengono dati a chi si trovi nelle vicinanze del locale e del cliente. Poi, una volta accettato l'ordine, mi dovevo recare al ristorante e tramite il GPS la società sapeva che ero arrivato al ristorante , non ricordo se dovevo cliccare qualche pulsante sul l'app per confermare l'arrivo al ristorante, certamente però dovevo cliccare sull'app una volta ritirato il pacchetto per la consegna dal ristorante, dove c'era la banda da cliccare definita “ordine ritirato”. Poi mi recavo dal cliente e effettuata la consegna dovevo cliccare il pulsante sull'app con “consegnato”. Non si poteva accettare più ordini contemporaneamente, solo dopo la consegna dell'ordine si poteva accettare quello successivo. Il corrispettivo veniva calcolato sulla base della distanza del cliente, quindi era misurato in relazione ai chilometri percorsi. Il calcolo del corrispettivo veniva stabilito all'inizio quando accettavo l'ordine su un ipotetico percorso e rimaneva invariato anche se facevo un percorso diverso più lungo o più corto e nessuno mi controllava sul tragitto che facevo. C'era un ranking con il punteggio dei singoli rider, collegato alla disponibilità nelle fasce orarie calde della settimana negli orari di pranzo e cena e all'affidabilità nel mantenere l'impegno. Poi c'era, per mantenere il punteggio nel ranking , l'obbligo di arrivo entro 15 minuti dall'inizio del turno accettato e in caso di disdetta dell'impegno assunto in quel turno, la disdetta doveva avvenire almeno 24 ore prima, pena, in entrambi i casi, la perdita di punti nel ranking. Chi aveva un ranking più alto aveva la possibilità di avere una precedenza nella prenotazione dei turni in quanto ad esempio gli veniva aperta la pagina per la prenotazione nell'app la domenica sera invece che al lunedì e aveva maggiori possibilità di ordini perché chi era più affidabile riceveva anche più ordini. Potevo quando ricevevo una proposta d'ordine anche non accettarla nel mio turno, ma questo impattava sul ranking in senso negativo. L'area di Avellino è quella a me assegnata perché Avellino non è diviso in più aree e è quella che io ho richiesto nel formulare la mia richiesta di divenire rider sul sito ed è quella che mi è stata assegnata dalla piattaforma. All'inizio non so come andava, perché non mi sono mai informato, ma oggi sono certo che potrei consegnare anche in un'area diversa. Quando due persone che hanno il ranking diverso cliccano in contemporanea la casella libera sulla app per scegliere il turno è preferito chi clicca per primo e non chi ha il ranking più alto. Al di fuori delle fasce orarie prenotate non si poteva collegarsi all'app per lavorare. Non era possibile proprio accedere all'app al di fuori delle fasce orarie prenotate”.</p><p><br /></p><p>Poi, ha attestato S.D.G.</p><p><br /></p><p>“faccio il rider per la ricorrente da ottobre del 2018 nell'area di Como. Como dal 2020 (non ricordo da quale mese) è divisa in due zone e io sono stato assegnato ad una di queste. Quando ha iniziato nel 2018 c'era una sola zona Como e io ero assegnato a Como e non potevo lavorare in un'altra al di fuori di Como mentre da quando ci sono due zone su Como posso lavorare in entrambe e dopo questa divisione posso lavorare ovunque. Per scegliere il turno, quando ho iniziato, si accedeva all'app e si sceglieva il lunedì il turno per la settimana dopo, cliccando le fasce orarie sull'app. Questo vale certamente sino a tutto il 2020. Non si poteva collegarsi all'app in orari diversi dalle fasce orarie prenotate. Quando io ero nella mia fascia oraria e nella mia zona potevo accettare o non accettare l'ordine che ricevevo e quando lo accettavo mi recavo al ristorante dove c'era la consegna da ricevere e quando ricevevo la consegna da parte del ristorante dovevo cliccare sull'app il pulsante “ordine ricevuto” e poi lo portavo al cliente e lì dovevo cliccare il pulsante “consegnato”. Potevo scegliere liberamente il percorso per recarmi al cliente, anche se eravamo pagati in maniera diversa a seconda della distanza, ma con un corrispettivo predeterminato, secondo un tragitto ipotetico e corrispettivo, dalla piattaforma, nel momento in cui si proponeva l'ordine. C'era poi un ranking collegato alla scelta delle fasce calde nella settimana e all'affidabilità nel mantenerle e questo consentiva, per chi aveva il punteggio più alto, una priorità nell'accesso alla piattaforma nella prenotazione dei turni ; poi invece quando due persone con ranking diverso accedevano a una fascia oraria, nel senso che venivano ammesse alla stessa, non avevano un diverso trattamento per la ricezione degli ordini. Il ranking veniva abbassato solo se uno non faceva la disdetta del turno anche solo appena prima all'inizio dello stesso, cioè se lo faceva durante il turno stesso non poteva far la disdetta se non con abbassamento del ranking. Inoltre il ranking poteva essere abbassato in caso di ritardo rispetto all'inizio del turno perché si aveva 15 minuti dall'inizio del turno per presentarsi a pena dell'abbassamento del ranking. C'era anche un codice di comportamento del Rider presente sulla piattaforma, con ad esempio prescrizioni come la necessità di essere rispettoso con il cliente, inoltre c'erano prescrizioni su come pulire lo zaino e su come portare il cibo al cliente e dei consigli su come gestire il proprio mezzo, che era la bicicletta nel mio caso. C'era infatti poi una valutazione da parte del ristorante e da parte del cliente che incideva sul ranking. Non c'era un tempo di consegna entro cui arrivare dal cliente. Non si poteva accettare più ordini contemporaneamente ma occorreva concludere l'ordine per poter accettare quello dopo. Il punteggio del ranking era dato per 50% in affidabilità circa i ritardi, nel senso che non potevo arrivare in ritardo e disdettare il turno nei termini sopra espressi, poi un 20% per la valutazione del ristorante che effettuava tramite la piattaforma e un'ulteriore 30% per la valutazione da parte del cliente che effettuava sempre tramite la piattaforma. Ho lavorato oltre che per la ricorrente anche per le piattaforme Glovo e Uber e sono sicuro che tutto quello che ho detto è riferibile alla ricorrente e non alle altre piattaforme, sto parlando solo della ricorrente. I tempi di consegna al cliente poi dipendevano anche dalla preparazione delle vivande che potevano richiedere più o meno tempo da parte del ristorante. Io potevo lavorare quando e quanto volevo e di conseguenza il mio reddito mensile poteva oscillare a seconda di quanto avevo lavorato”.</p><p><br /></p><p>Ancora, M.M. ha deposto che</p><p><br /></p><p>“nel periodo dal 2016 al fine ottobre 2020 ero responsabile delle operazioni dell'azienda nell'area Italia. Ho competenze manageriali , non ho competenze informatiche certificate, conosco la piattaforma della ricorrente nel periodo sopra espresso. Conosco la piattaforma anche perché nelle mie mansioni c'erano, tramite il mio team, la ricerca dei rider per la consegna ai clienti dei prodotti, i rapporti e le comunicazioni con i rider e infine la risoluzione di eventuali problematiche. Per lavorare, i rider dovevano accedere agli slot che venivano pubblicati per la prima volta il lunedì per la settimana successiva, anche se poi una volta pubblicati potevano essere scelti anche durante tutta la settimana dai rider. C'erano tre fasce orarie per la prenotazione, alle 11, alle 15 e alle 17 e la priorità per l'accesso a queste fasce veniva determinata sulla base di un punteggio che veniva calcolato sulla base della selezione dei turni nelle fasce più calde (partecipazione), cioè il venerdì il sabato e la domenica dalle 19 alle 21 e sull'affidabilità nel turno che era determinata dall'accesso con un login all'interno dello slot prescelto, anche solo per un istante, entro i primi 15 minuti dall'inizio del turno. Per l'affidabilità, poi si poteva cancellare la prenotazione dello slot in qualsiasi momento purché fosse prima dell'inizio del turno. Una volta che poi uno accedeva allo slot prenotato poteva accettare o non accettare liberamente gli ordini e questo non incideva sul punteggio. Qualora avessero prenotato il turno in questo modo i Rider poi potevano accedere solo dalla zona così prenotata e assegnata, mentre era comunque consentito, nei turni non prenotati, ai Rider di accedere all'app e di lavorare anche partendo da zone diverse. Questo so per esperienza diretta e perché so che lo facevano alcuni rider che lavoravano con D. Chiarisco meglio nel senso che questo so per scambi con comunicazioni avvenute con i rider e per l'applicazione che ho io per fare dei test sullo smartphone. Se mi viene chiesto di esibirla ora non funziona perché non ricopro più quella posizione da alcuni mesi. Non ho memoria di aver agito mai direttamente su un profilo di rider, inteso come sull'app del lavoratore. Una volta che il Rider accetta l'ordine poi deve recarsi al ristorante e deve dare una prima conferma dell'arrivo al ristorante sull'app e poi una seconda conferma con la recezione dell'ordine, cliccando sui relativi tasti della piattaforma. Poi si reca dal cliente e anche lì deve cliccare sul tasto “consegnato” della piattaforma. Può effettuare liberamente il tragitto che ritiene e viene pagato a seconda della lunghezza del percorso secondo un tragitto ipotetico predeterminato dall'app . Il corrispettivo poi era determinato anche da altri parametri come il tempo necessario per effettuare una determinata consegna e in ragione di alcuni extra che potevano essere determinati da eventi che potevano rendere particolarmente importante e interessante la consegna per il cliente, come ad esempio una finale di una partita di calcio. Prima di prendere un nuovo ordine il rider deve aver concluso l'ordine accettato prima, tranne che la stessa ricorrente crei un ordine doppio da accettare come tale. Il cliente e il ristorante possono fare delle rimostranze sull'operato del Rider ma questo non può incidere sul punteggio, non c'è alcun tasto sulla piattaforma che determini questo, ma c'era un canale per le rimostranze e questo vale per il periodo dal 2016 al 2020 oggetto di causa. In particolare, queste situazioni rientrano in quelle che ho definito all'inizio problematiche gestite dal mio ufficio e veniva vagliato caso per caso e, ad esempio, se c'era un caso di minaccia al ristorante da parte del rider si suggeriva al ristorante di rivolgersi alle forze dell'ordine, oppure in caso di comportamento poco rispettoso nei confronti del cliente oppure per ritardi significativi si vagliava caso per caso ma si manteneva in tutti i casi finora descritti il rapporto con il Rider. In tutti i casi dunque, il vaglio consiste nel valutare se è una situazione grave o meno e archiviarla o consigliare al cliente o al ristorante di rivolgersi alle forze dell'ordine. Non c'è mai stato un codice di comportamento per i rider, ma delle indicazioni che consistevano in alcuni video con indicazioni su cosa consisteva l'attività, con delle istruzioni su come mantenere l'attrezzatura fornita dalla ricorrente, su come gestire l'applicazione nei termini sovraesposti con i tasti da cliccare nel momento di ricezione e di consegna dell'ordine, secondo quanto già detto e non mi ricordo se ci fossero o meno indicazioni sul rapporto con il cliente o con il ristorante. Per entrare in rapporto con la ricorrente, i rider dovevano accedere a un link che curavamo fosse presente nelle maggiori piattaforme di ricerca di lavoro e dopodiché una volta acquisiti i dati e i documenti di supporto, quando c'era bisogno di inserire nuovi rider verificavamo i documenti prodotti e sceglievamo a seconda della completezza della candidatura. Non c'era una valutazione di merito, bastava la completezza dei documenti prodotti. Quando ho detto che i turni potevano essere prenotati durante la settimana, intendo dire che il calendario poteva anche modificarsi a seconda delle disdette dei turni da parte di quelli che li avevano prenotati e quindi così i turni tornavano a essere disponibili. L'attrezzatura da noi fornita, che si mostrava nei video come utilizzare, riguardava lo zaino, indumenti ad alta visibilità, una borsa termica, il casco per i ciclisti e forse un porta smartphone. In uno dei video si illustravano e si invitavano i Rider al rispetto delle regole stradali. Ad ogni modo, poi il Rider non era obbligato a utilizzare l'attrezzatura fornita, questo so perché come cliente ho visto Rider D. consegnare con lo zaino di altra compagnia. In caso di consegna con auto, non ricordo se al rider venisse chiesto di consegnare copia della polizza assicurativa. In qualunque momento, dopo aver accettato l'ordine il Rider può revocare l'accettazione senza conseguenze anche dopo aver ritirato il cibo, che in quel caso gli si chiede di consegnare nuovamente al ristorante. In questo caso però è il lavoratore che deve contattare l'assistenza per chiedere di essere disassegnato dalla consegna accettata e ritirata e così gli si chiede di riportarla al ristorante. Se il cibo poi è freddo, si chiede, in questo caso, al ristorante, in seguito a questa fattispecie che ha una casistica però molto limitata, di ripreparare il cibo e di gettare quello freddo che viene comunque pagato dalla ricorrente e di fare una nuova consegna a un altro rider. Meglio precisando quanto sopra, la ricorrente interviene anche escludendo dalle possibilità di accedere all'app definitivamente il lavoratore in casi gravi vagliati caso per caso, come l'accertamento di un reato, come ad esempio un furto, oppure in caso di successivi comportamenti reiteratamente aggressivi nei confronti del cliente o del ristorante. Ci sono anche altre casistiche, ma dovrei riprenderle e in questo momento non riesco a ricordarle”.</p><p><br /></p><p>Quindi ha dichiarato A.ME.</p><p><br /></p><p>“ho lavorato per la opponente dal settembre 2019 a settembre 2020 e forse qualcosa nel 2021 nel ruolo di Rider. Io potevo lavorare quando volevo, ero in cerca di un'altra occupazione nel frattempo facevo quel lavoro. A lunedì accedevo alla piattaforma per prenotare i turni per quella successiva, ossia non per la stessa settimana ma per quella seguente. Io potevo scegliere tra le caselle libere e le singole caselle erano di un'ora ciascuna. Io ero nella zona di Varese e prima delle 12 non si poteva prenotare e si arrivava sino a massimo alle 22. Mi pare che non ci fosse servizio dalle 15:30 alle 18. Non mi risulta che avessi un punteggio per la copertura delle ore di punta e in termini di affidabilità, dicevano che poteva prenotare prima chi aveva un punteggio alto di questo tipo ma io non ci ho mai creduto. La mia zona era Varese ma se nell'app c'erano ore prenotabili in una diversa città, potevo prenotare anche in diversa città. Una volta che iniziavo il servizio potevo ricevere l'ordine e se lo accettavo iniziava la consegna. Arrivato al ristorante cliccavo il tasto per segnalare che ero arrivato sulla piattaforma, poi cliccavo un ulteriore tasto quando mi davano il cibo in consegna e ancora un terzo tasto quando lo consegnavo al cliente e un quarto per la fine ordine. Un incarico di consegna doppio poteva essere previsto solo se programmato come tale dalla opponente e non potevo diversamente accettare un incarico di ulteriore consegna mentre avevo in esecuzione quello affidato da D.. Durante la consegna ero continuamente geolocalizzato tramite la piattaforma, ma potevo scegliere il tragitto che ritenevo e la geolocalizzazione serviva anche per verificare il Rider più vicino per la successiva consegna. Venivo pagato in base ai chilometri percorsi, cioè alla distanza degli ordini, secondo una tariffa predeterminata secondo un tragitto ipotetico. Io prima della pandemia utilizzavo una bicicletta e dopo, siccome non si poteva portare la bicicletta sul treno, ho utilizzato una macchina per le consegne. Era consegnato a me dalla opponente un manuale con delle indicazioni da parte della stessa circa la modalità con cui tenere in cura il mezzo e per la sua manutenzione, con indicazioni circa il rispetto delle regole della strada e per la pulizia dello zaino e della restante strumentazione. Una volta iniziato il turno potevo finire lo stesso quando volevo, senza che mi risultino penalizzazioni, anche prima della sua conclusione prevista dall'app, anche se a me non è mai capitata una simile circostanza. Era mia abitudine rifiutare gli ordini che mi venivano proposti e questo non mi ha determinato conseguenze che mi risultino. Più di una volta ho rifiutato molteplici ordini, magari eseguendone uno solo. Io ho frequentato come Rider l'app solo prenotando la zona di Varese per i turni , non ho mai provato a cliccare zone di città differenti, anche se le ho visionate. Ovviamente dove il turno era già occupato non potevo prenotare. Nel caso che ci fosse una fascia oraria occupata, potevo chieder la notifica per il caso che venisse liberata e mi arrivava questa notifica e potevo scegliere in questo caso il turno che si era liberato anche in corso di settimana. È stata una mia decisione il cambio di mezzo dalla bicicletta all'auto. Varie volte mi è capitato di trovare il turno che desideravo occupato, soprattutto al sabato e la domenica se non prenotavo tempestivamente al lunedì. Non ho consegnato la polizza assicurativa dell'auto all'opponente. Ho cessato di lavorare per l'opponente perché il guadagno era limitato considerati i costi di benzina e il problema della bicicletta che ho già descritto. Non ho più accesso all'app e non posso proseguire a lavorare finché non faccio un corso sul mantenimento degli alimenti prescritto dalla opponente. Meglio ricordo ora che con riguardo al sistema di ranking, effettivamente se avevo prenotato una zona e un orario e non andavo neppure in zona e non la cancellavo entro 24 ore prima, avevo poi una limitazione a un numero massimo di ore per il periodo successivo, se non sbaglio 8 alla settimana. So che si poteva lavorare in contemporanea anche per altre piattaforme, io non l'ho fatto e non ho fatto mai neppure consegne individuali prescindendo dalla piattaforma dell'opponente”.</p><p><br /></p><p>Poi ha attestato L.Y.</p><p><br /></p><p>“ho lavorato come rider ad Alessandria per la D. dal settembre del 2019 circa, ossia da dopo l'estate di tale anno fino al 2021 nel mese di dicembre. Usavo l'auto per le consegne. Ho dovuto consegnare il contratto di assicurazione a D. per poter operare. Non avevo regole di manutenzione da rispettare. Non posso dire che potevo lavorare quando volevo perché se si facevano un certo numero di prenotazioni di slot e di esecuzione degli stessi si aveva un certo punteggio per cui poi si poteva lavorare nel prosieguo del rapporto con maggior disponibilità. In particolare, se avevo un certo punteggio potevo iniziare a prenotare i turni per la settimana dopo il lunedì mattina, mentre se non l'avevo potevo iniziare a prenotarli solo al lunedì pomeriggio. Una volta che avevo prenotato gli slot, potevo disdirli fino a un'ora prima, altrimenti perdevo punteggio se non mi presentavo. Una volta iniziato il turno, con l'accensione della piattaforma sul cellulare, potevo liberamente accettare o non accettare le proposte di consegna che mi venivano inviate. Quando accettavo la consegna dovevo recarmi al ristorante dopo aver cliccato l'accettazione della consegna, poi arrivata al ristorante dovevo cliccare per confermare che ero arrivata al ristorante e poi cliccare quando ritiravo i prodotti da consegnare dal ristorante e poi ancora una volta cliccare quando avevo effettuato la consegna al cliente. Quanto al tragitto potevo scegliere quello che ritenevo anche se ero geolocalizzata per tutto il tragitto. Il compenso veniva stabilito anche in base alla distanza calcolata però in linea d'aria e a prescindere dal tragitto effettivo che poi ciascuno di noi poteva liberamente scegliere. A noi che avevamo la macchina veniva dato uno zaino grande e una borsa piccola dalla D. per conservare i prodotti con delle istruzioni sulla loro manutenzione: c'era scritto che dovevamo tenerli puliti e come pulirli. Non ero vincolata a lavorare solo su Alessandria, ma potevo lavorare anche su altre zone liberamente. Io lavoravo solo per D. e non per altre piattaforme e lo zaino ritengo fosse obbligatorio , non me l'aveva comunicato però la D. ma me lo comunicavano i ristoranti presso cui ritiravo la merce. La scelta degli slot era effettuata su mia iniziativa al lunedì. Preciso però che se al lunedì non prenotavo, perdevo punteggio e quindi dovevo lavorare per forza. Preciso anche che chi poteva prenotare al lunedì mattina aveva più possibilità di lavoro di chi prenotava il pomeriggio perché ovviamente erano residuati meno slot per il pomeriggio. Se non ricordo male all'inizio avevamo l'obbligo di lavorare al sabato sera, anche se poi dopo hanno cambiato questa regola lasciando libera la possibilità di lavorare al sabato sera”.</p><p><br /></p><p>E) L'ANALISI DELL'ISTRUTTORIA TESTIMONIALE.</p><p><br /></p><p>Dunque, le dichiarazioni dei testimoni si sono poste in modo tendenzialmente univoco, risultando attendibili e sono da analizzarsi con riguardo al periodo di causa dal gennaio 2016 all'ottobre 2020.</p><p><br /></p><p>a) In particolare, è emerso che, effettivamente, ciascun lavoratore mantiene un'autonomia nella fase genetica del rapporto, potendo optare se lavorare o meno.</p><p><br /></p><p>Poi, una volta deciso di offrire la propria prestazione, può scegliere, liberamente, tra i turni disponibili (al momento del suo accesso all'App, secondo la graduatoria del ranking), in quale lavorare, potendo, eventualmente, revocare anche tale disponibilità, comunicando tale decisione normalmente prima dell'inizio del turno.</p><p><br /></p><p>È emerso, comunque, che, anche in tale fase genetica, i turni proposti ai collaboratori sono collegati a determinate località (da scegliere da parte dei lavoratori), cosicché, una volta optato per uno di questi, è in tale luogo e nell'orario indicato che il collaboratore deve recarsi, come illustrato da M.F. con le seguenti parole</p><p><br /></p><p>“per lavorare, dovevo accedere all'app il lunedì per prenotare gli slot liberi per la settimana successiva e se cliccavo sullo slot automaticamente potevo lavorare in quella fascia oraria senza necessità di conferme ulteriori. Il giorno del servizio nell'orario stabilito accendevo poi l'app della piattaforma e c'era necessità che io mi trovassi in una zona prestabilita, definita dalla zona a me assegnata che non so definire in termini di metri quadri, perché corrispondeva a una zona colorata all'interno dell'app”.</p><p><br /></p><p>In più, è risultato che c'è un ranking collegato alla affidabilità e alla scelta di turni nei picchi di lavoro e che chi ha un punteggio più alto ha la possibilità di avere una precedenza nella prenotazione dei turni (cfr. anche, in tal senso, l'art. 3.4 del doc. 11 ric.).</p><p><br /></p><p>Il che è di grande interesse per il singolo collaboratore, perché non si può, infatti, di norma, accedere all'App in orari diversi dalle fasce orarie “prenotate” collegate a dei luoghi stabiliti mostrati dalla piattaforma (teste S.D.G.), salvo che ci siano ancora delle fasce “non prenotate” disponibili (teste M.M.).</p><p><br /></p><p>Dunque, l'organizzazione della D SRL tramite la scelta dei turni collegati a determinati luoghi e al vincolo di eseguire la prestazione nell'ambito degli stessi, nonché alle priorità di scelta determinate dal ranking, già influisce sull'organizzazione dei collaboratori, in qualche modo, anche nella fase genetica, che pur si deve ritenere ancora connotata da autonomia per la fondamentale libertà dei prestatori di scegliere o meno se e quando lavorare, di revocare la disponibilità manifestata e di accettare o meno gli ordini proposti.</p><p><br /></p><p>b) La mancanza di autonomia dei riders è emersa, tuttavia, in modo significativo nella fase funzionale della relazione giuridica.</p><p><br /></p><p>Infatti, una volta scelto dal corriere, nella fase genetica del rapporto, se rendersi disponibile alla prestazione collegandosi alla App SSB, tutta la restante fase esecutiva è risultata pesantemente definita, in modo unilaterale, dalla D SRL.</p><p><br /></p><p>I) In particolare, il collaboratore è tenuto a connettersi alla piattaforma entro 15 minuti dall'inizio del turno. Poi, se decide di effettuare la commessa proposta, accetta l'ordine di consegna con un primo tasto sulla App, quindi, deve recarsi al ristorante e cliccare un nuovo pulsante sulla piattaforma, dovendo fornire conferma alla preponente del suo arrivo in tale luogo, quindi deve dare un'ulteriore attestazione sulla piattaforma per la ricezione del cibo da parte del ristoratore e ancora deve cliccare un ultimo tasto sulla stessa al momento della consegna al cliente.</p><p><br /></p><p>In questo senso, infatti, ha, ad esempio, chiarito M.M. - con dichiarazioni uniformi degli altri testimoni - che “una volta che il rider accetta l'ordine poi deve recarsi al ristorante e deve dare una prima conferma dell'arrivo al ristorante sull'app e poi una seconda conferma con la recezione dell'ordine, cliccando sui relativi tasti della piattaforma. Poi si reca dal cliente e anche lì deve cliccare sul tasto “consegnato” della piattaforma. Puo' effettuare liberamente il tragitto che ritiene e viene pagato a seconda della lunghezza del percorso secondo un tragitto ipotetico predeterminato dall'app”.</p><p><br /></p><p>Da tali attestazioni, emerge, perciò, che (salva la facoltà per il rider di rifiutare ordini non graditi e di scegliere liberamente il tragitto da effettuare con il proprio veicolo per raggiungere il ristorante e il cliente) resta che l'intera esecuzione della prestazione, una volta accettato l'ordine, tramite il sistema di geolocalizzazione, è controllata e disciplinata, passo a passo, nelle sue singole fasi, dalla piattaforma, che obbliga il collaboratore ad attestare non solo l'accettazione dell'ordine, ma altresì, il suo arrivo al ristorante, l'acquisizione del cibo da recapitare e la consegna dello stesso al cliente, con appositi tasti da cliccare.</p><p><br /></p><p>Il collaboratore, dunque, è tenuto a presentarsi entro 15 minuti all'inizio del turno ed è costantemente controllato e disciplinato in questo senso nell'esecuzione delle singole fasi della propria prestazione. In più, un ulteriore segno della mancanza di autonomia organizzativa del corriere si rinviene nella disposizione per cui non può accettare contemporaneamente più ordini ed organizzarsi così, per proprio maggior guadagno, per una consegna plurima, secondo le proprie scelte, salva opzione in tal senso della opponente (cfr. i testi M.F., S.D.G., A.ME. e M.M.).</p><p><br /></p><p>Cioè, solo la D SRL può decidere, disponendo evidentemente, anche sotto questo aspetto, dell'organizzazione del collaboratore, che questi effettui una consegna multipla.</p><p><br /></p><p>In questo senso, ad esempio, M.M. ha affermato che “prima di prendere un nuovo ordine il rider deve aver concluso l'ordine accettato prima, tranne che la stessa ricorrente crei un ordine doppio da accettare come tale”.</p><p><br /></p><p>Dunque, si può concludere che ciascun rider, oltre all'autonomia nella fase genetica del rapporto circa la scelta di sé e quando lavorare per la opponente, non conserva un'autonomia di alcun rilievo nella fase funzionale della relazione giuridica, nella quale non solo sono vincolati i luoghi e i tempi di lavoro dopo la scelta del lunedì per la settimana successiva dei turni nella piattaforma, ma soprattutto, nella fase poi esecutiva di tali prestazioni programmate, perde ogni possibilità di autonomia a causa della guida vincolata dell'App SSB che lo impegna a presentarsi entro 15 minuti dall'inizio del turno e, poi, lo controlla nell'intera prestazione, inducendolo non solo a attestare con un pulsante l'accettazione dell'ordine, ma, dopo di ciò, a cliccare il tasto di arrivo al ristorante, quello di recezione del cibo, quello di consegna al cliente, con continua geolocalizzazione del suo operato (cfr. i testi M.F. e A.ME.) e senza possibilità di organizzarsi diversamente, ad esempio, scegliendo di eseguire più ordini contemporaneamente (salvi ordini plurimi così come tali già programmati dalla D SRL).</p><p><br /></p><p>E' qui da aggiungere, per completare l'analisi dal lato documentale, che, dal negozio tipo (doc. 11 ric.) emerge, comunque, la possibilità per il rider di farsi sostituire da terzi (art. 3.7), ma si tratta di facoltà mai posta in essere nella fase esecutiva del rapporto da parte dei collaboratori, come esplicitato nel verbale del 23 febbraio 2021 (pag. 9) e non contestato nel ricorso (cfr. pag. 57 ric.).</p><p><br /></p><p>Per quanto, dunque, la facoltà di “subaffidamento” del servizio costituisca un elemento che è stato valorizzato dalla giurisprudenza europea - pur non vincolante per la materia che non implica applicazione del diritto eurounitario, né una qualificazione del collaboratore come “lavoratore” ai sensi delle direttive comunitarie - al fine della conferma dell'autonomia del rapporto (cfr. Corte di giustizia ordinanza del 22 aprile 2020 nella causa C-692/19), nel caso, non essendo stata mai tale facoltà di cui all'art. 3.7 del negozio tipo posta realmente in essere da nessuno tra ben 19.000 lavoratori nell'arco di quattro anni, dal 2016 al 2020, non può costituire elemento probatorio di alcun tipo per asseverare un'autonomia nella “fase esecutiva”. Infatti, mai tale clausola, pur prevista in astratto, è entrata nella sua fase attuativa.</p><p><br /></p><p>Sicché, si può osservare come l'unica autonomia restata al collaboratore, nella fase funzionale, è quella di scegliere il tragitto da effettuarsi (una strada piuttosto che un'altra) ed eventualmente rinunciare ad eseguire alcuni ordini (con facoltà che sembra, peraltro, più collegata alla possibilità di lavorare se e quando si ritenga, più tipica della fase genetica che di quella esecutiva), risultando certamente come subvalente rispetto al controllo e ai vincoli della prestazione operati tramite l'App nei termini sovraesposti.</p><p><br /></p><p>Resta, infatti, che il corriere, una volta che accetti di eseguire l'ordine, è pienamente sottoposto, in ogni sua singola fase, all'organizzazione dell'opponente, nella quale è inserito, con modalità esecutive disciplinate unilateralmente dalla stessa e con propria autonomia residua assai limitata.</p><p><br /></p><p>Dall'altro verso, si osservi pure che l'intera organizzazione della D SRL si fonda, per le consegne da effettuarsi, sulle prestazioni dei riders, pienamente inseriti nella stessa, disciplinata unilateralmente tramite la piattaforma, secondo le modalità suddette.</p><p><br /></p><p>E' bene, poi, qui precisare che, ai fini del presente giudizio, non rilevano, in alcun modo, le modifiche operate dalla società, per il periodo dal novembre 2020 in avanti, in quanto lasso temporale non oggetto di causa.</p><p><br /></p><p>Occorre, a tal punto, anche sottolineare come le regole comportamentali finora descritte, che vengono a determinare la modalità esecutiva della prestazione nelle sue fasi (l'esigenza di cliccare i tasti all'arrivo al ristorante, alla consegna del cibo, al momento del suo recapito al cliente, con continua geolocalizzazione e con impossibilità di organizzarsi liberamente con consegne plurime), non possono collocarsi nell'ambito di un coordinamento ai sensi dell'articolo 409 cpc, in quanto sono unilateralmente disposte tramite la piattaforma dalla D SRL per tutti gli operatori in modo indistinto e non frutto di un libero accordo sulle modalità operative tra le parti.</p><p><br /></p><p>i) Cioè, poiché si tratta di disposizioni imposte generalmente dalla opponente a tutti i lavoratori che vogliano collaborare con la piattaforma della stessa, senza evidentemente possibilità alcuna di trattativa sulle medesime da parte dei singoli prestatori, non resta che concludere come siano di provenienza unilaterale della committente e come non si possa configurare, per le stesse, quindi, l'elemento della coordinazione di cui all'articolo 409 n. 3 cpc, che, diversamente richiede un accordo tra le parti e non una prescrizione vincolante di una sola di esse.</p><p><br /></p><p>ii) Poi, una volta che si sia così esclusa la possibilità di ricadere nell'ambito di un rapporto di coordinazione ex articolo 409 n. 3 cpc, per l'esame delle stesse si può notare come tali disposizioni, per i motivi finora esposti, rendano l'eterorganizzazione marcata al punto da “rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente”, vincolandolo in modo pregnante nell'intera esecuzione della prestazione, secondo le parole utilizzate dalla Suprema Corte nella sentenza menzionata, e non siano così compatibili nemmeno con una prestazione puramente autonoma ex art. 2222 cc e, dunque, neanche con quella, sempre di tipo autonomo, di cui all'art. 47 bis e ss. del D.lgs. n. 81/15, in cui il lavoratore, ricevuta la commessa, dovrebbe potersi gestire liberamente nella esecuzione dell'incarico.</p><p><br /></p><p>Vengono, del resto, a riguardare aspetti importanti delle modalità dell'esecuzione della prestazione che, nell'ambito del rapporto di lavoro autonomo, normalmente, sono lasciati alla valutazione e alla responsabilità del singolo lavoratore.</p><p><br /></p><p>Infatti, qualora si trattasse di lavoro autonomo, dovrebbe permanere nella libertà del rider la gestione della prestazione dopo l'accettazione dell'ordine di consegna tramite la piattaforma, non dovendo render conto del momento di suo arrivo al ristorante, di quello di ricezione del cibo e di quello di consegna al cliente e potendo organizzarsi nella gestione del tempo lavorativo anche per poter realizzare il recapito di ordini plurimi, senza continua geolocalizzazione.</p><p><br /></p><p>Proprio mantenendo l'esempio contenuto nel ricorso (pag. 65), d'altronde, un lavoratore autonomo come un elettricista, qualora possa considerarsi effettivamente tale, se debba recarsi in un magazzino per eseguire una prestazione, non è tenuto a comunicare al committente, passo passo, l'esecuzione della stessa, con l'effetto di sottoporsi al suo pregnante controllo, a pena della perdita dell'autonomia nella gestione dell'incarico.</p><p><br /></p><p>II) A ciò, si possono, poi, aggiungere, ad abundantiam, ed ad ulteriore conferma, altri elementi emersi nell'istruttoria testimoniale, laddove è stato dichiarato che venivano pure date ulteriori istruzioni sulla modalità della prestazione.</p><p><br /></p><p>Ad esempio, Sabatini Diaz ha affermato che c'era anche un codice di comportamento del rider presente sulla piattaforma, con prescrizioni come la necessità di essere rispettoso con il cliente, inoltre c'erano regole su come pulire lo zaino e su come portare il cibo al cliente e dei consigli su come gestire il proprio mezzo.</p><p><br /></p><p>M.MA. ha affermato che, in un video, si illustravano le regole della strada ai rider e si invitava gli stessi al loro rispetto.</p><p><br /></p><p>A.ME. ha riportato di un manuale con delle indicazioni da parte della stessa opponente circa la modalità con cui tenere in cura il mezzo e per la sua manutenzione, con indicazioni circa il rispetto delle regole della strada e per la pulizia dello zaino e della restante strumentazione.</p><p><br /></p><p>Pure L.Y. ha affermato l'esistenza di una disciplina della ricorrente per conservare i prodotti con delle istruzioni sulla loro manutenzione (“c'era scritto che dovevamo tenerli puliti e come pulirli”).</p><p><br /></p><p>Anche in tal caso, si tratta di aspetti importanti delle modalità dell'esecuzione della prestazione che, nell'ambito del rapporto di lavoro autonomo, rimangono nella valutazione e nella responsabilità del singolo lavoratore, non rientrandovi normalmente disposizioni del committente circa il rispetto da tenere nei confronti degli altri, circa l'esigenza di mantenere una condotta consona alle leggi nella guida e per le regole stradali, circa la cortesia da utilizzare nei confronti dei clienti, circa la modalità con cui tenere in cura il mezzo e per la sua manutenzione e con indicazioni circa la pulizia dello zaino e della restante strumentazione.</p><p><br /></p><p>La D SRL, quindi, è venuta a disciplinare, ulteriormente, ogni passaggio della procedura di ritiro e consegna, con le regole impartite dalla stessa nel senso appena illustrato.</p><p><br /></p><p>Si tratta, dunque, in modo evidente, di ulteriori significative indicazioni che vengono a caratterizzare e disciplinare la fase esecutiva della consegna da parte del lavoratore per opera della committente, in maniera per alcuni versi comparabile a un rapporto di lavoro dipendente e in modo diverso rispetto alla fattispecie di cui all'articolo 2222 cc (e di cui all'art. 47 bis del D.lgs. 81/15), nella quale tali scelte sono lasciate nell'ambito di valutazione e responsabilità del lavoratore (e non potendo integrare nemmeno quella del rapporto di lavoro coordinato e continuativo ex articolo 409, n. 3, cpc, essendo unilateralmente imposte alla generalità dei collaboratori e non concordate).</p><p><br /></p><p>Appare palese, infatti, come qualora un preponente affidi una commessa di lavoro autonomo senza entrare nell'organizzazione di chi debba eseguirla, debbano restare nella valutazione e nella responsabilità di quest'ultimo, ossia nella propria libera organizzazione, le scelte circa le già esaminate modalità della consegna e del ritiro (nel caso, cadenzate puntualmente in ogni fase), ma anche quelle concernenti il rispetto da tenere nei confronti degli altri, la condotta consona alle leggi, una corretta condotta di guida, la cortesia da utilizzare nei confronti dei clienti le valutazioni di opportunità circa la manutenzione del mezzo di trasporto e della strumentazione.</p><p><br /></p><p>Per la complessiva indagine svolta, perciò, si può confermare che al rider, viceversa, resta solo la libertà decidere se e quando lavorare e se accettare o meno la consegna da effettuare e, una volta che abbia aderito all'incarico, scarsissima autonomia in quella esecutiva, dovendo recarsi presso il ristorante, ricevere la merce e consegnarla al cliente, secondo le indicazioni dei luoghi di ritiro e consegna stabiliti dall'App, con un'esecuzione dettagliata nei termini sovraesposti.</p><p><br /></p><p>Nella fase esecutiva, vi è, quindi, sostanzialmente, solo la facoltà di scegliere, a proprio piacimento, il tragitto da effettuarsi (una strada piuttosto che un'altra) e di rinunciare ad alcune consegne (con facoltà che sembra, peraltro, più collegata alla possibilità di lavorare se e quando si ritenga, più tipica della fase genetica che di quella esecutiva), con autonomia minimale che risulta, dunque, certamente subvalente rispetto alle indicazioni comportamentali sopra riportate.</p><p><br /></p><p>Si deve, perciò, convenire come, nel caso in questione, per i collaboratori della opponente, che hanno ricevuto prescrizioni unilaterali provenienti dalla stessa e non concordate con i medesimi (cosicché non si può rientrare in un'ipotesi ex articolo 409 n. 3 cpc), con assai contenuta residua possibilità di propria organizzazione nella fase funzionale del rapporto, si sia configurata una ipotesi di lavoro eterorganizzato, ai sensi dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15.</p><p><br /></p><p>Appare, infatti, palese come al lavoratore non sia riconosciuta quella autonomia e discrezionalità operativa propria del lavoratore autonomo ex articolo 2222 cc, né una facoltà di accordarsi con il preponente in termini differenti, ai sensi dell'articolo 409, n. 3, cpc, trattandosi di direttive vincolanti per tutti i riders, che non hanno alcun potere contrattuale in merito alle stesse.</p><p><br /></p><p>Nell'ipotesi in parola, si possono, perciò, riscontrare i caratteri dell'art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015: un regime di autonomia integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e dalla disciplina unilateralmente impartita dalla opponente e finora descritta.</p><p><br /></p><p>Tramite le disposizioni suddette, cioè, si realizza pienamente il requisito della “eterorganizzazione”, che rappresenta qualcosa di più invasivo rispetto al mero “coordinamento” con il committente, tipico delle co.co.co. di cui all'articolo 409 n. 3 c.p.c., nelle quali le modalità di esecuzione della prestazione sono solo il frutto di un accordo tra le parti.</p><p><br /></p><p>Rappresenta, ad ogni modo, qualcosa di meno rispetto all'esercizio del potere direttivo e di conformazione (eterodirezione) della prestazione da parte del datore di lavoro, con valutazione, comunque, nel caso non di rilievo, non avendo domandato le parti opposte l'accertamento di una natura subordinata dei rapporti.</p><p><br /></p><p>F) GLI ULTERIORI ELEMENTI DI CUI ALL'ARTICOLO 409, N. 3, CPC.</p><p><br /></p><p>Neppure, poi, si può porre in discussione la sussistenza degli ulteriori elementi di cui all'articolo 409, n. 3, cpc, oltre alla eterorganizzazione, per l'integrazione della figura di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015.</p><p><br /></p><p>a) Innanzitutto, infatti, si deve riconoscere la natura personale della prestazione, che è ravvisabile in caso di prevalenza del lavoro del prestatore d'opera, sia sull'attività svolta dai suoi collaboratori, sia sull'utilizzazione di strutture e mezzi.</p><p><br /></p><p>Costituisce, infatti, orientamento tradizionale quello per cui, nell'ambito dei rapporti ex articolo 409, n. 3, cpc, la “personalità” si ha “in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura di natura materiale” (cfr. Cass. Sentenza n. 5698 del 19/04/2002; sentenza n. 3485 del 09/03/2001).</p><p><br /></p><p>Sempre per la stessa giurisprudenza di legittimità, quindi, tale carattere è da escludere quando il collaboratore abbia trattato la propria attività con criteri imprenditoriali, tali da far concludere che egli si limiti ad organizzare e a dirigere i suoi collaboratori, non realizzando una collaborazione meramente ausiliaria dell'attività altrui, ma gestendo “un'impresa autonoma propria” (cfr., ad es., Cass. Sentenza n. 709 del 24/01/1998; Sentenza n. 14636 del 28/12/1999; Sentenza n. 9547 del 13/07/2001).</p><p><br /></p><p>Dunque, il carattere meramente personale della prestazione si contrappone a una gestione imprenditoriale dell'attività con organizzazione di mezzi e persone.</p><p><br /></p><p>Perciò, per verificare la natura personale della prestazione, non si deve fare un confronto con i mezzi del preponente (per le collaborazioni coordinate e continuative e per quelle eterorganizzate), quanto, piuttosto, tra il lavoro del prestatore d'opera e l'attività svolta dai suoi collaboratori o le strutture e i mezzi di cui fruisca.</p><p><br /></p><p>Non si tratta, quindi, di fare un paragone con la piattaforma di proprietà della preponente D SRL, quanto piuttosto tra il lavoro personale del singolo corriere e i mezzi da questi utilizzati, quali uno smartphone e un veicolo, come può essere una bicicletta, un monopattino, un motorino o, a volte, un'auto.</p><p><br /></p><p>Ora, in tale valutazione, appare chiaramente come, nel caso dei riders, si debba giungere a un giudizio di una natura prevalentemente personale della prestazione, poiché, certamente elementari mezzi quali uno smartphone e un veicolo di uso comune, come quelli sopra menzionati, non possono assumere preminenza nella gestione del rapporto di lavoro in questione. L'uso di elementi così semplici conferma, piuttosto, la prevalenza del fattore umano nella prestazione.</p><p><br /></p><p>Parimenti, l'utilizzo di uno smartphone e di un veicolo per svolgere un'attività non complessa e l'assenza assoluta di collaboratori per il rider (come argomentato, la facoltà di subaffidamento, di cui all'art. 3.7 del negozio tipo di cui al doc. 11 ric., non è stata mai posta in essere: cfr. anche pag. 57 ric.) avvalorano come non si possa ipotizzare per questi un'attività di impresa, dovendosi, quindi, giudicare la prestazione come prevalentemente personale.</p><p><br /></p><p>Una volta, compiuta tale analisi, con i passaggi così delineati, con riguardo a tale requisito, non pare assumere particolare differenza la distinzione che vi è stata nella prima versione dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 e quella successiva al DL n. 101/19, con la sostituzione dell'avverbio “esclusivamente” con la parola “prevalentemente”.</p><p><br /></p><p>Infatti, appare che anche la prima versione della disposizione con il termine “esclusivamente” non potesse richiedere che il prestatore fosse totalmente privo di ogni proprio bene d'uso per rendere l'attività, ma solo che tali attrezzature non fossero particolarmente significative.</p><p><br /></p><p>Altrimenti, qualora così non si interpretasse la norma, si giungerebbe a una conclusione irragionevole, poiché un'attività, come ad esempio quella del rider, sarebbe da considerarsi “esclusivamente personale” con la possibile tutela della normativa del lavoro subordinato ex articolo 2 cit. nei soli casi di totale assenza di strumentazione propria in uso, mentre perderebbe una simile protezione chi esegua la “stessa identica prestazione”, solo per il fatto di fruire, ad esempio, di un telefono cellulare proprio, cioè di un mezzo minimale.</p><p><br /></p><p>Si deve, quindi, addivenire ad una soluzione esegetica costituzionalmente orientata ex art. 3 Cost., interpretandosi la locuzione originaria “prestazioni di lavoro esclusivamente personali” nel senso che il lavoratore non deve essere dotato di strumentazione particolarmente significativa (o di collaboratori propri) tale da porre in dubbio la natura personale della sua opera.</p><p><br /></p><p>Al termine dell'analisi, pertanto, si deve ritenere che i corrieri della D SRL che utilizzano attrezzature davvero minimali quali uno smartphone e un veicolo e che rendono il proprio operato con attività strettamente collegata alla propria persona, hanno svolto una attività frutto di una prestazione “esclusivamente personale”, in termini compatibili dunque anche con la versione originaria dell'articolo 2 cit. e senza un'autonoma organizzazione d'impresa.</p><p><br /></p><p>b) Quanto, poi, al requisito della continuatività della collaborazione, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale, ma perduri nel tempo, nel caso, la lettura del modello di contratto prodotto dall'opponente (doc. 11 ric.) mostra come il negozio sia destinato a regolare una molteplicità di prestazioni che possono susseguirsi nel tempo, secondo la libera volontà del collaboratore e non prestazioni di tipo occasionale.</p><p><br /></p><p>Quand'anche, infatti, poi la scelta del lavoratore fosse di non collegarsi affatto o solo raramente alla App, resta che il contratto stipulato - e, dunque, già la fase negoziale dei rapporti tra le parti - prevedesse e regolasse la possibilità di una molteplicità di prestazioni continuative, cosicché presentava una vocazione di tipo continuativo, nel senso che era destinato a regolare una prestazione perdurante nel tempo.</p><p><br /></p><p>In altri termini, l'esecuzione e la ripetizione della prestazione lavorativa considerata costituisce l'oggetto e il presupposto del contratto.</p><p><br /></p><p>E' qui bene pure osservare come non possa essere accolta una diversa impostazione per cui il requisito della continuatività non sussisterebbe perché non vi sarebbe, nell'ipotesi, alcun impegno contrattuale ad assicurare la prestazione di consegna e, dunque, a soddisfare “stabilmente/continuativamente” l'interesse della committenza.</p><p><br /></p><p>Infatti, si è anticipato che caratteristica del lavoro eterorganizzato, nella sua fattispecie tipica, è proprio l'ampia autonomia nella fase genetica, cosicché, nell'interpretare il requisito della continuatività, per come testualmente richiesto dall'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15, non può essere ritenuto come proprio dello stesso “un impegno contrattuale ad assicurare la prestazione di consegna”, ossia un'obbligazione del rider a una prestazione ripetuta e continuativa nel tempo, ma, al contrario, pur essendo negozialmente contemplata la possibilità di una ripetitività della prestazione, deve essere sempre lasciata la facoltà allo stesso di optare se svolgere o meno l'attività lavorativa.</p><p><br /></p><p>Sicché, in virtù della autonomia nella fase genetica da considerarsi quale elemento della figura giuridica in esame, si deve intendere la continuatività come mera “possibilità” (a scelta del collaboratore) di continua e ripetuta prestazione nei termini descritti dallo stesso contratto.</p><p><br /></p><p>Avendone tali caratteri, non si può, dunque, qualificare anche solo il negozio stipulato tra le parti in termini di occasionalità e si deve ritenere sussistente il requisito della continuatività.</p><p><br /></p><p>G) LA DISPOSIZIONE INCOMPATIBILE DI CUI ALL'ARTICOLO 10, CO. 1 DEL D.LGS. N. 81/15.</p><p><br /></p><p>Pertanto, essendovi tutti gli elementi della fattispecie, si deve affermare che, correttamente, nel verbale impugnato, si sia fatta applicazione per i collaboratori della D SRL dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che, quale regola di disciplina, estende agli stessi la normativa del lavoro subordinato, salvo il limite dell'incompatibilità.</p><p><br /></p><p>Come, infatti, chiarito dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 1663/20, si deve fare piena applicazione della regolamentazione dei rapporti di lavoro subordinato, salvo si ravvisi un'incompatibilità.</p><p><br /></p><p>Occorre, perciò, una volta stabilita, ex articolo 2 cit., la necessità di estensione della disciplina di cui all'art. 2094 cc, procedere a una valutazione di compatibilità delle singole previsioni previste per il lavoro eterorganizzato (nei limiti di quanto rilevi per il giudizio) ed è bene qui precisare che, sebbene nella causa in esame si stia valutando solo la relazione dell'opponente con gli enti pubblici, in virtù del parallelismo tra il rapporto di lavoro e quello previdenziale, tale stima debba involgere anche la relazione lavorativa nelle sue caratteristiche, dovendosi, cioè, considerare le peculiarità dell'istituto in questione.</p><p><br /></p><p>I) Ora, nel caso, tale ultima tematica della valutazione di compatibilità delle previsioni applicabili è di assoluto rilievo perché gli enti convenuti hanno proposto l'attuazione, ex articolo 2 cit., anche della regola di cui all'articolo 10, co. 1 del D.lgs. n. 81/15 per cui qualora non sia data dimostrazione di un contratto a tempo parziale, il rapporto tra le parti deve considerarsi a tempo pieno, con computo conseguente da parte degli stessi di contributi, di interessi e di sanzioni tenendo conto di un full time, indipendentemente dalla prestazione effettivamente eseguita.</p><p><br /></p><p>Dispone, infatti, l'articolo 10, co. 1, cit. che</p><p><br /></p><p>“in difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore e' dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese”.</p><p><br /></p><p>Senonché, tale norma, deve considerarsi strutturalmente incompatibile con il rapporto di lavoro finora descritto e inquadrato nell'ambito dell'art. 2 cit.</p><p><br /></p><p>Infatti, a differenza che nell'ordinario rapporto di lavoro subordinato, in quello in questione, per la sua figura normativa finora astrattamente delineata, il collaboratore mantiene un'ampia autonomia nella fase genetica, potendo scegliere se lavorare o meno e in quali periodi.</p><p><br /></p><p>Rimane pur vero che, poi, perché si configuri un'ipotesi ex articolo 2 cit., perde tale autonomia nella fase esecutiva, allorché decida di iniziare il lavoro accedendo alla piattaforma, ma, nella fase genetica, ossia nella scelta se prestare o meno la propria opera e per quanto tempo, resta non intaccata l'autonomia del medesimo.</p><p><br /></p><p>Questa caratteristica induce a ritenere, perciò, strutturalmente incompatibile l'articolo 10 cit. con l'istituto di cui all'articolo 2 cit., poiché, anche dopo l'accertamento in questione, per il prosieguo della relazione lavorativa, il collaboratore, una volta correttamente inquadrato, deve pur mantenere la possibilità di scegliere liberamente, con ampia autonomia, se lavorare o meno e con quali turni (essendo presupposto della figura giuridica un'ampia autonomia nella fase genetica), con un risultato che sarebbe inconciliabile con l'accertamento di un rapporto a tempo pieno.</p><p><br /></p><p>Infatti, qualora si dichiarasse la sussistenza di un rapporto di lavoro full time ai sensi dell'articolo 10, comma primo, del D.lgs. n. 81/15, in virtù di tale riconoscimento, poi, il prestatore sarebbe tenuto a recarsi al lavoro secondo le disposizioni vincolanti del datore di lavoro per l'ordinario orario settimanale (esattamente come accade in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno), risultando assente ingiustificato qualora non si presenti e perdendosi, così, le possibilità di autonomia nella fase genetica del rapporto di cui all'art. 2 cit.</p><p><br /></p><p>Ne deriva, come, per conservarsi l'autonomia nella fase genetica della relazione lavorativa in parola, non possa che ritenersi incompatibile l'articolo 10 cit. laddove prescrive che “in difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore e' dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno”.</p><p><br /></p><p>II) In proposito, è bene anche riflettere che neppure si potrebbe ritenere che il presente accertamento renda applicabile la disciplina del rapporto il lavoro subordinato solo per la fase esecutiva dello stesso “già posta in essere” e non per il futuro.</p><p><br /></p><p>Infatti, per quanto la verifica dell'elemento della eterorganizzazione riguardi la fase funzionale della relazione lavorativa, è escluso, nell'interpretazione proposta dalla dottrina, che l'applicazione della disciplina ex articolo 2094 cc abbia una natura sanzionatoria (e solo per il passato), dovendosi, perciò, riconoscere alla stessa capacità regolativa anche per il prosieguo dell'attività tra le parti.</p><p><br /></p><p>D'altronde, in proposito alla capacità della decisione giudiziaria di regolamentare anche il prosieguo della relazione lavorativa (e qui precisandosi ancora che, comunque, l'oggetto dell'accertamento non perviene a valutare le modifiche rappresentate nel ricorso dal novembre del 2020 in avanti, in quanto non rilevanti), si può anche aggiungere che costituisce orientamento consolidato della Suprema Corte quello per cui nell'ambito dei rapporti giuridici di durata e delle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, il giudicato formatosi sull'accertamento relativo a una fattispecie attuale spiega la propria efficacia anche per il periodo successivo alla sua formazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (cfr., ad es., Cass. Ordinanza n. 37269 del 29/11/2021; Sentenza n. 20765 del 17/08/2018; Ordinanza n. 10174 del 27/04/2018; Sentenza n. 15493 del 23/07/2015).</p><p><br /></p><p>Pertanto, si deve concludere per la non applicabilità, per incompatibilità, nella regolazione del rapporto di lavoro dei riders per cui è causa dell'articolo 10, co. 1, cit., cosicché, conseguentemente, non può trovare accoglimento la tesi per cui, anche in caso di svolgimento di poche ore di lavoro all'interno di un'unica settimana, il collaboratore debba vedersi accreditati i contributi (con interessi e sanzioni) come in un rapporto a tempo pieno ex art. 10 cit.</p><p><br /></p><p>Viceversa, i contributi possono essere conteggiati solo e nei limiti prestazioni orarie effettivamente svolte, con l'aggiunta dei relativi interessi e delle sanzioni civili.</p><p><br /></p><p>Ad ogni modo, si deve anche aggiungere, ad abundantiam, che, qualora secondo diversa interpretazione, si ritenesse compatibile anche l'articolo 10, comma primo, del D.lgs. n. 81/15, almeno per la parte di rapporto di lavoro già eseguita ed oggetto della presente causa dovrebbe farsi attuazione della previsione, comunque insita nello stesso, per cui si deve computare, “per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese”.</p><p><br /></p><p>Dunque, in ogni caso, risulta corretta l'impostazione dell'opponente volta a richiedere che sia considerata quale presupposto per il calcolo della contribuzione solo la prestazione effettivamente resa.</p><p><br /></p><p>D'altronde, poi, anche nella parallela materia della subordinazione, si può rammentare un caso similare, con riguardo alla peculiare fattispecie degli sportellisti delle agenzie ippiche, per i quali anche la Suprema Corte è venuta a chiarire che</p><p><br /></p><p>“il fatto che il lavoratore sia libero di accettare o non accettare l'offerta e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, non attiene a questo contenuto, bensì è esterno, sul piano non solo logico bensì temporale (in quanto precede lo svolgimento). Tale fatto è idoneo solo (eventualmente) a precludere (per l'assenza di accettazione) la concreta esistenza d'un rapporto (di qualunque natura); e comporta la conseguente configurazione di rapporti instaurati volta per volta (anche giorno per giorno), in funzione del relativo effettivo svolgimento, e sulla base dell'accettazione e della prestazione data dal lavoratore. L'accettazione e la presentazione del lavoratore, espressioni del suo consenso, incidono (come elemento necessario ad ogni contratto) sulla costituzione del rapporto e sulla sua durata: non sulla forma e sul contenuto della prestazione (e pertanto sulla natura del rapporto)” (cfr. Cass. Sentenza n. 9343 del 05/05/2005; cfr. anche Cass. n. 3457/2018; Cass. nn. 6761/1999, 12458/2003 e 23846/2017).</p><p><br /></p><p>Pure, in quell'ipotesi, dunque, la Corte di cassazione, peraltro nella materia del lavoro subordinato, seppur per un caso particolare, ha considerato il rapporto di lavoro solo per le volte in cui il dipendente abbia accettato di svolgerlo.</p><p><br /></p><p>H) LA PRESTAZIONE DI LAVORO EFFETTIVA.</p><p><br /></p><p>Considerato, quindi, come i contributi e i premi, con le relative sanzioni e gli interessi debbano essere computati solo con riguardo alla “prestazione effettivamente svolta”, occorre, a tal punto, andare ad individuarla in modo preciso dal lato temporale.</p><p><br /></p><p>Nel caso in questione, appare corretto misurare il tempo della prestazione, da retribuirsi secondo i parametri della subordinazione, dall'accensione da parte del collaboratore della piattaforma (login), in modo da rendersi disponibile a ricevere gli incarichi da parte della D SRL, sino allo spegnimento della stessa (logout).</p><p><br /></p><p>Infatti, si è descritta, finora, un'attività che consiste nella scelta del lavoratore di rendersi disponibile a ricevere ordini da parte della opponente e a cui deve applicarsi la disciplina del lavoro subordinato.</p><p><br /></p><p>Tale “disponibilità” inizia con l'attivazione della piattaforma e si mantiene fino al suo spegnimento, dovendosi, computare, pertanto, il “tempo lavorato” ai fini della retribuzione conforme a un lavoro subordinato nei suddetti limiti.</p><p><br /></p><p>A ulteriore supporto di tale soluzione, d'altronde, si può rilevare come l'esecuzione di un rapporto di tal fatta secondo buona fede, normalmente presupponga che chi attivi la piattaforma con il login si renda anche disponibile per le consegne, mentre, qualora, differentemente, un prestatore accendesse fraudolentemente il dispositivo solo per mostrarsi attivo e far decorrere il tempo di prestazione effettiva, si rientrerebbe in una ipotesi patologica, assoggettabile al potere disciplinare del preponente, sempre in virtù dell'estensione della normativa ex articolo 2094 cc.</p><p><br /></p><p>Quale ulteriore riprova della correttezza di tale soluzione si pongono, poi, le fatture dei riders (doc. 6 Inps) che vengono a misurare la prestazione individuando con precisione proprio l'orario del login e quello del logout, risultando il tempo intermedio tra tali limiti così come lavorato ogni giorno.</p><p><br /></p><p>Con tale soluzione, anche una prestazione minima che sia stata considerata dall'amministrazione pubblica, in tali limiti (login e logout), come “lavorata” risulta correttamente assoggettata a contribuzione, non essendovi ragioni per stabilire una soglia al di sotto della quale l'attività, da regolarsi secondo la disciplina del lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 2 cit., non debba essere assoggettata a contribuzione.</p><p><br /></p><p>I) IL CCNL APPLICABILE.</p><p><br /></p><p>Quanto, poi, all'inquadramento, risulta contestato nel ricorso (pag. 46) quello proposto nel Verbale ispettivo di cui al V livello del CCNL Logistica.</p><p><br /></p><p>In merito ai conteggi effettuati nel secondo verbale, la D SRL osserva, altresì che, pur richiamando gli ispettori quale riferimento il CCNL Logistica, poi avrebbero applicato il CCNL Commercio, per il quale, parimenti, la opponente ha affermato che non comprenderebbe i criteri di collegamento con le fattispecie in esame (cfr. pag. 49 ric.).</p><p><br /></p><p>Dunque, con la memoria, la parte sembra, perciò, contestare sia l'applicazione del CCNL Logistica che del CCNL Commercio (cfr. anche il verbale di causa) alla fattispecie dei riders che venissero a dover essere inquadrati ai sensi dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15.</p><p><br /></p><p>I) Viceversa, come anche chiarito in udienza, propende per un'applicazione al caso in questione del CCNL Rider sottoscritto il 15.9.2020 dalla Assodelivery con la UGL (doc. 27 ric.).</p><p><br /></p><p>Senonché, tale soluzione non può essere condivisa, innanzitutto, in quanto tale ultima normativa non risulta pertinente per la pressoché totalità della presente causa, che riguarda il diverso periodo dal 1 gennaio 2016 al 31 ottobre 2020, potendo evidentemente trovare l'attuazione solo dal 15 settembre 2020 in avanti.</p><p><br /></p><p>In secondo luogo, anche per tale limitato ultimo periodo, si può notare come tale contrattazione non appaia utile per regolare la fattispecie in questione, in quanto la opponente non ha dimostrato come la UGL possa essere considerata tra le organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale nel settore di riferimento ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 che statuisce che</p><p><br /></p><p>“la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.</p><p><br /></p><p>In più, nella stessa materia, si può rammentare che l'articolo 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 ha introdotto una norma interpretativa stabilendo che “l''articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”.</p><p><br /></p><p>Dunque, in alcun modo, può essere preso in considerazione il CCNL Rider del 15 settembre 2020 per regolare la fattispecie in questione, in assenza della prova della maggiore rappresentatività dello stesso.</p><p><br /></p><p>II) Quanto, poi, all'accordo integrativo del 18 luglio 2018 (doc. 29 ric.) in attuazione dell'accordo di rinnovo del 3 dicembre 2017 del CCNL Logistica, appare di problematica applicazione alla tematica per cui è causa, poiché viene a disciplinare parametri retributivi per il “personale viaggiante” ed a prevedere un orario di lavoro di 39 ore settimanali a tempo pieno e un part time minimo di 10 ore settimanali, laddove, come anticipato, viceversa, i collaboratori eterorganizzati ex art. 2 del D.lgs. n. 81/15 sono liberi di lavorare se e quando vogliono, per l'autonomia ampia nella fase genetica del rapporto che li caratterizza, cosicché non risultano assoggettabili a vincoli orari a tempo pieno o a tempo parziale.</p><p><br /></p><p>Sicché, non trovando applicazione tale accordo integrativo, non può applicarsi neppure l'articolo 2 dello stesso per la definizione di prestazione effettiva (cfr. pag. 49 ric.).</p><p><br /></p><p>III) Per la pluralità e l'importanza delle associazioni sindacali sottoscrittrici (cfr. pag. 5 – 7 di tale accordo, che contempla, peraltro anche, Cgil, Cisl e Uil), invece, si può presumere, in assenza di deduzioni e allegazioni di ciascuna parte che riportino elementi di fatto differenti, come maggiormente rappresentativo, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, il CCNL Logistica (doc. 13 Inps), nel cui 5 livello rientrano i “fattorini addetti alla presa e consegna” e che viene a specificare che le mansioni proprie dello stesso sono svolte sulla base di disposizioni o procedure predeterminate e comportano responsabilità e autonomia limitatamente alla corretta esecuzione del proprio lavoro, con parole che sembrano corrispondenti alla descrizione dell'attività propria dei riders, già svolta nella presente motivazione (art. 6 del CCNL, doc. 13 Inps).</p><p><br /></p><p>IV) In un'analoga maniera si potrebbe pure ritenere maggiormente rappresentativo il CCNL Commercio, ma l'“applicazione diretta” di tale contratto (in quanto regolerebbe i rapporti di lavoro subordinato presso l'opponente) non appare proposta dalla D SRL (cfr. anche il verbale di causa di cui all'udienza del 13 settembre 2023) e, ad ogni modo, una decisione in tal senso non appare connotata da interesse giuridico ex articolo 100 cpc, in quanto ha sostenuto la difesa della opponente che, pur anche facendosi nel Verbale impugnato richiamo al CCNL Logistica, poi, sarebbero stati applicati dagli ispettori parametri corrispondenti al CCNL Commercio nella quantificazione del dovuto (cfr. pag. 49 ric.). Cosicché, allo stato, con tale ultima constatazione della stessa parte opponente, non risulterebbe poter variare l'esito del processo circa il dovuto per una applicazione del CCNL Commercio (in tal caso, l'inquadramento sarebbe nel sesto livello che contempla parimenti la figura del fattorino: cfr. doc. 13 Inps), in luogo di quello Logistica.</p><p><br /></p><p>Pertanto, si può confermare come legittima la scelta degli ispettori di applicare ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 il CCNL Logistica, con inquadramento dei riders secondo i parametri del quinto livello.</p><p><br /></p><p>Dal lato della collocazione previdenziale, poi, dovendosi fare applicazione della intera disciplina del lavoro subordinato in quanto compatibile ex articolo 2 del decreto legislativo n. 81/15, appare corretta la scelta dell'INPS di porre la fattispecie nell'ambito della Gestione Dipendenti con le aliquote contributive per il lavoro subordinato e non nella Gestione Separata, non risultando elementi di incompatibilità sotto questo aspetto e considerato come il puntuale riferimento alla normativa ex articolo 2094 cc, di cui alla norma in esame sul lavoro organizzato, venga ad escludere le possibilità di applicazione dell'art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995 e dell'art. 50, comma 1, lett. c-bis, TUIR.</p><p><br /></p><p>D'altronde, si può anche riflettere che qualora un collaboratore dovesse impugnare il contratto per ottenere la tutela di cui all'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15, se fosse accertata la eterorganizzazione, si dovrebbe applicare “la disciplina del lavoro subordinato”. Questo comporterebbe il riconoscimento per l'interessato della retribuzione, al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, prevista per i lavoratori subordinati. Il meccanismo di estensione della tutela retributiva, dunque, trascinerebbe con sé anche gli aspetti contributivi, con inquadramento corretto nella Gestione Dipendenti.</p><p><br /></p><p>J) L'ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE E I CONTEGGI DETERMINABILI.</p><p><br /></p><p>La difesa dell'opponente ha eccepito la prescrizione quinquennale e sottolineato come il primo atto idoneo a interromperla sarebbe il Secondo Verbale, notificato in data 8 aprile 2021: da tale giorno, allora, andrebbe computata, a ritroso, la prescrizione maturata per i periodi anteriori al 8 aprile 2016.</p><p><br /></p><p>Senonché, tale eccezione non può essere accolta, in quanto non tiene conto della sospensione della prescrizione nel periodo emergenziale.</p><p><br /></p><p>In particolare, l'art. 37 del DL n. 18/2020 ha previsto la stessa per 129 giorni dal 23 febbraio al 30 giugno 2020 e, successivamente, il DL n. 183/2020, con l'art. 11, co. 9, ha aggiunto un ulteriore periodo pari a 182 giorni dal 31 dicembre 2020 e fino al 30 giugno 2021.</p><p><br /></p><p>Dunque, nella presente fattispecie, anche reputando quale atto interruttivo il verbale notificato l'8 aprile 2021, per il periodo di causa dal 1° gennaio 2016 al 31 ottobre 2020, considerando anche i suddetti periodi di sospensione, non risulta maturata alcuna prescrizione quinquennale.</p><p><br /></p><p>Con tali chiarimenti, l'importo dovuto dalla D SRL è determinabile con un conteggio matematico, cosicché si può giungere a una sentenza generica, ma definitiva (cfr. Cass. Sentenza n. 4051 del 18/02/2011; Sentenza n. 4653 del 02/04/2002; Ordinanza n. 9952 del 28/03/2022), come richiesto dai difensori di tutte le parti, che hanno domandato un accertamento che venga a definire i rapporti di lavoro, riservandosi i conteggi per eventuali somme dovute al di fuori del giudizio (cfr. il verbale di causa).</p><p><br /></p><p>Pertanto, è possibile pervenire alle conclusioni di cui al dispositivo.</p><p><br /></p><p>Quanto alle spese di lite, appare congrua una loro compensazione tra tutte le parti, in ragione della reciproca soccombenza, nonché della peculiarità e della novità della materia trattata.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p><br /></p><p><br /></p><p>Con riguardo agli accertamenti di cui ai Verbali Unico di Accertamento e notificazione n. 264-283-261 del 23 febbraio 2021, n. 2019018759/DDL del 08/04/2021 e n. 2021-00006 del 28/07/2021, dichiara la legittimità dell'inquadramento dei singoli lavoratori, per il periodo dal gennaio 2016 al 31 ottobre del 2020, nell'ambito dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 nel rapporto con la D SRL.</p><p><br /></p><p>Accerta come agli stessi lavoratori, con riguardo ai rapporti tra la parte opponente e le parti opposte, debba essere applicata la disciplina del lavoro subordinato, con inquadramento nel V livello del CCNL Logistica, con eccezione dell'articolo 10, co. 1, del D.lgs. n. 81/15, con conseguente obbligazione per contributi, interessi e sanzioni nei rapporti con l'INPS e per premi nei rapporti con l'INAIL unicamente per l'orario effettivamente svolto dai collaboratori, da determinarsi dal Login fino al Logout dalla piattaforma per ogni singolo giorno lavorativo e con versamenti da effettuarsi nella Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato, per quanto riguarda il debito nei confronti dell'INPS.</p><p><br /></p><p>Compensa le spese di lite.</p><p><br /></p><p>Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.</p><p><br /></p><p>Milano, 09/10/2023</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-61622100273356622412024-02-11T19:33:00.002+01:002024-02-11T19:33:08.618+01:00Comportamento disciplinare e operato del collega <p> È legittimo il provvedimento disciplinare se il dipendente contesta in modo arrogante l'operato del collega.</p><p><br /></p><p>Sentenza Tribunale Foggia sez. lav., 15/12/2022, (ud. 15/12/2022, dep. 15/12/2022), n.4293</p><p><br /></p><p><br /></p><p>Fatto</p><p>RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE</p><p>Con ricorso depositato in data 22/07/2020 Lu. Mo., premesso di essere dipendente del Comune di Foggia - Corpo di Polizia Municipale - con qualifica di Vice Sovraintendente della Polizia locale; di avere ricevuto, in data 13.1.2010, dall'Ufficio Procedimenti Disciplinari, contestazione disciplinare per "per violazione dell'art. 59 comma 3, lett a) e b) e comma 4, lett c) e h) del CCNL Enti locali 2016/2018 con contestuale convocazione ai sensi dell'art. 55 bis co. 4 Dlvo 165/2001" e, successivamente allo svolgimento del relativo procedimento, l'applicazione della sanzione di 6 giorni di sospensione dal servizio e dalla retribuzione; ha dedotto la illegittimità della sanzione per genericità della contestazione, insussistenza dei fatti contestati e sproporzione della sanzione rispetto alla presunta infrazione contestata ed ha, pertanto, concluso chiedendo "1. In via preliminare accertare e dichiarare la nullità del provvedimento disciplinare emesso ai danni del Sig. Mo. Lu. per difetto di specificità della contestazione; 2. Accertare e dichiarare l'illegittimità e/o nullità del provvedimento disciplinare emesso ai danni del Sig. Mo. per insussistenza dell'illecito disciplinare contestato per le ragioni tutte di cui alla narrativa del presente atto; 3.</p><p><br /></p><p>Per l'effetto, revocare e porre nel nulla il provvedimento impugnato e la relativa sanzione inflitta con ogni consequenziale provvedimento".</p><p><br /></p><p>Parte convenuta ha contestato la domanda, instando per il rigetto dell'avverso ricorso.</p><p><br /></p><p>La causa, connotata dal tentativo infruttuoso di conciliazione della lite, è stata istruita con produzione documentale e con prova testimoniale.</p><p><br /></p><p>Quindi, all'odierna udienza, tenuta ai sensi e per gli effetti dell'art. 221 del decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020 e successive modificazioni, la causa è stata decisa come da sentenza contestuale depositata telematicamente, previa acquisizione di note di trattazione scritta come in atti.</p><p><br /></p><p>Ciò posto, deve premettersi che la contestazione disciplinare ha riguardato le seguenti violazioni:</p><p><br /></p><p>"1. Inosservanza delle disposizioni di Servizio per aver abbandonato il posto di servizio senza autorizzazione in quanto comandato con orario 8-14 per le seguenti attività: Servizi anti degrado (SAD) Piazzale Vittorio Veneto - Viale XXIV Maggio - Via Podgora e via Isonzo - contrasto vendite abusive su area pubblica. Dalle ore 12 viabilità Via Manfredi altezza Supermercato "La Prima"...vietare soste irregolari.</p><p><br /></p><p>2. Condotta non conforme ai principi di correttezza verso un superiore con connotazione di particolare gravità per aver determinato un alterco sul luogo di lavoro impedendo il regolare svolgimento dei compiti d'ufficio fino ad ingenerare un malessere acuto alla persona del superiore stesso, Ispettore Ca. Se., tanto da rendere necessario l'intervento dei sanitari del 118 ed il trasporto in ambulanza dell'Ispettore medesimo presso il Pronto Soccorso con prognosi indicata in atti.</p><p><br /></p><p>3. Comportamento minaccioso e lesivo della dignità della persona".</p><p><br /></p><p>In sede di applicazione della sanzione disciplinare è stato ritenuto sussistente l'arbitrario abbandono del posto di lavoro di cui all'art. 59, comma 4, lett. c), CCNL 2018 enti locali), nonché il comportamento minaccioso - privato della connotazione della gravità ed a prescindere dal malore che ha interessato l'isp. Ca. - di cui alla lett. h) della citata norma.</p><p><br /></p><p>Ne è derivata, pertanto, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione pari a sei giorni.</p><p><br /></p><p>Deve preliminarmente rigettarsi l'eccezione di mancanza di specificità della contestazione atteso che è chiaramente enucleabile il nucleo principale della condotta addebitata al Mo..</p><p><br /></p><p>In specie, allo stesso è stato contestato di essersi reso protagonista di un alterco sul luogo di lavoro con l'ispettrice Ca., tale da avere impedito il regolare svolgimento dell'attività di ufficio oltre ad avere assunto i connotati del comportamento minaccioso e lesivo della dignità del dipendente.</p><p><br /></p><p>Il contesto spazio-temporale è agevolmente individuabile sia con riguardo al turno lavorativo cui è stato comandato il ricorrente (contenente anche l'indicazione delle aree cittadine oggetto del servizio) sia tenuto conto degli allegati alla contestazione riportanti la data del 9.12.2019.</p><p><br /></p><p>Deve rimarcarsi, sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale "la specificità è integrata quando la contestazione fornisce le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenerne integrata la violazione è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore" (Cassazione civile sez. VI, 16/10/2019, n. 26199; Cassazione civile sez. lav., 18/04/2018, n. 9590).</p><p><br /></p><p>In punto di fatto, in relazione alle reciproche allegazioni e difese in atti, può ritenersi pacifico che il ricorrente, in data 9.12.2019 è stato assegnato, unitamente al collega De Palma, al turno dalle ore 08.00 alle ore 14.00 (1) e che lo stesso si è recato verso le ore 8,30, con il De Palma, presso la sede degli "Uffici Servizi" per esigenze fisiologiche; di essersi ulteriormente intrattenuto nell'occasione in ufficio per parlare con l'isp. Ca. dei salari accessori.</p><p><br /></p><p>Primo punto controverso è la legittimità della condotta tenuta dal Mo. con riguardo all'allontanamento dal luogo in cui lo stesso doveva effettuare il servizio pattugliamento.</p><p><br /></p><p>In ordine al riparto dell'onere probatorio, è stato affermato che: "Il datore di lavoro, su cui a norma dell'art. 5 della l. n. 604 del 1966 grava l'onere della prova della condotta che ha determinato l'irrogazione della sanzione disciplinare, può limitarsi, nel caso in cui l'addebito sia costituito dall'assenza ingiustificata del lavoratore, a provare il fatto nella sua oggettività, mentre grava sul lavoratore l'onere di provare elementi che possano giustificarlo. (Nella specie, è stata ritenuta legittima la sospensione dal servizio in assenza di prova sull'esistenza di una prassi che equiparasse la mancata risposta sulla domanda di permesso all'autorizzazione ad assentarsi, in quanto non applicabile al rapporto di lavoro, avente sua propria disciplina, l'art. 20 della l. n. 241 del 1990, che detta un principio valevole nei rapporti tra privato e P.A." (Cassazione civile sez. VI, 22/06/2018, n. 16597).</p><p><br /></p><p>Altresì, in fattispecie similare è stato affermato che: "La fattispecie dell'abbandono del posto di lavoro, di cui all'art. 140 del c.c.n.l. Istituti di vigilanza privata presenta una duplice connotazione: sotto il profilo oggettivo, rileva l'intensità dell'inadempimento agli obblighi di sorveglianza, dovendosi l'abbandono identificare nel totale distacco dal bene da proteggere, mentre la durata nel tempo della condotta contestata va apprezzata non già in senso assoluto, ma in relazione alla sua possibilità di incidere sulle esigenze del servizio, dovendosi comunque escludere che l'abbandono richieda una durata protratta per l'intero orario residuo dei turno di servizio svolto; sotto il profilo soggettivo, è richiesta la semplice coscienza e volontà della condotta di abbandono, indipendentemente dalle finalità perseguite e salva la configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell'allontanamento. (Nella specie, è stato ritenuto sussistente l'abbandono del posto di lavoro da parte di una guardia giurata la quale, assegnata a un turno di lavoro notturno consistente nel piantonamento itinerante di un'area di cantiere con un'auto di servizio, se ne era allontanata senza autorizzazione)" (Cassazione civile sez. lav., 01/07/2020, n. 13410).</p><p><br /></p><p>Orbene, pur a voler ritenere detto allontanamento giustificato per far fronte ad esigenze fisiologiche del ricorrente, deve ritenersi lo stesso non più scriminato dal momento in cui il ricorrente si è volutamente trattenuto in ufficio per parlare con l'isp. Ca. in ordine al salario accessorio.</p><p><br /></p><p>Si è trattato, nello specifico, di attività ultronea priva del benché minimo collegamento con lo svolgimento dell'attività di pattugliamento cui era tenuto il Mo. in esecuzione dell'ordine di servizio per il giorno 9.12.2019.</p><p><br /></p><p>Tanto trova conferma anche nel lasso temporale utilizzato dal ricorrente al di fuori dell'attività del turno, essendosi trattenuto presso la sede dell'Ufficio Servizi dalle ore 8,30 alle ore 9,05 (v. pag. 5 del ricorso).</p><p><br /></p><p>L'ampiezza del tempo utilizzato (ben trentacinque minuti) non risulta supportare la dedotta esigenza fisiologica.</p><p><br /></p><p>Peraltro, le risultanze istruttorie non consentono di ritenere provata la dedotta autorizzazione da parte del Commissario Capo Io. al Mo. di allontanarsi da posto di servizio e, soprattutto, sostare in modo prolungato presso l'Ufficio.</p><p><br /></p><p>Tale circostanza è stata negata dallo Io. sia in ambito del procedimento disciplinare (v. verbale seduta del 25.2.2020) che nel presente giudizio laddove il teste ha dichiarato "nel giorno di causa, 9.12.2019, il Mo. non chiese alcuna autorizzazione per allontanarsi dal servizio. Lo trovai nell'Ufficio dell'Isp. Ca. quando la discussione era già in corso..." (v. verbale udienza del 25.11.2021).</p><p><br /></p><p>Né è possibile inferire dagli atti di causa l'esistenza dell'autorizzazione per facta concludentia da parte dello Io. ravvisabile - secondo la prospettazione attorea - nell'autorizzazione rivolta al Mo. di aspettare l'Isp. Ca. nella sua stanza in quanto non ancora arrivata in ufficio alle ore 8,30.</p><p><br /></p><p>Invero, tale circostanza non è corroborata da alcun atto processuale, non potendosi, sul punto, dare prevalenza alla dichiarazione testimoniale resa all'udienza del 10.2.2022 da Fr. De Pa. ("alle 8,30 abbiamo incontrato il Commissario Io., il quale ci ha invitato ad aspettare lì l'arrivo della ispettrice Ca.").</p><p><br /></p><p>In specie, la deposizione del De Pa. impone maggiore vaglio prudenziale in termini di attendibilità avendo anch'egli posto in essere - unitamente al ricorrente - la condotta di allontanamento dal posto di lavoro (oggetto di contestazione e relativa sanzione disciplinare) ed avendo partecipato, seppure in modo defilato, alla discussione intercorsa tra il ricorrente e la Ca..</p><p><br /></p><p>Sicché, le sue dichiarazioni, ingenerando sospetti di mancanza di genuinità, richiedono ulteriori e diversi riscontri probatori che, tuttavia, nel caso di specie, non si rinvengono.</p><p><br /></p><p>Invero, risulta prevalente quanto dichiarato dallo Io., sulla cui attendibilità non vi è ragione di dubitare sia in relazione al ruolo di Commissario rivestito all'interno dell'Ufficio sia in quanto rimasto estraneo al litigio da cui è scaturito la sanzione disciplinare oggetto di causa.</p><p><br /></p><p>Deve, altresì, ritenersi integrata anche l'ulteriore contestazione disciplinare.</p><p><br /></p><p>Preme innanzitutto evidenziare che lo stesso Mo. in sede di procedimento disciplinare ha dichiarato che la relazione della Ca. "non si discosta nella sostanza da quanto accaduto" (v. nota difensiva Mo. e verbale audizione), ritenendo, tuttavia, doversi attribuire diversa interpretazione ai fatti narrati dalla ispettrice in quanto scevri da atteggiamenti aggressivi in suo danno.</p><p><br /></p><p>Invero, la modalità ed il contenuto della discussione intercorsa tra il ricorrente e l'Isp. Ca. è tale da ritenere sostanziata la lesione della dignità di quest'ultima.</p><p><br /></p><p>Al riguardo, risulta dirimente la circostanza - sostanzialmente non contestata dal ricorrente - di avere posto in discussione la correttezza dell'operato della Ca. nella determinazione e regolarità del salario accessorio riconosciuto in maniera diversa ai dipendenti.</p><p><br /></p><p>Tale considerazione - emersa nel corso della discussione - implica non solo un apprezzamento negativo verso un altro dipendente peraltro, gerarchicamente superiore al ricorrente (la delibera n. 377/21 prodotta dalla parte ricorrente nelle note di trattazione scritta del 19.5.2021 non sembra influire in quanto successiva ai fatti di causa e le altre delibere risultano tardivamente prodotte rispetto al maturare dei termini di rito), ma getta inevitabilmente un sospetto di irregolarità nel determinare il salario accessorio al fine di creare diversi favoritismi tra le posizioni lavorative, con inevitabili connotati quanto meno diffamatori e, quindi, lesivi della dignità e dell'immagine del dipendente.</p><p><br /></p><p>Diversamente dal modus operandi prescelto dal ricorrente, le eventuali rimostranze sui conteggi del salario accessorio avrebbero dovuto essere fatte valere tramite il ricorso agli istituti tipici, quali note all'Ufficio competente, ricorsi al datore di lavoro o all'organo amministrativo.</p><p><br /></p><p>Non può non evidenziarsi, inoltre, l'atteggiamento di prepotenza ed arroganza tenuto dal ricorrente nel momento i cui, a fronte dell'invito della Ca. a lasciare l'ufficio, ha dichiarato che l'ufficio appartiene al Comando avendo il diritto di stazionarvi.</p><p><br /></p><p>Giova ricordare al ricorrente che lo stesso nel frangente in questione era tenuto ad espletare attività di servizio di pattugliamento delle strade cittadine come da ordine di servizio del 9.12.2019; sicché, non risulta configurabile alcuna sua posizione soggettiva legittimante la permanenza in un Ufficio cui non era addetto il giorno 9.12.2019.</p><p><br /></p><p>Né, tanto meno, il ricorrente ha dedotto e provato di avere chiesto di usufruire degli eventuali permessi connessi alla sua qualifica rivestita a livello sindacale ovvero RSU (v. relazione difensiva del Mo. e del De Pa.).</p><p><br /></p><p>La sanzione complessivamente applicata risulta congrua e proporzionata alla luce della plurilesività del comportamento tenuto (allontanamento posto lavoro, comportamento litigioso in danno di altro dipendente).</p><p><br /></p><p>Ne deriva, pertanto, il rigetto del ricorso.</p><p><br /></p><p>Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>P.Q.M.</p><p>Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Lu. Mo. nei confronti del COMUNE DI FOGGIA, con ricorso depositato il 22/07/2020, nella causa iscritta al n. 6332/2020 R.G.A.C. così provvede:</p><p><br /></p><p>- rigetta il ricorso;</p><p><br /></p><p>- condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese di lite, liquidate in complessive € 2.500,00, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.</p><p><br /></p><p>Foggia, 15/12/2022</p><p><br /></p><p><br /></p><p>DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 15 DIC. 2022.</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-65740265529380671342023-10-11T20:54:00.001+02:002023-10-11T20:54:25.075+02:00Cassazione: il giudice può fissare il salario minimo<p><br /></p><div><div>Con la <a href="http://www.lavorosi.it/fileadmin/user_upload/GIURISPRUDENZA_2023/Cass.-sent.-n.-27711-2023.pdf" rel="nofollow" target="_blank">sentenza numero 27711 del 2 ottobre 2023</a>, la Corte Suprema stabilisce che i salari previsti dalla contrattazione collettiva possono essere modificati dal giudice, e il compenso ricevuto può essere cancellato e sostituito con uno più adeguato, rispettando il minimo previsto dalla Costituzione.</div><div><br /></div><div>La situazione affrontata</div><div><br /></div><div>Il dipendente si rivolge al tribunale per ottenere un adeguamento salariale.</div><div>Il tribunale accoglie la sua richiesta, ritenendo che il compenso applicato al dipendente non sia conforme agli standard stabiliti dall'articolo 36 della Costituzione.</div><div>La Corte d'Appello, su appello della cooperativa datrice, inverte la decisione di prima istanza, sostenendo che non è necessario considerare la conformità all'articolo 36 della Costituzione per quei rapporti di lavoro regolati da contratti collettivi del settore e sottoscritti da organizzazioni sindacali di rilievo nazionale.</div><div><br /></div><div>La decisione</div><div><br /></div><div>La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione della Corte d'Appello, stabilisce innanzitutto che l'articolo 36 della Costituzione garantisce due diritti distinti: da un lato, il diritto a una retribuzione "proporzionata" che assicuri una giusta corrispondenza tra il lavoro svolto e il compenso ricevuto, e, dall'altro lato, il diritto a una retribuzione "sufficiente" che garantisce un compenso non inferiore ai minimi stabiliti per assicurare al dipendente e alla sua famiglia un tenore di vita libero e dignitoso.</div><div>Il giudice, incaricato di valutare se un compenso sia conforme a questo precetto costituzionale, non può evitare di effettuare entrambe le valutazioni.</div><div><br /></div><div>Secondo la sentenza, il giudice, durante questa analisi, può anche discostarsi dai minimi salariali stabiliti dai contratti collettivi, se ritiene che l'articolo 36 della Costituzione sia violato, senza che ciò costituisca una violazione della libertà sindacale.</div><div><br /></div><div>In queste circostanze, secondo i Giudici di legittimità, è possibile fare riferimento sia ai salari previsti dai contratti collettivi del settore o per mansioni simili, sia a indicatori economici e statistici (anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041) per determinare il giusto salario minimo costituzionale.</div><div><br /></div><div>Sulla base di questi principi, la Corte Suprema accoglie il ricorso del dipendente e annulla la decisione impugnata, rinviando la questione per ulteriori valutazioni.</div></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-36022952697749344042023-09-14T20:01:00.002+02:002023-09-14T20:01:58.552+02:00Norme sulla privacyUnknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-83736087217752032242023-05-23T10:22:00.002+02:002023-05-25T10:28:26.925+02:00Onere processuale di contestare fatti specifici e analitici<p> Sentenza del Tribunale Torino sez. I, 01/03/2023, (ud. 28/02/2023, dep. 01/03/2023), n.909</p><p>Fatto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>1) Nel presente giudizio F. s.r.l. citava in giudizio L. N. Film s.r.l. esponendo: 1) di essersi accordata con la convenuta in data 17.09.2020 per la produzione associata di un film denominato 'L'uomo che disegnò Dio'; 2) che i termini contrattuali previsti per le varie fasi della realizzazione del film non furono rispettati a causa delle restrizioni derivanti dall'emergenza Covid, da qualificare come forza maggiore; 3) di aver nelle more sostenuto spese preparatorie per E 49.521,04; 4) che la convenuta, tuttavia, contestandole vari inadempimenti fra cui quello di non aver iniziato le riprese del film nei tempi concordati, risolse il contratto, realizzando il film con altro soggetto; 5) di voler pertanto ottenere la restituzione di quanto corrisposto per conto della convenuta, anche a titolo di arricchimento senza causa; 6) in occasione delle note scritte in vista della prima udienza di trattazione l'attrice in via di reconventio reconventionis domandava il risarcimento dei danni patrimoniali e d'immagine, pari ad E 53.000,00.</p><p><br /></p><p>L. N. Film s.r.l., quindi, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dell'avversaria domanda, rilevando: 1) che l'attrice si era resa inadempiente nell'effettuare gli incombenti necessari per la realizzazione del film, mettendo a rischio l'ottenimento dei contributi statali già richiesti, al contrario di parte convenuta; 2) di aver pertanto inviato apposite diffide ad adempiere (in data 09.12.2020 ed in data 02.02.2021), con conseguente risoluzione di diritto del contratto; 3) che dal mese di settembre 2020 non vigeva più una legislazione emergenziale che impedisse di realizzare il film; 4) la non debenza delle somme chieste a titolo di arricchimento ingiustificato, posto che l'importo di E 30.000,00 di quanto richiesto costituiva in realtà il rimborso delle spese sostenute dalla convenuta per la sviluppo e la pre-produzione del film, posto che E 2.513,60 rappresentano le tasse di registrazione dei contratti presso l'Ufficio delle Entrate e posto che le ulteriori spese allegate non erano riferibili alla produzione del film ed erano state corrisposte a terzi; 5) di aver patito dei danni dal momento che l'attrice si era impegnata a sostenere i costi di produzione del film non coperti dai contributi pubblici, sino ad un massimo di E 222.000,00, sicché risultava in concreto risarcibile il danno per il compenso per la produzione che l'attrice aveva riconosciuto alla convenuta, pari ad E 99.520,00, e ad altri danni minori ancora, per un totale di E 108.024,51, somma che veniva elevata con la memoria n. 1 ad E 181.224,51 alla luce dei costi di post produzione sostenuti dalla convenuta ma che sarebbero dovuto essere a carico dell'attrice alla luce delle considerazioni che precedono.</p><p><br /></p><p>La causa giungeva infine a decisione, senza l'ammissione delle prove richieste dalle parti.</p><p><br /></p><p>2) Nel merito il Tribunale osserva quanto segue.</p><p><br /></p><p>Le parti avevano concordato la realizzazione in comune del film 'L'uomo che disegnò Dio' con contratto del 17.09.2020 che prevedeva determinate tempistiche per l'avanzamento del film (inizio riprese entro fine 2020, fine riprese febbraio 2021, montaggio entro aprile 2023 e copia campione entro il termine definito essenziale del maggio 2021), tempistiche che spettava a F. garantire essendo lei, in concreto, il soggetto che doveva realizzare il film.</p><p><br /></p><p>Ciò non è quindi pacificamente avvenuto, secondo F. a causa delle restrizioni alla possibilità di girare i film imposti dalla normativa emergenziale anti-Covid, mentre secondo la convenuta sarebbe stato possibile girare il film, con conseguente inadempimento grave dell'attrice, come sanzionato dalle diffide ad adempiere inviate, con conseguente risoluzione di diritto del contratto.</p><p><br /></p><p>Il film, alla fine, è stato girato dalla convenuta in proprio, utilizzando un proprio marchio quale apparente produttore ('L'altro film'), il che vuol dire che tutte le spese necessarie per la realizzazione alla fine sono state sostenute direttamente da L. N. Film, sicché non può essere condivisa la tesi di F. secondo cui sarebbe stato un altro produttore (ovvero una società terza) a sostenere i costi di produzione: pag. 9 conclusionale): così evidentemente non è, visto che 'L'altro film' è semplicemente un marchio di L. N. Film.</p><p><br /></p><p>Dunque, tutti i costi per la realizzazione del film allegati dalla convenuta sono riconducibili alla stessa convenuta.</p><p><br /></p><p>3) Va quindi esaminata in primo luogo la questione relativa alla responsabilità contrattuale di F., che sta alla base della legittimità della risoluzione contrattuale intimata da parte convenuta e della correlata domanda risarcitoria formulata da L. N. Film, che ha affermato di aver dovuto sostenere per la produzione del film delle spese che in base all'accordo sarebbero state di competenza di F. o di non aver ricevuto i compensi pattuiti.</p><p><br /></p><p>Ovviamente, trattandosi di domanda risarcitoria, la condanna dell'attrice presuppone un inadempimento della stessa, con conseguente legittimità della risoluzione del contratto intimata da parte convenuta a mezzo di diffida ad adempiere.</p><p><br /></p><p>Ritiene, quindi, il Tribunale che F. si sia resa inadempiente agli obblighi contrattualmente assunti, che le imponevano, sostanzialmente, di compiere le operazioni necessarie per la realizzazione del film.</p><p><br /></p><p>Ora, posto che il mancato adempimento è non contestato, va valutato se la giustificazione addotta dalla difesa di F. valga ad esonerarla da ogni sindacato di colpa.</p><p><br /></p><p>L'attrice, infatti, afferma di non aver dato inizio alla realizzazione del film a causa della normativa emergenziale anti-Covid esistente, il che varrebbe come causa di forza maggiore.</p><p><br /></p><p>Tale giustificazione ad avviso del Tribunale non è condivisibile.</p><p><br /></p><p>Al riguardo va premesso che il contratto è stato stipulato nel mese di settembre 2020, allorquando era già esistente la normativa emergenziale, sicché F., quale professionista, era perfettamente consapevole del contesto normativo in cui avrebbe dovuto realizzare il film: deve pertanto ritenersi, anche per il principio di autoresponsabilità ed in un'ottica di interpretazione secondo buona fede, che essa ritenesse di essere in grado di rispettare le tempistiche per la realizzazione del film concordate con la società convenuta.</p><p><br /></p><p>Successivamente alla stipulazione del contratto, in effetti, F. non ha allegato l'insorgere di nuovi interventi normativi che avrebbero reso impossibile la realizzazione del film, limitandosi sul punto ad affermazioni del tutto generiche.</p><p><br /></p><p>In effetti, l'attività cinematografica, dal mese di settembre 2020 in poi, poteva essere eseguita pur con le dovute cautele, come chiaramente dimostrato dai documenti prodotti da parte convenuta (doc. 17, 18 e 19), anche in forza di un protocollo sanitario settoriale stipulato nel mese di luglio 2020 (doc. 33 parte convenuta).</p><p><br /></p><p>Del resto, le attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, aventi codice ATECO 59.11.00, non venivano sospese nemmeno nelle c.d. 'zone rosse' dal DPCM del 03.11.2020 (doc. 15, colore che dal 03.11.2020 al 28.11.2020 contraddistingueva la Regione Piemonte, ove doveva essere effettuata la maggior parte delle riprese).</p><p><br /></p><p>In particolare, in Piemonte sono state registrate molte produzioni (tra film e serie televisive anche italiane, e quindi non solo kolossal hollywoodiani, come invece affermato da F.) proprio nel periodo temporale in cui F. avrebbe dovuto realizzare il film oggetto di causa: si veda sul punto il doc. n. 42 di parte convenuta.</p><p><br /></p><p>Nel caso di specie, quindi, l'inadempimento è stato pressoché totale, non avendo F. neppure compiuto le attività preparatorie di natura contrattuale ed amministrativa, come tali del tutto insensibili alle emergenze sanitarie (che comunque non impedivano di girare).</p><p><br /></p><p>Ad esempio, F. non ha provveduto (si riprende, in modo parziale, l'elenco delle contestazioni svolte dalla convenuta): 1) a scontare presso gli istituti bancari i contratti ed i bandi forniti dalla L. N. Film, ovvero anticipare le somme necessarie a coprire l'intero costo del film ed ottenere così la liquidità necessaria per l'inizio delle riprese; 2) ad anticipare il 'tax credit' al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo ed a presentare la documentazione necessaria per dare avvio alla produzione del Film; 3) ad assolvere gli obblighi e le incombenze necessarie affinché il Film potesse beneficiare del credito di imposta alla produzione e della concessione del contributo selettivo (3.b. iii del contratto); 4) a far sottoscrivere il contratto all'attore Kevin Spacey ed al suo Agente Società Cangrande, provvedendo al versamento dell'acconto pari al 20% del compenso complessivo in favore del primo e pari al 50% in favore del secondo; 5) a far sottoscrivere alla L. N. Film il contratto per la consulenza artistica ed editoriale del signor L. N. (quale Produttore Creativo del film), corrispondendo allo stesso un acconto pari al 20% del compenso pattuito, ossia E 50.000,00 come da art. 3.c del contratto 2;</p><p><br /></p><p>6) a corrispondere alla L. N. Film l'importo Iva portato dalla fattura n. 14 del 22.09.2020; 7) a versare l'acconto di E 10.000,00 a favore del regista e attore F. N. dovute per il differimento dell'inizio delle riprese; 8) ad assumere il personale necessario alla scenografia entro il 14.12.2020; 9) a versare l'anticipo del fabbisogno di scena entro il 14.12.20; 10) a concludere l'accordo contrattuale per la Location del film entro il 04.12.2020 per poter iniziare le riprese prima della fine dell'anno e così via.</p><p><br /></p><p>Alcuni di questi inadempimenti sono stati pure espressamente riconosciuti da F. (doc. n. 3 di parte convenuta) ad inizio del mese di novembre 2020.</p><p><br /></p><p>Le polizze assicurative a tutela del cast, inoltre, potevano essere stipulate, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di F., tanto che successivamente esse sono state stipulate direttamente dalla convenuta, come emerge dal doc. n. 32 da questa prodotto, che non è una mera proposta di L. N. Film, ma il contratto che risulta sottoscritto anche da un broker assicurativo (dal che si deduce che l'attore F. N. era assicurabile malgrado l'età avanzata, contrariamente a quanto sostenuto dall'attrice).</p><p><br /></p><p>Alla luce di un così radicale inadempimento diviene allora irrilevante sapere se l'attrice Thurman poteva o non poteva essere effettivamente assoldata, o se uno specifico direttore della fotografia non voleva impegnarsi temendo il contagio (ma tale evento non era certo ostativo alla realizzazione del film tanto la stessa F. era alla ricerca di un altro direttore della fotografia):</p><p><br /></p><p>F., infatti, era colpevolmente in ritardo sull'intera organizzazione del film.</p><p><br /></p><p>La proposta di F. di iniziare la realizzazione del film come da pec inoltrate nel mese di aprile 2021 è pertanto del tutto tardiva, in quanto avvenuta quando il contratto era già stato legittimamente risolto a seguito dell'inoltro della diffida ad adempiere datata 02.02.2021 di cui al doc. n. 7 di parte attrice.</p><p><br /></p><p>Il contratto, pertanto, è stato legittimamente risolto dalla convenuta alla luce dell'inadempimento pressoché totale di F. in relazione alle tempistiche di realizzazione del film ed in relazione al compimento di tutte quelle attività che sono necessarie per iniziare le riprese.</p><p><br /></p><p>4) Quanto ai danni che la convenuta L. N. Film reclama, va detto che F. si era obbligata a sostenere il costo di produzione e di post-produzione del Film (art. 3.b.i) e nel caso di insufficienza dei contributi derivanti dalle Fonti di copertura (ossia il Credito Imposta Produzione, il Contributo Selettivo a fondo perduto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Contributo derivante dal Bando della Regione Piemonte e quello di Rai Cinema), l'attrice avrebbe dovuto sostenere le ulteriori somme necessarie per la realizzazione del lungometraggio (art. 4.a e 4.b).</p><p><br /></p><p>Fatta questa premessa in diritto, va quindi detto che le Fonti di copertura della produzione del film sono state pari ad E 1.270.000,00, sicché la differenza rispetto al budget previsto per la produzione (E 1.492.000,00) è pari ad E 222.000,00.</p><p><br /></p><p>Ciò posto, va detto che L. N. Film ha allegato e documentato di aver sostenuto spese non coperte dalle Fonti di copertura per un determinato importo, rispetto a cui parte attrice ha svolto solo due difese.</p><p><br /></p><p>La prima è irrilevante, perché basata sull'assunto dell'assenza di inadempimento da parte dell'attrice avendo questa formulato proposte per la realizzazione del film nel mese di aprile 2021, ma a quella data il contratto era già stato legittimamente risolto dalla convenuta.</p><p><br /></p><p>Con la seconda difesa F. allega 'la mancata prova del danno e l'indeterminatezza delle allegazioni' e null'altro: trattasi di difesa manifestamente generica ed infondata.</p><p><br /></p><p>Circa la determinatezza delle allegazioni, infatti, parte convenuta ha dettagliato quali sono stati i costi sostenuti o i mancati introiti, specificando la somma di E 73.200,00 per la post produzione visiva con realizzazione VFX; la somma di E 99.520,00 che F. avrebbe dovuto corrispondere alla convenuta a titolo di Producer Fee, ossia il compenso per la produzione, in forza dell'art. 3.d. e 5.b; la somma di E 835,71, a titolo di interessi sul Fido Bancario per E 650.000,00 che la convenuta ha dovuto richiedere alla Banca Alpi Marittime in sostituzione di F.; l'IVA della fattura n. 14 del 22.09.2020 emessa dalla L. N. Film a F., pari ad E 6.600,00, IVA che non è mai stata corrisposta da F. con la conseguenza che l'imposta per il valore aggiunto è stata versata direttamente dalla convenuta; le spese per la tutela legale stragiudiziale, pari ad E 1.068,80, per un totale complessivo di E 181.224,51 di danni correlati all'inadempimento di F..</p><p><br /></p><p>Dunque, contrariamente a quanto genericamente sostenuto dalla difesa attorea, L. N. Film ha compiutamente allegato i danni lamentati, producendo altresì la relativa documentazione a supporto.</p><p><br /></p><p>Ebbene, rispetto a tale allegazione e produzione documentale, la contestazione attorea si palesa del tutto generica e come tale essa è del tutto irrilevante, dovendosi infatti ricordare che 'la parte nei cui confronti vengano allegati determinati fatti in modo analitico e specifico ha l'onere, qualora detti fatti rientrino nella sua sfera di conoscibilità, di contestarli in modo altrettanto specifico, fornendo la propria versione ed indicando fatti diversi, contenenti precisi riferimenti, che li smentiscano. Tenendo presente che il grado di specificità della contestazione deve essere valutato in concreto in relazione alle singole controversie potendo variare a seconda del livello di conoscenza del fatto da parte del soggetto nei cui confronti è allegato e a seconda della precisione del fatto allegato dalla controparte una contestazione generica produce l'effetto, proprio per la sua genericità, di determinare una relevatio ab onere probandi e di rendere i fatti allegati pacifici' (Trib. Monza, 05/01/2011; Cass. civ., Sez. lavoro, 15/04/2009, n. 8933).</p><p><br /></p><p>In altre parole, 'il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la "sussistenza dei presupposti di legge" per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che l'assicuratore designato dal fondo vittime della strada non avesse contestato la circostanza che il responsabile del sinistro fosse privo di copertura assicurativa, attesa l'inidoneità della generica eccezione di mancanza dei presupposti previsti dalla legge affinché l'impresa designata potesse essere convenuta in giudizio)':</p><p><br /></p><p>Cassazione civile, sez. III, 06/10/2015, n. 19896; Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, n. 21227).</p><p><br /></p><p>A ciò si aggiunga che 'in materia di prova civile, la generica deduzione di assenza di prova senza negazione del fatto storico non è equiparabile alla specifica contestazione di cui all'art. 115 c.p.c.' (Corte di Cassazione, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17889 del 27/08/2020).</p><p><br /></p><p>La non contestazione specifica, peraltro, non riguarda solamente le voci di danno lamentate dalla convenuta, ma anche il budget ed il piano finanziario del film come allegati già con la comparsa costitutiva.</p><p><br /></p><p>Alla luce di quanto precede, pertanto, il danno patito dalla convenuta deve essere riconosciuto nella misura dalla stessa indicato.</p><p><br /></p><p>5) Parte attrice, inoltre, nel corso del giudizio ha formulato in occasione della prima udienza (note scritte) una domanda risarcitoria qualificata reconventio reconventionis rispetto alla domanda di risarcimento del danno formulato da L. N. Film.</p><p><br /></p><p>Tale domanda, pertanto, ha un oggetto diverso dalla domanda di rimborso delle spese sostenute inizialmente formulata, avendo ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale e di immagine subito.</p><p><br /></p><p>Come meglio chiarito con la memoria n. 1 attorea, 'la domanda riguarda il mancato guadagno di F. che è stato illegittimamente introitato dalla L. N. Srl quest'ultima e la società 'L'ALTRO FILM' si è appreso essere la stessa cosa'.</p><p><br /></p><p>Parte convenuta ha contestato l'ammissibilità della suddetta domanda in quanto F. avrebbe potuto formularla sin dall'atto di citazione (come dimostrato dal fatto che in tale atto l'attrice si fosse riservata la proposizione in altro giudizio della domanda risarcitoria), non dipendendo dalla domanda riconvenzionale della convenuta.</p><p><br /></p><p>Ora, che F. avrebbe potuto formulare sin dall'atto di citazione la domanda formulata alla prima udienza è indubbio, ma ciò non implica l'inammissibilità della domanda riconvenzionale, la cui ammissibilità va valutata semplicemente alla luce del fatto se essa dipenda dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cassazione civile sez. II, 25/02/2019, n.5415).</p><p><br /></p><p>Nel caso concreto la domanda risarcitoria formulata da parte attrice si pone in risposta alla domanda risarcitoria formulata da parte convenuta: tale domanda, dunque, è fondata sul medesimo contratto dedotto in giudizio ed è volta ad una definizione globale degli assetti economici derivanti dal citato contratto, e come tale deve essere considerata ammissibile.</p><p><br /></p><p>Essa, tuttavia, è radicalmente infondata sia perché, come visto nei paragrafi che precedono, la responsabilità per la risoluzione del contratto è da addebitare a F. (e dunque la parte inadempiente non è legittimata a chiedere il risarcimento del danno in quanto danno 'giusto' e non ingiusto), sia per totale mancanza di elementi di prova a suo supporto, il che impedisce pure la liquidazione in via equitativa, mancando anzi addirittura le necessarie allegazioni degli elementi costitutivi dei danni patiti.</p><p><br /></p><p>Parte attrice, nel caso di specie, neppure ha allegato quali sarebbero gli elementi costitutivi o di prova, anche presuntivi, di tale danno, il quale non può ritenersi sussistente in re ipsa.</p><p><br /></p><p>Infatti, è stato ad esempio recentemente affermato che 'in tema di responsabilità civile, il danno all'immagine ed alla reputazione (nella specie, "per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi"), in quanto costituente "danno conseguenza", non può ritenersi sussistente "in re ipsa", dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento'(Cassazione civile sez. VI, 28/03/2018, n. 7594); si veda anche Cassazione civile sez. II, 09/11/2018, n.28742 secondo cui 'il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato "in re ipsa", ma deve essere provato secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell'alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto. Ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico').</p><p><br /></p><p>Tale deficit allegatorio e probatorio impedisce, pertanto, pure di procedere a una liquidazione in via equitativa.</p><p><br /></p><p>Quanto precede vale pure per i danni patrimoniali asseritamente patiti da F. a titolo di mancato guadagno causati dalla mancata realizzazione del film: anche in relazione a tale tipologia di danno, infatti, la mancanza di allegazioni specifiche sulle modalità di calcolo del danno si palesa radicale, nulla avendo F. allegato e prodotto, il che impedisce pure di procedere ad una liquidazione equitativa del danno.</p><p><br /></p><p>Infatti, 'l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, però, la parte interessata per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso dall'onere di dimostrare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre. (Così statuendo, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, reiettiva della domanda risarcitoria per difetto di prova del "quantum", non avendo il danneggiato prodotto in giudizio la documentazione fiscale e contabile, successiva all'evento dannoso, che attestasse la lamentata riduzione dei ricavi conseguenza dello stesso)': Cassazione civile sez. III, 17/10/2016, n. 20889; Cass. civ., Sez. II, 07/06/2007, n. 13288).</p><p><br /></p><p>6) F., infine, con la domanda iniziale ha chiesto il pagamento delle somme che essa afferma aver sostenuto per la realizzazione del film, somme di cui la convenuta si sarebbe pertanto avvantaggiata dopo la risoluzione del contratto.</p><p><br /></p><p>Il contratto, in effetti, deve ritenersi definitivamente risolto in quanto, quand'anche la diffida ad adempiere inviata dalla convenuta non fosse ritenuta valida, in ogni caso esso sarebbe divenuto impossibile da eseguirsi posto che alla fine il film è stato realizzato senza l'intervento di F..</p><p><br /></p><p>La risoluzione del contratto, quindi, ha effetti restitutori ex artt. 1458 e 1463 c.c. (ogni pagamento effettuato diviene indebito e va pertanto restituito, il che opera anche a favore della parte inadempiente) e risarcitori (ovviamente, solamente a favore della parte non inadempiente, posto che il risarcimento del danno presuppone l'individuazione di un soggetto colpevole).</p><p><br /></p><p>Infatti, 'l'efficacia retroattiva della risoluzione, per inadempimento, di un contratto preliminare</p><p><br /></p><p>comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso' (Cassazione civile sez. II, 30/11/2022, n. 3528).</p><p><br /></p><p>L'iniziale domanda attorea di rimborso/restituzione, dunque, deve essere assunta nell'ambito applicativo della ripetizione dell'indebito a seguito del venire meno del vincolo contrattuale.</p><p><br /></p><p>In altre parole, le spese che parte attrice deduce aver versato direttamente alla convenuta sono astrattamente ripetibili alla luce del venir meno del vincolo contrattuale.</p><p><br /></p><p>L'azione di ripetizione, tuttavia, ha natura personale, e quindi può essere rivolta esclusivamente nei confronti della controparte contrattuale che ha ricevuto il pagamento.</p><p><br /></p><p>Le somme corrisposte a terzi nell'interesse della convenuta, dunque, non possono essere oggetto della domanda di ripetizione.</p><p><br /></p><p>Tuttavia, l'azione di ripetizione non è l'unica a disposizione del contraente a seguito della risoluzione del contratto.</p><p><br /></p><p>Infatti, 'in presenza di indebito oggettivo la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione eseguita e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole degli art. 2033 ss. c.c., operando altrimenti - ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l'azione generale di arricchimento prevista dall'art. 2041 c.c.' (Cassazione civile sez. III, 15/04/2010, n. 9052).</p><p><br /></p><p>L'azione di ingiustificato arricchimento è infatti contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l'inammissibilità ogni qualvolta il danneggiato, per farsi indennizzare del pregiudizio subito, possa esercitare, tanto contro l'arricchito che nei confronti di una diversa persona, altra azione, secondo una valutazione da compiersi in astratto e prescindendo, quindi, dal relativo esito (Cassazione civile sez. I, 20/11/2018, n. 29988).</p><p><br /></p><p>Nel caso di specie, quindi, parte attrice in relazione alle somme corrisposte a terzi nel dichiarato interesse della convenuta non può rivolgere verso costoro alcuna domanda, dal momento che le predette somme hanno remunerato prestazioni lavorative effettivamente rese dai citati terzi, ragion per cui astrattamente la domanda azionabile verso L. N. Film è quella di arricchimento, che pure è stata indicata quale possibile causa petendi.</p><p><br /></p><p>L'arricchimento, infatti, può essere costituito anche da un risparmio di spesa posto che 'a norma dell'art. 2041 c.c. a fronte di un vantaggio economico e di un corrispondente depauperamento, in assenza di un contratto o di un atto di liberalità o di una disposizione di legge, in assenza dunque di uno specifico mezzo, già predisposto dal legislatore, è possibile ricorrere all'azione residuale di arricchimento senza causa ex artt. 20412042 c.c.. Per configurare la fattispecie dell'arricchimento senza causa occorre che una parte abbia conseguito un vantaggio patrimoniale (arricchimento inteso anche nel senso di risparmio di spesa o di perdita evitata) con contestuale impoverimento dell'altra parte, che può concretarsi anche nella perdita o mancato utilizzo di un bene, o nel mancato pagamento di una prestazione. Vi deve essere pertanto tra i due eventi (locupletazione/depauperamento) un nesso di causalità inteso anche nel senso che deve sussistere un unico fatto che genera lo squilibrio patrimoniale' (Cassazione civile sez. I, 04/09/2013, n. 20226).</p><p><br /></p><p>In altre parole, 'i presupposti per l'esercizio dell'azione di ingiustificato arricchimento sono rappresentati dall'unicità del fatto da cui deriva la locupletazione di un soggetto, dalla correlativa diminuzione patrimoniale di un altro e dall'assenza di una causa idonea a giustificarle: la proponibilità dell'azione va comunque esclusa qualora la parte alleghi di aver subito un mancato guadagno, più che un depauperamento patrimoniale effettivo e concreto' (Cass., n. 5690/2011).</p><p><br /></p><p>Fatta questa premessa in linea generale, va quindi detto che nel caso di specie nessuna delle somme richieste in restituzione da parte attrice può esserle riconosciuta in quanto, qualora ciò avvenisse, la convenuta vedrebbe accrescersi il delta fra costo del film e Contributi pubblici, delta che, tuttavia, secondo le previsioni contrattuali, erano a carico di F..</p><p><br /></p><p>In altre parole, dal momento che le somme oggetto della domanda principale di parte attrice sono eccedenti rispetto ai contributi pubblici ricevuti da L. N. Film, esse non possono essere retrocesse a F. in quanto, se ciò fosse disposto, la convenuta vedrebbe aumentato il danno di cui ha chiesto ristoro in questa sede.</p><p><br /></p><p>Ed infatti a titolo di risarcimento del danno la convenuta ha ottenuto, tra l'altro, l'importo dell'Iva da lei versata al posto di F. in relazione alle medesime fatture di cui F. ha chiesto il rimborso del capitale: se l'Iva deve stare a carico di F. (con conseguente condanna al risarcimento del danno dell'attrice per non aver corrisposto l'Iva), allo stesso modo anche il capitale, altrimenti la convenuta vedrebbe aumentare il suo danno, e tale ragionamento vale per tutte le somme chieste in restituzione da F..</p><p><br /></p><p>Anche questa domanda formulata da parte attrice, dunque, deve essere rigettata.</p><p><br /></p><p>7) Alla luce di quanto precede, pertanto, può essere accolta solamente la domanda della convenuta volta al pagamento della somma di E 181.224,51 a titolo di risarcimento del danno contrattuale, oltre interessi ex art. 1284 c.c., comma 1 e non 4 trattandosi di obbligazione di valore, e con rivalutazione (riconoscibile anche d'ufficio trattandosi, per l'appunto, di obbligazione di valore) con decorrenza, in via equitativa, dalla data della domanda giudiziale (non tutte le voci di danno si sono verificate nello stesso momento, sicché in via equitativa viene stabilita una decorrenza comune dalla data della domanda giudiziale) e sino alla data della sentenza, quando sulla somma così ottenuta decorreranno gli interessi ex art. 1284 c.c., comma 1.</p><p><br /></p><p>8) Le spese del presente giudizio seguono la complessiva soccombenza di parte attrice, venendo liquidate ex DM n. 55/2014 come modificato dal DM n. 147/2022 (il cui art. 6 prevede che 'Le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore') in conformità ai parametri medi (scaglione sino ad E 260.000,00):</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>P.Q.M.</p><p>Il Tribunale di Torino,</p><p><br /></p><p>in composizione monocratica,</p><p><br /></p><p>definitivamente pronunciando,</p><p><br /></p><p>disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione,</p><p><br /></p><p>nel contraddittorio delle parti,</p><p><br /></p><p>Rigetta le domande tutte formulate da F. s.r.l.</p><p><br /></p><p>Condanna F. s.r.l. a pagare a L. N. Film s.r.l. a titolo di risarcimento del danno la somma di E 181.224,51 oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici dei prezzi per le famiglie di operai ed impiegati ed interessi legali ex art. 1284 c.c., comma 1, sulla somma anno per anno rivalutata, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale e sino alla data della sentenza, quando sulla somma così ottenuta decorreranno gli interessi ex art. 1284 c.c., comma 1.</p><p><br /></p><p>Condanna F. s.r.l. alla refusione delle spese di lite a favore di L. N. Film s.r.l., spese che si liquidano in E 14.103,00 a titolo di compenso ed in E 759,00 a titolo di esposti non imponibili, oltre contributo forfetario, Iva e Cpa come per legge e successive occorrente.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Torino il 28.02.2023.</p><p><br /></p><p>Depositata in cancelleria il 01/03/2023</p><div><br /></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-9538758297679152372023-05-19T20:26:00.004+02:002023-05-19T20:26:52.060+02:00responsabilità professionale sanitaria, nel quadro anteriore alla legge n. 24/2017<p> Tribunale Napoli sez. VIII, 10/02/2023, (ud. 09/02/2023, dep. 10/02/2023), n.1499</p><p>Fatto</p><p>Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., notificato in data 29/03/2018 unitamente al decreto di fissazione della prima udienza, Li. Lo. evocava in giudizio l'Azienda Ospedaliera Universitaria dell'Università degli studi della Campania “Luigi V..”, per ottenerne la condanna al risarcimento di asseriti danni derivanti da responsabilità professionale sanitaria.</p><p>Più in particolare, parte ricorrente deduceva che:</p><p><br /></p><p>- Dal 23/11/2010 al 24/12/2010 Li. Lo. si ricoverava presso il reparto di fisiopatologia chirurgica dell'apparato digerente dell'Azienda Ospedaliera Universitaria - Seconda Università degli Studi di Napoli, oggi Università degli Studi della Campania Luigi V.., a causa di una neoplasia della giunzione gastro-esofagea, rivelatasi poi un adenocarcinoma;</p><p>- Presso la predetta struttura, il Li. era sottoposto ad intervento chirurgico di gastrectomia totale con anastomosi esofago-digiunale;</p><p><br /></p><p>- In seguito, il Li. si recava esclusivamente presso l'ambulatorio dello stesso nosocomio con cadenza settimanale, ove si sottoponeva a controllo clinico e medicazioni del sito chirurgico, fino alla completa guarigione della ferita chirurgica;</p><p><br /></p><p>- Nei giorni successivi all'intervento chirurgico, e per circa tre mesi, il Li. manifestava una profonda astenia che era tuttavia ricondotta dai sanitari esclusivamente ai postumi dell'intervento stesso;</p><p><br /></p><p>- Solo il 27/01/2012, in occasione di un prelievo ematico di controllo, emergeva la positività del Li. per anticorpi anti HCV, sintomo di contagio da virus dell'epatite C;</p><p><br /></p><p>- Il ricorrente deduceva che, nei mesi precedenti all'intervento chirurgico presso la struttura sanitaria resistente non si era mai sottoposto ad alcuna pratica chirurgica o trasfusionale potenzialmente idonea a determinare il contagio; inoltre, in data 25/11/2010 praticava lo screening ematico preoperatorio per la ricerca dell'antigene e del virus dell'epatite B (HbsAg) e degli anticorpi contro il virus dell'epatite C (HCV Ab) che risultavano entrambi assenti, né durante il ricovero subiva emotrasfusioni;</p><p><br /></p><p>- In ragione di tanto, sempre secondo quanto dedotto dal ricorrente, il contagio virale si sarebbe collocato nel periodo compreso tra l'intervento chirurgico di gastrectomia e la guarigione della ferita chirurgica, durante cui era in cura, in via esclusiva, presso il reparto di fisiopatologia chirurgica dell'apparato digerente della AOU Luigi V..;</p><p><br /></p><p>- Ancora, deduce il ricorrente, il contagio potrebbe essersi collocato in tre distinte occasioni, ossia: a) intervento chirurgico; b)medicazioni o altre manovre assistenziali effettuate durante la degenza; c) medicazioni periodiche effettuate dopo la dimissione e fino alla definitiva guarigione della ferita chirurgica; e sarebbe stato provocato, secondo la ricostruzione del ricorrente, dall'inosservanza di procedure standard oppure da inadeguata decontaminazione, disinfezione o sterilizzazione del materiale utilizzato;</p><p><br /></p><p>- In conseguenza dell'epatite C cronicizzata il Li., secondo la rispettiva tesi e la CTP offerta, avrebbe subito un danno permanente alla salute, quantificabile in misura percentuale tra il 15 ed il 20%, oltre ai danni morali; attesa l'età al tempo dei fatti (78), il risarcimento spettante ammonterebbe ad € 53.442,00, oltre personalizzazione e danno morale;</p><p><br /></p><p>- In data 10/03/2017 il Li. promuoveva procedura di mediazione, ai sensi dell'art. 5, co. 1- bis, d. lgs. 28/2010, nei confronti dell'A.O.U. “Luigi V..”, conclusasi con esito negativo per mancata adesione della struttura convenuta.</p><p><br /></p><p>Tanto premesso, il ricorrente rassegnava le seguenti conclusioni: “Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, provvedere come appresso: 1) previo accertamento di esclusiva responsabilità nella causazione dell'evento de quo condannare la Azienda Ospedaliera Universitaria - Università degli Studi della Campania “Luigi V..” - già seconda Università degli Studi di Napoli - in persona del legale rappresentante p.t. al risarcimento in favore del sig. Li. Lo. del danno biologico permanente subito nella misura accertata nella consulenza medica di parte e così come sopra quantificato in € 53.442,00 oltre personalizzazione e danno morale, il tutto maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria, ovvero nella diversa, maggiore o minor misura che mergerà dalla espletanda CTU medico legale”, il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio, da attribuirsi al procuratore antistatario.</p><p><br /></p><p>Con comparsa di costituzione e risposta del 27/04/2018 si costituiva l'Azienda Ospedaliera Universitaria dell'Università degli Studi della Campania “Luigi V..”, la quale eccepiva l'improcedibilità del ricorso, in quanto non preceduto da procedura di ATP ai sensi dell'art. 8, l. 24/2017; chiedeva, nel merito, il rigetto delle avverse pretese in quanto infondate e non provate.</p><p><br /></p><p>All'udienza del 07/05/2018 il Giudice, rilevato l'omesso esperimento di procedura per accertamento tecnico preventivo, assegnava alle parti il termine di 15 giorni per l'instaurazione della stessa, trattandosi di contenzioso soggetto alla novella di cui alla l. 24/2017.</p><p><br /></p><p>Con ricorso ex art. 696-bis, c.p.c., Li. Lo. instaurava il procedimento di istruzione preventiva rubricato con n. R.G. 14784/2018, nell'ambito del quale era espletata CTU sui fatti indicati in premessa.</p><p><br /></p><p>Proseguito, conseguentemente, il presente giudizio, all'udienza del 15/02/2021 il Giudice disponeva il mutamento del rito, assegnando alle parti termine per il deposito di memorie istruttorie.</p><p><br /></p><p>Con comparsa ex art. 302 c.p.c., del 10/06/2021, si costituivano Li. Fi. e Li. Ma., n. q. di eredi legittime di Li. Lo., del quale dichiaravano la morte. Queste chiedevano l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate nel ricorso introduttivo, esercitando in via ereditaria l'asserito diritto risarcitorio del Li..</p><p><br /></p><p>All'udienza del 06/10/2022 il Giudice introitava la causa a sentenza, con concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>La decisone della controversia in esame impone di ripercorrere il regime della responsabilità professionale sanitaria, nel quadro anteriore alla legge n. 24/2017. Infatti, come chiarito dalla Suprema Corte (Cfr. Cass. 28994/2019), l'applicazione della disciplina di cui alla legge Gelli va confinata alle fattispecie sorte dopo la relativa entrata in vigore. Depongono in tal senso il principio generale di irretroattività della legge (art. 11 disp. prel. cod. civ.), nonché l'esigenza di tutelare l'affidamento ingenerato nei consociati relativamente agli elementi costitutivi della fattispecie, incisi da interventi legislativi ad essa posteriori. La legge n. 24/2017, infatti ha innovato la qualificazione della responsabilità del personale operante nel quadro di una struttura sanitaria, con importanti ricadute in materia di prescrizione e ripartizione degli oneri probatori. Prima del menzionato intervento legislativo, la giurisprudenza di legittimità riconduceva la responsabilità professionale medica al genus di quella contrattuale, sia per l'ente sanitario, sia per i professionisti inseriti nella relativa organizzazione o, a maggior ragione, operanti privatamente. Tale arresto risultò il frutto della dialettica tra diverse ricostruzioni ermeneutiche. Infatti, un primo indirizzo inquadrava l'accettazione del paziente presso un ente sanitario quale conclusione di un contratto di prestazione d'opera, al quale restavano estranei i sanitari che effettuassero la prestazione, i quali, pertanto, potevano essere chiamati a rispondere solo a titolo extracontrattuale (cfr. Cass. 1716/1979). Un secondo orientamento argomentava l'estensione al professionista, operante nell'ente sanitario, della responsabilità contrattuale facente capo alla struttura per il caso di inadempimento della prestazione, sulla base del rapporto di immedesimazione organica e del dettato dell'art. 28, cost. (cfr. Cass. 2144/1988). In tempi più recenti, emerse un filone interpretativo incentrato sugli obblighi di protezione scaturiti dal contatto con il paziente, relativi alla salvaguardia degli interessi emergenti in occasione della prestazione sanitaria. A partire da tali obblighi di protezione, si argomentava la sussistenza di un rapporto contrattuale di fatto, con conseguente attivazione dei presidi di tutela corrispondenti (cfr. Cass. 589/1999). Proprio tale tesi, fondata sulla figura del “contatto sociale”, risultò prevalente, con la conseguenza di modulare sia la prescrizione, sia gli oneri probatori gravanti sul danneggiato, secondo il modello della responsabilità contrattuale (cfr. Cass. 1547/2004, Cass. 9085/2006, Cass. 4792/2013). Ancora, ne fu conseguenza l'adozione, quanto alla diligenza e al grado della colpa, dei principi in materia di obbligazioni da contratto d'opera intellettuale professionale (Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in motiv.; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; 14 luglio 2003, n. 11001; 21 luglio 2003, n. 11316, in motiv.).</p><p><br /></p><p>Sotto il profilo della responsabilità dell'ente sanitario, non se ne dubitava la natura contrattuale, potendo essa discendere dall'inadempimento di prestazioni direttamente a suo carico, o dall'inadempimento della prestazione medica eseguita dal personale (tra le prime pronunce in merito cfr. Cass. 1° marzo 1988, n. 2144, in Foro It., 1988, I, 2296, poi confermata da Cass. 4 agosto 1988, n. 6707; Cass. 27 maggio 1993, n. 5939; Cass. 11.4.1995, n. 4152; Cass. 27 luglio 1998, n. 7336; Cass. 2 dicembre 1998, n. 12233; Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in motiv.; Cass. 1° settembre 1999, n. 9198; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; Cass. 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316, in motiv; Cass. 4 marzo 2004, n. 4210; Cass. 14 luglio 2004, n. 13066; Cass. 23 settembre 2004, n. 19133). La giurisprudenza riconosceva la responsabilità piena ed autonoma dell'ente sanitario per i danni provocati dai propri dipendenti e, più in generale, da coloro che operassero nella struttura; responsabilità imputabile all'azienda indipendentemente dall'accertamento in concreto della responsabilità individuale dei singoli agenti. In particolare, la responsabilità dell'ente gestore per il fatto del personale, si fondava sull'operatività dell'art. 1228 c.c., e, dunque, sull'assunzione del rischio d'impresa connesso all'attività degli operatori concretamente investiti dell'esecuzione della prestazione, indipendentemente dall'inserimento di questi nell'organizzazione aziendale e dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass. 103/1999, confermata sul punto da S.S. U.U. 9556/2002). In conclusione, tanto la responsabilità della clinica, quanto quella del medico, trovavano titolo nell'inadempimento delle obbligazioni ai sensi degli artt. 1218 ss. cod. civ. (v. Cass., 19/4/2006, n. 9085; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., 11/3/2002, n. 3492; Cass., 22/12/1999, n. 589). In punto di allocazione della responsabilità, per i danni derivati dall'inadempimento di contratti diversi, ossia il contratto di spedalità facente capo alla casa di cura ed il contatto sociale qualificato instauratosi con il medico, questi sono corresponsabili in solido. Infatti, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se l'unico evento dannoso è imputabile a più soggetti, è sufficiente, al fine di ritenere la responsabilità di tutti nell'obbligo di risarcimento, che le azioni o omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento (Cass. 15/06/1999, n. 5946; Cass., 28 gennaio 1985, n. 488; Cass., 4 dicembre 1991, n. 13039; Cass., 10 dicembre 1996, n. 10987). Ciò discende dai principi generali che regolano il nesso di causalità ed il concorso di cause egualmente efficienti della produzione di un determinato danno, esplicitati, in materia di responsabilità extracontrattuale, dall'art. 2055 c.c. (cfr. Cass. 23918/2006). Come già sottolineato, l'art. 1228 c.c. addossa alla struttura sanitaria i rischi connessi all'operato degli ausiliari, per il sol fatto dell'appropriazione dei risultati utili della prestazione. La misura della colpa dell'operatore rileva, al più, ai fini dell'esperibilità e della misura della rivalsa dell'ente, ma non può essere invocata per eludere la solidarietà esterna nei confronti del danneggiato. Più specificamente, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale. È ammessa la rivalsa integrale solo qualora l'ente sanitario dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione (in tal senso Cass. 28987/2019). La qualificazione in termini contrattuali della relazione qualificata ente sanitario - paziente e medico - paziente genera importanti ricadute in tema di onere probatorio. Dalla detta natura contrattuale in un recente passato conseguiva sotto il profilo dell'onere probatorio (Cass., 15 gennaio 1997, n. 364, in Foro It., 1997, I, 771) che, qualora il trattamento o l'intervento non fossero di difficile esecuzione, il mero aggravamento della situazione patologica del paziente o l'insorgenza di nuove patologie eziologicamente collegabili ad essi comportava, a mente dell'art. 1218 c.c., una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione; in conseguenza, il paziente che chiedeva il risarcimento del danno subito assolveva all'onere probatorio che gli incombeva dimostrando:</p><p><br /></p><p>a) l'aggravamento delle sue condizioni o l'insorgenza di nuove patologie;</p><p><br /></p><p>b) il rapporto causale tra le stesse ed il trattamento o l'intervento.</p><p><br /></p><p>Spettava, quindi, all'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - fornire la prova che la prestazione professionale fosse stata eseguita in modo idoneo e che quegli esiti peggiorativi fossero stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. Si faceva in altre parole applicazione del principio (già affermato nel diritto anglosassone) della res ipsa loquitur inteso come evidenza circostanziale che crea una deduzione di negligenza (Cass., 22 gennaio 1999, n. 589). L'onere della prova veniva quindi ripartito tra le parti nel senso che spettava al medico provare che il caso fosse di particolare difficoltà e al paziente quali fossero le modalità di esecuzione inidonee, ovvero a questi spettava provare che la prestazione fosse di facile esecuzione ed al medico che l'insuccesso non fosse dipeso da suo difetto di diligenza (Cass. 19 maggio 1999, n. 4852; Cass. 4 febbraio 1998, n. 1127; Cass. 30 maggio 1996, n. 5005; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2335; 16 novembre 1988, n. 6220). I risultati sopra riassunti sono stati, però, riletti dalla più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 28 maggio 2004, n. 10297, nonché, in senso sostanzialmente conforme, le successive Cass. 11 giugno 2004, n. 11488, e Cass. 29 luglio 2004, n. 14488; Cass. 23 settembre 2004, n. 19133) in coerenza con il principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell'inadempimento e dell'inesatto adempimento. Con la richiamata pronunzia le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici in tema di onere probatorio in materia contrattuale, che vedeva attestata la giurisprudenza su una distinzione basata sull'oggetto della domanda: si riteneva, cioè, che, nel caso in cui chiedesse l'esecuzione del contratto e l'adempimento delle relative obbligazioni, l'attore dovesse provare soltanto la fonte del rapporto dedotto in giudizio, ossia l'esistenza del negozio e quindi dell'obbligo che assumeva inadempiuto; mentre nel caso in cui avesse domandato la risoluzione del contratto ovvero il risarcimento del danno dovesse provare anche il fatto su cui la domanda era fondata, ossia l'inadempimento, spettando al convenuto di dare la prova della non imputabilità di esso (Cass., 9 gennaio 1997, n. 124; Cass., 24 settembre 1996, n. 8435). Tale orientamento, tuttavia, è stato sottoposto a rigorosa critica, osservandosi come la distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale implichi oneri probatori diversi circa l'individuazione dei fatti costitutivi della pretesa, rimanendo così irragionevole differenziare l'onere probatorio in funzione delle differenti domande che l'attore intendesse proporre in via contrattuale; e ciò anche perché il criterio della cd. vicinanza della prova, secondo cui l'onere della prova di un fatto deve essere posto a carico della parte cui esso si riferisce, impone di ritenere che l'inadempimento, che nasce e si consuma nella sfera di azione del debitore, non possa essere provato dal creditore, dovendo, viceversa, essere il debitore a provare l'inimputabilità. Sulla scorta di quanto innanzi il supremo giudice di nomofilachia ha statuito che il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Analogamente è stato disposto con riguardo all'inesatto adempimento, rilevandosi che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento. Applicando, allora, questo principio all'onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico ovvero della struttura sanitaria deve ritenersi che il paziente, che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del sanitario o della struttura, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l'obbligazione professionale in un'obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (così anche Cass. 4210/04, rel. Segreto, secondo cui la prova della mancanza di colpa deve essere fornita dal debitore della prestazione, per cui dell'incertezza sulla stessa se ne deve giovare il creditore; si tratta, come detto, del principio di vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla e non vi è dubbio che la prova sia vicina a chi ha eseguito la prestazione; così da ultimo Cass., 11 novembre 2005, n. 22894, secondo cui, appunto: in tema di responsabilità civile nell'attività medico chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il contatto e allegare l'inadempimento del professionista, che consiste nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico dell'obbligato -sia esso il sanitario o la struttura la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile). In tale ottica mette conto all'uopo richiamare la parte motiva di Cass., 19 maggio 2004, n. 9471, rel. Travaglino, secondo cui si è giunti a chiedere al danneggiato soltanto la prova del nesso causale e della facilità di esecuzione dell'intervento (intervento cd. routinario), mentre la colpa, anche lieve, si presume sussistente ogni volta che venga accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del paziente. La colpa medica giunge così a sfiorare, capovolgendo la situazione originaria di protezione speciale del professionista, una dimensione paraoggettiva della responsabilità, salva la prova di aver eseguito la propria prestazione con la dovuta diligenza, con la trasformazione dell'obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, di modo che, prosegue il S.C., il detto accertamento deve indirizzarsi: a) sulla natura facile o non facile dell'intervento del professionista; b) sul peggioramento o meno delle condizioni del paziente; c) sul nesso causale e sulla sussistenza della colpa (lieve nonché presunta, se in presenza di operazioni di routine o ben codificate, grave, se relativa ad operazione che trascende la preparazione media ovvero non sufficientemente studiata o sperimentata, con l'ulteriore limite della particolare diligenza richiesta in questo caso, e dell'elevato tasso di specializzazione nel ramo imposto al sanitario; d) sul corretto adempimento dell'onere di informazione circa gli esiti dell'intervento e sull'esistenza del conseguente consenso del paziente. A tale quadro ermeneutico deve aggiungersi la sentenza delle Sezioni Unite (11 gennaio 2008, n. 576, Presidente: Carbone, Estensore: Segreto) in tema di nesso causale, che accoglie, quanto alla configurabilità di quest'ultimo in sede civile, la regola probatoria del ''piu` probabile che non'', espressamente adottata dalla epigrafata pronuncia di cui a Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619, accantonando definitivamente il criterio dell'“oltre il ragionevole dubbio'' di cui alla sentenza Franzese delle Sezioni Unite penali. In effetti, la Cassazione, nella sua più alta composizione, reputa che il danno rilevi sotto due profili diversi: come evento lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, il primo dato va valutato alla stregua del criterio della causalità materiale, mentre il secondo è da vagliarsi secondo il criterio della causalità giuridica. Orbene, per la teoria della regolarità causale, ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta (attiva o omissiva) che appaiano sufficientemente prevedibili al momento in cui ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili. E tale valutazione della prevedibilità obbiettiva deve compiersi ex ante, e va compiuta in astratto e non in concreto: non in base alla conoscenza dell'uomo medio, ma alle migliori conoscenze scientifiche del momento (poiché ''non si tratta di accertare l'elemento soggettivo, ma il nesso causale''), sicché ciò che rileva non è che l'evento sia prevedibile da parte dell'agente, ma (per così dire) da parte delle regole statistiche e/o scientifiche, dalla quale prevedibilità discende da parte delle stesse un giudizio di non improbabilità dell'evento. Le profonde differenze morfologiche e funzionali tra accertamento dell'illecito civile e accertamento di quello penale si ripercuotono, dunque, sul diverso regime probatorio, che attiene alla fase giudiziale successiva la verificarsi del fatto dannoso: muta sostanzialmente, tra il processo penale e quello civile, la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova ''oltre il ragionevole dubbio'', nel secondo quella della preponderanza dell'evidenza, ossia del ''più probabile che non''. Ora, Cass., n. 975 del 16 gennaio 2009 (Rv. 606129) (Presidente: Vittoria P. Estensore: Finocchiaro M.) ha confermato che in tema di responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile; tuttavia, l'insuccesso o il parziale successo di un intervento di routine, o, comunque, con alte probabilità di esito favorevole, implica di per sé la prova dell'anzidetto nesso di causalità, giacché tale nesso, in ambito civilistico, consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non". In tempi ancora più recenti il Giudice di legittimità sembra avere mutato nuovamente indirizzo in termini di maggiore garanzia della posizione dei sanitari e di contraltare di maggiore rigore probatorio in capo al paziente. In particolare, le pronunzie più vicine in termini temporali hanno ribadito i principi enunciati dalle Sezioni Unite civili, ai punti 4.3 e 4.7 della parte motiva della sentenza 11 novembre 2008 n. 26973. Più precisamente, le sezioni Unite citate hanno precisato che nell'ambito della causalità di contatto sociale, la parte lesa ha l'onere di dare la prova del rapporto sanitario, della esistenza di una prestazione sanitaria negligente e della lesione della salute, secondo un riparto di onere della prova che imputa alla parte asseritamente inadempiente la deduzione di cause giustificative di tale inadempimento, di guisa che il criterio della causalità non è quello proprio della imputazione penale secondo il criterio rigoroso della quasi certezza, ma è quello civilistico e probabilistico, già espresso dalle S.U. civili nella sentenza n. 577 del 11 gennaio 2008. Onere di offrire - in termini di allegazione puntuale - prova della esistenza di una prestazione sanitaria negligente ribadito anche da ultimo Cass. 19024/18 e Cass. 14/11/2017, n. 26824; Cass. 07/12/2017, n. 29315; Cass. 13/01/2016, n. 344; Cass. 20/10/2015, n. 21177; Cass. 31/07/2013, n. 18341; Cass. Sez.U. 30/10/2001, n. 13533; Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. Sez. U. 11/01/2008, n. 577. Peraltro, Cass. 27855/2013 ha chiarito come nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l'esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno, di talché, solo quando lo sforzo probatorio dell'attore consenta di ritenere dimostrato il contratto (o contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, scatterà l'onere del convenuto di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno.</p><p><br /></p><p>Da ultimo i giudici di legittimità hanno chiarito come sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa; l'art. 1218 c.c., solleva infatti il paziente della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento; è infatti onere dell'attore danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno; (in tal senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164-01 e Cass., sez. 3, 14/11/2017, (ud. 13/09/2017, dep. 14/11/2017), n. 26824, da ultimo Cass. ord. n. 192014/2018). Questo orientamento in tema di onere della prova è stato da ultimo confermato, per cui è pacifico che spetti al paziente dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa del medico ed il danno. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non comporta automaticamente il riconoscimento della responsabilità del medico agente il mancato assolvimento dell'onere di dimostrare l'esattezza della prestazione medica e l'assenza di incidenza causale dell'inadempimento della prestazione sanitaria sulla produzione dei danni subìti da un paziente, poiché è necessario accertare previamente l'ottemperamento dell'onere probatorio attoreo che consiste nel dimostrare la condotta colposa del responsabile, il nesso di causa tra quest'ultima ed il danno sofferto, elementi che pertanto costituiscono accertamenti distinti (cfr. Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29853 e da ultimo Cass. sent. n. 6593/19). Rimane ferma, per la giurisprudenza di legittimità più recente, la ricognizione di due distinte parabole causali, l'una relativa all'evento dannoso, a monte, l'altra relativa all'impossibilità di adempiere, a valle. Sicché, il nesso di causa tra malpractice medica ed evento dannoso deve essere provato dal creditore/danneggiato. In subordine al raggiungimento della prova sui fatti costitutivi della domanda, compete al debitore/danneggiante fornire la prova liberatoria in ordine alla impossibilità di adempiere. Più specificamente, mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa non prevenibile ed improbabile abbia reso impossibile la prestazione (cfr. Cass. Civ, Sez. III, n. 28991/2019; Cass. civ. sez. III - 02/09/2022, n. 25886).</p><p><br /></p><p>Sulla estensione delle incombenze probatorie spettanti al danneggiato incide la peculiare configurazione della responsabilità medica, la quale si discosta dalla figura generale della responsabilità contrattuale, per il fatto che la causalità materiale assume una tangibile demarcazione rispetto all'inadempimento. Infatti, per la figura generale, l'inadempimento si traduce nella lesione dell'interesse tutelato dal contratto, e dunque si risolve, di per sé stesso, nel danno evento, con la conseguenza che, pur essendo causalità materiale ed inadempimento distinguibili sul piano concettuale, la prova dell'inadempimento assorbe quella del nesso di causa. Ciò non avviene in relazione all'inadempimento di prestazioni professionali. L'interesse sotteso al contratto, in tal caso, non si identifica con il risultato utile perseguito dal creditore (la propria guarigione, in ambito sanitario), bensì è circoscritto all'aderenza dell'operato professionale alle leges artis ed alla misura della diligenza applicabile. Di talché, il danno evento (aggravamento o insorgenza di nuova patologia) non è immanente nella violazione delle leges artis e del canone di diligenza, ma potrebbe essere conseguito a diversa eziologia. In ragione di tanto, all'onere del creditore/danneggiato di allegare la connessione naturalistica fra la lesione della salute e la condotta del medico, si somma quello di provare quella connessione. La verifica del raggiungimento di tale prova, si ispira - nel processo civile - al criterio della “preponderanza dell'evidenza”, quale combinazione di due regole: la regola del "più probabile che non" e la regola della "prevalenza relativa" della probabilità. Sotto il primo profilo, comporta la verifica comparativa degli elementi di conferma, o di confutazione, di un enunciato. L'affermazione della verità dell'enunciato implica che vi siano prove preponderanti a sostegno di essa: ciò accade quando vi sono una o più prove dirette che confermano quell'ipotesi, oppure vi sono una o più prove indirette dalle quali si possono derivare validamente inferenze convergenti a sostegno di essa. La regola della "prevalenza relativa" della probabilità rileva quando all'ipotesi, formulata dall'attore, in ordine all'eziologia dell'evento stesso, possano affiancarsene altre, e che le varie ipotesi abbiano ricevuto diverso grado di conferma alla luce delle risultanze probatorie. In base a tale criterio, il Giudice deve preferire l'enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili (cfr. Cassazione civile sez. III - 06/07/2020, n. 13872).</p><p><br /></p><p>Quanto al contenuto della prova liberatoria ex art. 1218, c.c., essa è raggiunta quando il debitore/danneggiante dimostri di aver tenuto una condotta diligente o prudente nel rispetto delle norme giuridiche e delle leges artis. Più specificamente, la non imputabilità dell'inadempimento, valutata alla luce del combinato disposto degli art. 1218 c.c. e 1176 c.c., implica la verifica della diligenza in concreto esigibile, rapportata alle misure alternative che in concreto si sarebbero potute e dovute esigere dalla struttura sanitaria. Si tratta di una prospettiva che valorizza la dimensione soggettiva e concreta della colpa, rispetto alle valutazioni naturalistiche ed oggettive, in quanto l'affermazione di responsabilità della struttura sanitaria trova un limite nella misura della diligenza compatibile con la natura dell'attività professionale esercitata e nella esigibilità di un comportamento diverso alla luce delle circostanze del caso concreto. Lo stesso art. 1218 c.c., operante, per espressa previsione normativa (art. 7 legge 24/17), anche per quanto concerne ipotesi di responsabilità organizzativa delle strutture sanitarie, impone di valutare in concreto lo sforzo diligente esigibile sul piano gestionale ed organizzativo (cfr. Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, n. 25288).</p><p><br /></p><p>Dal riparto in tal modo delineato trova conferma, dunque, che "la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell'impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull'attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore” (così, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26700, Rv. 651166-01, nonché, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991, Rv. 655828-01).</p><p><br /></p><p>Attese le coordinate ermeneutiche che precedono, occorre verificare l'assolvimento degli oneri probatori incombenti sulle parti, alla luce del quadro istruttorio. Secondo la ricostruzione di parte attrice, il Li. avrebbe contratto l'infezione da virus HCV, poi degenerata in infezione cronica da epatite C, in occasione dell'intervento chirurgico di gastrectomia praticatogli presso la struttura convenuta in data 07/12/2010 o, alternativamente, nel corso della successiva degenza o delle medicazioni ambulatoriali cui si sottopose presso la stessa, sino alla completa guarigione del sito chirurgico. Inoltre, la condotta determinante il contagio sarebbe consistita, secondo parte attrice, nella omessa adozione di precauzioni standard (quali utilizzo di materiale monouso, lavaggio delle mani), oppure nella inadeguata decontaminazione, disinfezione o sterilizzazione del materiale utilizzato. Tuttavia, non v'è prova della effettiva verificazione di siffatte condotte colpose, le quali andrebbero desunte, secondo gli istanti, dall'assenza di altre possibili occasioni di contagio virale, oltre a quelle inerenti l'operazione chirurgica e l'assistenza post-operatoria. Ciò atteso, l'accertamento della fondatezza dell'ipotesi causale formulata da parte attrice presuppone, oltre che la possibilità di ricondurre la stessa ad una legge scientifica di copertura (in base alla quale le manovre chirurgiche e le successive medicazioni siano, con una certa incidenza probabilistica, idonea fonte di contagio), la sussistenza di elementi indiziari riferiti al caso concreto, confermativi della validità di tale ipotesi nella specifica fattispecie. Infatti, secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte di legittimità, l'accertamento del nesso causale secondo il criterio del “più probabile che non” non può basarsi esclusivamente sulla frequenza quantitativa - statistica delle classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma deve tenere conto degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (cfr. Cass. S.S. U.U., Sentenza n. 576 del 2008). In proposito, soccorrono le valutazioni specialistiche contenute nella perizia di ufficio, redatta dal dr. Do. Sa. (Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, in Igiene e Medicina Preventiva) e dal dr. Gu. Bo. (Specialista in Malattie Infettive, in Igiene e Medicina Preventiva, nonché in Medicina Interna). L'elaborato peritale si contraddistingue per chiarezza argomentativa e linearità logica, pertanto, è adottata dalla scrivente quale parametro di decisione, in ordine ai richiamati profili specialistici. Ebbene, il Collegio ha ritenuto quanto segue: “Parte attorea avanza l'ipotesi di aver contratto il virus dell'epatite C contestualmente all'intervento chirurgico effettuato in data 07.12.2010 ed alle cure sanitarie ricevute nel periodo immediatamente successivo (“... risulta evidente che il contagio da Virus C patito dal Sig. Li. è da ascrivere al periodo che va dall'intervento di gastrectomia alla guarigione della ferita chirurgica”). Tuttavia, come già illustrato, le cure sanitarie rappresentano solo uno dei possibili fattori di rischio per la trasmissione di HCV. Avendo il paziente eseguito la ricerca degli anticorpi anti-HCV solo quattordici mesi all'incirca dopo l'intervento, non è possibile risalire allo stato sierologico del predetto nel periodo intercorrente tra l'intervento chirurgico ed il primo test per gli anticorpi anti-HCV risultato positivo, ed è, altresì, impossibile escludere che non si siano verificate, in questo lasso temporale, situazioni di rischio per l'acquisizione dell'infezione HCV-correlata [...]. Per attribuire un nesso di causa-effetto all'ipotesi avanzata da parte attorea, ovvero per affermare che l'infezione da HCV sia stata acquisita durante l'intervento chirurgico in oggetto, o nell'arco temporale esteso fra il predetto atto operatorio, la degenza ospedaliera e le successive “pratiche chirurgiche” costituite dalle medicazioni ambulatoriali alle quali il paziente venne sottoposto, sempre presso la A.O.U. “L.V..”, fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, è necessario, quindi, escludere la presenza o il verificarsi di tutte quelle altre condizioni che possono potenzialmente aver causato la trasmissione dell'infezione durante il tempo di latenza intercorso tra il primo prelievo risultato negativo agli anticorpi anti-HCV (praticato il 24.11.2010) e il secondo prelievo risultato positivo a tali anticorpi (praticato in data 27.01.2012). Tale esclusione risulta, nel caso specifico, impossibile. Ed infatti, pur volendo reputare inverosimile il verificarsi di alcune condizioni di rischio, come l'utilizzo di droghe ed i rapporti sessuali non protetti (viste le condizioni cliniche del paziente), risulta difficile, se non impossibile, escludere completamente che la trasmissione sia avvenuta in occasione di altre condizioni di rischio, sia non correlate all'assistenza sanitaria (procedure cosmetiche), che correlate all'assistenza sanitaria. Per quel concerne queste ultime, si fa presente che il paziente, dopo l'intervento chirurgico del 07.12.2010 e fino all'esecuzione del prelievo, risultato positivo agli anticorpi anti-HCV, del 27.01.2012, è stato, peraltro, sottoposto a procedure di assistenza medico-infermieristica domiciliare. Si ricorda che tra queste, in particolare, vi era l'esecuzione di prelievi e la somministrazione parenterale di sostanze a scopo nutrizionale e terapeutico. Orbene, come si evince dalla Tabella 1, nonché dalla revisione di Pozzetto B. et al (2), sia l'utilizzo di aghi che la somministrazione di sostanze endovenose, anche a scopo nutrizionale (nutrizione parenterale), rappresentano possibili modalità di trasmissione di HCV [...]. È [...] possibile definire il momento del contagio, pur sempre con un certo margine di incertezza, solo in caso di disponibilità di un test negativo per anticorpi anti-HCV immediatamente prima del momento presunto del contagio, o contestualmente rispetto a quest'ultimo, e di un test positivo per anticorpi anti- HCV, insieme ad un test di conferma mediante ricerca di HCV-RNA, nelle successive 4-10 settimane dal momento presunto del contagio. Nel caso di specie, invece, il paziente ha eseguito per la prima volta la ricerca degli anticorpi anti-HCV solo in data 27.01.2012, vale a dire a distanza di ben 14 mesi all'incirca dall'intervento del 27.01.2012 o a circa 12 mesi dal termine delle “pratiche chirurgiche” relative alle medicazioni ambulatoriali effettuate fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, rendendo, di fatto, impossibile affermare secondo il principio di verosimiglianza medico-legale, o secondo il principio del “più probabile che non”, che l'acquisizione dell'infezione sia avvenuta, per l'appunto, durante l'inter-vento chirurgico o nel corso della degenza ospedaliera o, ancora, in occasione delle procedure di assistenza sanitaria successivamente intercorse, come le predette medicazioni della ferita chirurgica. A tale proposito, è necessario rimarcare, inoltre, come ad oggi non vi sia sufficiente evidenza, in letteratura, di casi di trasmissione di HCV imputati all'utilizzo di garze contaminate. Va, altresì, sottolineato che per le medicazioni di ferite chirurgiche vengono adoperate garze sterili, il che rende verosimilmente improbabile la trasmissione di HCV attraverso questa procedura assistenziale [...]. secondo un modello probabilistico elaborato sulla scorta dei dati disponibili in letteratura relativamente ai fattori di rischio di trasmissione di HCV durante le procedure medico-chirurgiche assistenziali, la probabilità di contrarre l'infezione da HCV durante un singolo intervento chirurgico risulta estremamente bassa. In dettaglio, nel caso in cui non sia noto lo stato sierologico di HCV dello staff chirurgico, la probabilità di trasmissione di HCV calcolata durante un singolo intervento chirurgico è compresa tra 0.00074% e 0.00008%, dato corrispondente alla probabilità di 1 caso di trasmissione di HCV ogni 135.000 - 1.200.000 interventi chirurgici (19). In conclusione, sulla scorta delle considerazioni sopra esposte e, in particolare, tenuto conto dei molteplici fattori di rischio implicati nella trasmissione dell'infezione da HCV, della presenza, nella fattispecie, di ulteriori fattori di rischio noti per la trasmissione di HCV verificatasi nel periodo intercorso tra il primo prelievo, del 24.11.2010, negativo per la ricerca di anticorpi anti-HCV ed il secondo prelievo, del 27.01.2012, positivo, ossia utilizzo di aghi ed infusione a domicilio di sostanze nutrizionali per via endovenosa, dell'impossibilità di poter definire con certezza, o con verosimile grado di sufficiente approssimazione, il momento esatto del contagio, per l'assenza di test di laboratorio effettuati nelle 4-10 settimane immediatamente successive all'intervento chirurgico del 07.12.2010 o al termine delle medicazioni ambulatoriali effettuate, sempre presso la A.O.U. “L.V..”, fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, che possiamo stimare avvenuta dopo un periodo massimo di giorni 60 all'incirca dalle dimissioni del 24.12.2010, e della probabilità stimata estremamente bassa di contagio durante intervento chirurgico, come in precedenza sottolineato, è possibile affermare che, nel caso in oggetto, secondo la corrente e corretta criteriologia medico-legale, non si riscontrano elementi tecnici di valutazione sulla scorta dei quali poter sostenere la sussistenza di nesso di casualità materiale tra il contagio con HCV patito dal sig. Li. Lo. -e che ha, poi, verosimilmente determinato la epatopatia cronica HCV-correlata da cui il predetto è affetto- e l'intervento chirurgico di gastrectomia totale praticato, in data 07.12.2010, presso il Servizio di Fisiopatologia Chirurgica dell'Apparato Digerente dell'Azienda Ospedaliera Universitaria “L.V..” di Napoli, ex “S.U.N.”, o la degenza protrattasi, dal 23 novembre al 24 dicembre 2010, presso la suddetto A.O.U. o, ancora, le richiamate “pratiche chirurgiche” costituite dalle successive medicazioni ambulatoriali alle quali il paziente venne sottoposto fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, per un periodo massimo di tempo valutabile in ulteriori giorni sessanta all'incirca dalle dimissioni del 24.12.2010” (cfr. CTU p.p. 22-28).</p><p><br /></p><p>Attese le risultanze medico-legali, non sussistono, in relazione alle circostanze concrete dell'infezione epatica contratta dal Li., condizioni tali da rapportarla eziologicamente, con grado di apprezzabile verosimiglianza, alle cure ricevute dallo stesso presso l'A.O.U. “Luigi V..” (già A.O.U. “S.U.N.”). Infatti:</p><p><br /></p><p>- La positività agli anticorpi HCV era rilevata a distanza di molti mesi dall'intervento e dal completamento delle medicazioni ambulatoriali presso la A.O.U. “Luigi V..”, con conseguente impossibilità di escludere che nel periodo intermedio siano intervenute altre occasioni di contagio;</p><p><br /></p><p>- La conseguente assenza di indici di correlazione causale compatibili con i tempi di incubazione del virus;</p><p><br /></p><p>- L'effettiva esposizione del paziente a pratiche altrettanto idonee a determinare il contagio da virus C, comprese nella finestra temporale intercorsa tra le prestazioni della convenuta e la scoperta dell'infezione;</p><p><br /></p><p>- La limitata incidenza probabilistica dei casi di contagio da HCV dovuti ad un singolo intervento chirurgico, nonché l'inidoneità delle medicazioni ambulatoriali a fungere da occasione di contagio, per l'impiego di garze sterili.</p><p><br /></p><p>Inoltre, non risultano decisive nel dissipare l'incertezza in merito alla causa del contagio del Li., le contestazioni mosse da parte attrice alla CTU. Infatti, dette contestazioni si basano sulla circostanza che il Li. avrebbe proseguito le cure ambulatoriali presso la A.O.U. “Luigi V..” oltre il periodo ipotizzato dai CTU (60 giorni successivi all'intervento), ossia sino a luglio 2011, sicché la finestra temporale tra le attività svolte presso la convenuta e la scoperta dell'infezione dovrebbe ridursi a 6 mesi. Ebbene, i CCTTUU stimavano che le medicazioni ambulatoriali effettuate dal Li. presso la convenuta si siano concluse entro un massimo di 60 giorni successivi all'intervento, basandosi sui Sentenza n. 1499/2023 pubbl. il 10/02/2023 tempi di guarigione della ferita chirurgica, e dunque in base a una valutazione di carattere tecnico scientifico. Peraltro, non è dato rinvenire convincenti elementi istruttori di segno contrario. Infatti, all'udienza del 15/02/2021 il teste Iannotta Luciano, genero del Li., dichiarava di aver accompagnato personalmente lo stesso a visita presso la A.O.U. convenuta, almeno fino al luglio 2011. Tuttavia, nulla specificava in merito alla natura delle visite, che, dunque, potevano riguardare controlli relativi al decorso clinico del paziente, diversi dalle medicazioni del sito chirurgico. Ciò valutato, la circostanza, nei limiti del riscontro testimoniale, non è suscettibile di avvalorare la provenienza del contagio sostenuta da parte attrice. Inoltre, è obbiettivamente inverosimile che la ferita chirurgica abbia necessitato di medicazioni per ben 6 mesi (considerata la data dell'intervento: 27/12/2010); peraltro, come chiarito dai CCTTUU, l'impiego di garze sterili rende altamente improbabile il contagio in occasione delle medicazioni.</p><p><br /></p><p>Dunque, rilevata la scarsa credibilità logica degli assunti di responsabilità formulati dagli attori, in relazione al quadro istruttorio, deve darsi seguito al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerta la causa del danno, le conseguenze sfavorevoli devono essere imputate all'attore, in termini di rigetto della domanda, per il mancato assolvimento dell'onere della prova sui fatti costitutivi della stessa. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere - la cui prova compete al convenuto - acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta colposa del sanitario (cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26700, Rv. 651166-01, nonché, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991). In conclusione, la domanda attorea deve essere rigettata.</p><p><br /></p><p>In ordine al governo delle spese, attesa la delicatezza della vicenda e la comprensibilità dell'iniziativa processuale volta all'accertamento delle eventuali responsabilità connesse alla grave lesione subita, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per disporne la compensazione (cfr. Cass., sez. III, 26/06/2018, n. 16828).</p><p><br /></p><p>Spese di CTU definitivamente a carico di parte attrice.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>Il Tribunale di Napoli, definitivamente pronunziando sulla controversia promossa come in narrativa, ogni ulteriore domanda od eccezione respinta o disattesa, così provvede:</p><p><br /></p><p>- Rigetta la domanda di Li. Fi. e Li. Ma. nei confronti dell'Azienda Ospedaliera Universitaria dell'Università degli Studi Della Campania “Luigi V..”;</p><p><br /></p><p>- Compensa le spese tra le parti;</p><p><br /></p><p>- Pone le spese di CTU definitivamente a carico di Li. Fi. e Li. Ma., in solido tra loro.</p><p><br /></p><p>Napoli, 09/02/2023</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-27031572237199447022023-05-08T09:24:00.004+02:002023-05-08T09:24:27.631+02:00illegittimità delle procedure di interpello e incarichi dirigenziali<p>Sentenza della Corte appello Roma sez. VII, 28/10/2022, (ud. 27/09/2022, dep. 28/10/2022), n.3534</p><p>Fatto</p><p>SVOLGIMENTO DEL PROCESSO</p><p>Con ricorso depositato il 15.1.2018, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha impugnato la sentenza in epigrafe, con la quale il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento domanda proposta da P. A., ha dichiarato l'illegittimità delle procedure di interpello impugnate relative all'incarico dirigenziale di Coordinatore dell'Ufficio patrimonio, gare e contratti e all'incarico dirigenziale di coordinatore dell'ufficio per i trattamento economico del personale, con conseguente annullamento degli esiti e ordine all'amministrazione di rinnovare dette procedure di interpello, nonché condanna della convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato equitativamente nella misura del 50% del trattamento economico complessivamente spettante alla ricorrente per il periodo dal 1.10.2016 al giorno 11.1.2017, oltre accessori di legge e rimborso delle spese processuali.</p><p>Ha resistito al gravame la P. A. chiedendone il rigetto.</p><p><br /></p><p>All'esito della discussione orale, la causa è stata decisa come da dispositivo in calce.</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>Visto l'<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/art-111-cost.html" rel="nofollow">art. 111 della Costituzione</a> ed il principio di ragionevole durata del processo, di cui la redazione della sentenza costituisce segmento processuale e temporale; letto l'<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2012/06/art-132-cpc-contenuto-della-sentenza.html" target="_blank">art.132, n. 4, c.p.c.</a>; letto l'art. 118, commi 1 e 2, disp. di att. al c.p.c. , si osserva quanto segue.</p><p><br /></p><p>L'originaria ricorrente, Dirigente generale, Consigliere di ruolo della presidenza del Consiglio dei Ministri, a decorrere dal 4.2.2014, è stata nominata Coordinatore dell'Ufficio tecnico per la gestione del patrimonio (UTGP), presso il Dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali (DIPRUS), nonché dal 9.9.2015 all'8 maggio 2016, ad interim, anche Coordinatore dell'Ufficio per le relazioni sindacali, affari generali, gare e acquisti, presso il medesimo Dipartimento.</p><p><br /></p><p>La P. A. ha dedotto che in data 30.9.2016 è cessato il proprio incarico dirigenziale, per effetto di una riorganizzazione, ritenuta pretestuosa, e della suddivisione del Dipartimento menzionato (in Dipartimento per il personale e Dipartimento per i servizi strumentali) - senza alcuna variazione sostanziale delle funzioni del precedentemente svolte dall'unico dipartimento -, lamentando l'illegittimità, sotto diversi profili, delle tre procedure per interpello che sono seguite e alle quali la ricorrente ha partecipato con esito negativo, nonostante la specifica competenza professionale acquisita e i risultati positivi raggiunti, con conseguenti danni alla propria immagine professionale, alla salute, morali ed esistenziali.</p><p><br /></p><p>Il Tribunale, per quel che rileva ai fini della delibazione sull'appello, ha fondato la pronuncia di parziale accoglimento sulla base delle seguenti considerazioni:</p><p><br /></p><p>- gli atti di conferimento o revoca di incarichi dirigenziali, concernendo l'attività di organizzazione degli uffici e quindi la gestione di rapporti di lavoro già costituiti, hanno natura privatistica e, in quanto tali, assoggettati ai principi fondamentali dell'autonomia privata e non alle norme riguardanti i vizi degli atti ammnistrativi o alle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990 sui procedimenti amministrativi, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti che possono essere disapplicati dal giudice ordinario, in caso di lesione di diritti soggettivi del dipendente pubblico;</p><p><br /></p><p>- la valutazione delle misure inerenti la gestione del rapporto deve essere dunque operata non in base ai tradizionali casi di legittimità dell'atto amministrativo, bensì sulla scorta dei canoni di nullità, annullabilità e inefficacia previsti per gli atti negoziali di diritto privato, tra i quali i principi di correttezza e buona fede contrattuale;</p><p><br /></p><p>- sono carenti, in quanto genericamente formulate, le allegazioni di parte ricorrente in ordine alla natura fittizia del dell'atto di riorganizzazione del Dipartimento e alla sua finalità illecita, volta alla cessazione anticipata dell'incarico dirigenziale conferito alla P. A., stante l'autonomia dell'amministrazione convenuta nella definizione delle linee di macro-organizzazione, sicché non è consentito giungere alla disapplicazione del relativo atto da parte del giudice ordinario, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria del danni patrimoniali e non patrimoniali ricondotti alla illegittimità dell'atto di riorganizzazione presupposto;</p><p><br /></p><p>- a seguito della procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale, la scelta è caduta sul dipendente F. F. con motivazione del tutto carente, in violazione dei precetti di cui all'art. 19 d.lgs. n. 165/2001, in ordine alla individuazione delle attitudini e capacità professionali in relazione agli obiettivi della struttura, anche in via comparativa con quelle degli altri candidati, senza neppure giustificare la mancata applicazione del principio di rotazione degli incarichi dirigenziali, introdotta come misura di prevenzione della corruzione;</p><p><br /></p><p>- la procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'ufficio patrimonio, gare e contratti si è conclusa con esito infruttuoso, non essendo stato ritenuto idoneo alcuno dei candidati, con motivazione carente riguardo all'esclusione della ricorrente, anche in rapporto al fatto che la medesima aveva già ricoperto l'incarico dirigenziale di capo dell'ufficio tecnico per la gestione del patrimonio dal 4.2.2014 e, ad interim, anche di capo dell'ufficio affari generali, gare e acquisti dal 9.9.2015 all'8.5.2016, ruoli professionali che svolgono attività analoghe;</p><p><br /></p><p>- l'illegittimità degli atti impugnati costituisce inadempimento contrattuale produttivo di danno risarcibile e, all'esito dell'annullamento degli atti, ivi compreso l'affidamento dell'incarico sopra menzionato al F. F., l'amministrazione deve essere condannata alla rinnovazione delle suddette procedure;</p><p><br /></p><p>- l'invalidità delle procedure, il loro esito e la rilevanza degli incarichi di livello dirigenziale generale oggetto delle stesse, anche in raffronto all'incarico di livello generale di coordinatrice dell'ufficio per il coordinamento della segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e provincie autonome poi affidato alla ricorrente, con una retribuzione di posizione di parte variabile inferiore, costituiscono elementi presuntivi di integrazione del danno all'immagine professionale, causalmente collegato al mancato esercizio del patrimonio e delle capacità professionali della P. A., in virtù dell'affidamento di un incarico qualitativamente diverso da quello precedentemente svolto, pur non applicandosi l'art. 2103 c.c., quale lesione del principio fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore;</p><p><br /></p><p>- quanto alla liquidazione dei danni, deve trovare applicazione il criterio equitativo, prendendo come parametro di riferimento il 30% del trattamento economico complessivamente percepito dalla ricorrente nel periodo compreso tra il 1.10.2016 e l'11.1.2017, data di decorrenza dell'efficacia del successivo incarico dirigenziale.</p><p><br /></p><p>Parte appellante censura la sentenza impugnata per il Tribunale erroneamente:</p><p><br /></p><p>1. ritenuto, riguardo all'incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale, che la motivazione della scelta del F. F. sarebbe stata inadeguata, in riferimento agli artt. 19 d.lgs. n. 165/2001, e 2-3 della direttiva PCM 11.5.2016, nonché agli <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2012/01/art-1175-cc-comportamento-secondo.html" target="_blank">artt. 1175</a> e <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2012/01/art-1375-esecuzione-di-buona-fede.html" target="_blank">1375 c.c.</a>, dal momento che detta motivazione, pur succinta, sintetizza in modo sufficiente una comparazione che dà conto della valutazione dell'idoneità tecnica e professionali e delle attitudini del dirigente a perseguire gli obiettivi prefissati, considerando che sono stati valutati i curricula allegati e che l'art. 9 d.lgs. cit. non richiede un obbligo motivazione, né una procedimentalizzazione della scelta, mentre la direttiva prescrive unicamente di acquisire la disponibilità dei dirigenti interessati, la loro valutazione e la comunicazione dell'esito;</p><p><br /></p><p>1.1. considerato inapplicabili a tali atti la legge n. 241/1990 in tema di obbligo motivazionale per poi, contraddittoriamente, veicolare attraverso i principi di correttezza e buona fede contrattuale la necessità del rispetto delle categorie amministrativistiche sul procedimento e la motivazione degli atti, finendo in tal modo per censurare, nel merito, la scelta;</p><p><br /></p><p>1.2. fatto discendere dalla violazione dei principi di buona fede e correttezza - nell'ambito dell'esercizio dei poteri discrezionali del datore di lavoro di natura privatistica - la conseguenza della caducazione dell'atto, anziché la mera responsabilità risarcitoria;</p><p><br /></p><p>1.3. stigmatizzato, quanto al solo incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale, la mancata applicazione del principio di rotazione del dirigente, pur non risultando tale servizio esposto a significativi rischi corruttivi, essendo classificato tra le strutture a basso rischio, non applicando, invece, il medesimo principio all'incarico per l'Ufficio patrimonio, gare e contratti, esposto ad un rischio corruttivo, in relazione al quale la P. A. aveva ricoperto l'incarico di Coordinatore dell'Ufficio tecnico per la gestione del patrimonio;</p><p><br /></p><p>2. non considerato, quanto all'esito infruttuoso dell'interpello per l'incarico di Coordinatore dell'Ufficio patrimonio, gare e contratti, che nessuno dei candidati al momento possedeva i requisiti specifici richiesti, in dipendenza del maggior numero di competenze della struttura, inquadrate in un'ottica funzionale diversa rispetto al passato, sebbene, trascorso un cospicuo lasso di tempo, a seguito di una rinnovata valutazione, la figura professionale del dirigente Gerli sia stata ritenuta idonea;</p><p><br /></p><p>2.1. omesso di considerare che l'Ufficio in cui aveva prestato servizio la P. A. e messo a interpello a seguito della riorganizzazione, era stato ampliato, aggiungendo alla "gestione del patrimonio" competenze in materia di "gare e contratti", per cui la pregressa attività della ricorrente non appariva determinante, trattandosi peraltro di struttura ad alto rischio per cui l'applicazione del principio della rotazione avrebbe penalizzato la dipendente; né rileva la copertura, ad interim, dell'incarico di Capo dell'ufficio affari generali, trattandosi di supplenze occasionali con il ruolo di "facente funzione" non dimostrative di pregresse particolari attitudini.</p><p><br /></p><p>L'appello è infondato.</p><p><br /></p><p>I motivi possono essere trattati congiuntamene, poiché strettamente connessi.</p><p><br /></p><p>Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, l'atto di conferimento di incarichi dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per la cui adozione l'amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all'art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2012/01/art-1175-cc-comportamento-secondo.html" target="_blank">artt. 1175</a> e <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2012/01/art-1375-esecuzione-di-buona-fede.html" target="_blank">1375 c.c.</a> (e degli stessi principi evocati dall'art. 97 Cost.), a una valutazione comparativa con gli altri candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e sia sorretta da una congrua motivazione circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte adottate (v. per tutte, da ultimo, <a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/pubblico-impiego-privatizzato-e-atto-di.html" target="_blank">sent. Cass. n. 6485/2021</a>).</p><p><br /></p><p>Tali norme obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l'Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (v. <a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/impiegati-comunali-provinciali-e.html" target="_blank">Cass. n. 21088/2010</a>).</p><p><br /></p><p>Nella medesima decisione, i giudici di legittimità hanno pure ribadito che "non vanno confusi il diritto soggettivo al conferimento dell'incarico e l'interesse legittimo di diritto privato correlato all'obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buona andamento consacrati nell'art. 97 Cost., sicché il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l'attribuzione dell'incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione (<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/impiegati-dello-stato-promozioni.html" target="_blank">Cass. 23.9.2013 n.21700</a>; <a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/impiegati-dello-stato-dirigenti.html" target="_blank">Cass. 14.4.2015 n. 7495</a>; <a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/enti-pubblici-o-ex-pubblici-enti.html" target="_blank">Cass. 24.9.2015 n. 18972</a>)".</p><p><br /></p><p>Vero è che va escluso ogni automatismo nella scelta, la quale resta rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione e, tuttavia, ove la P.A. non fornisca alcun elemento circa i criteri e le motivazioni della selezione, l'illegittimità della stessa richiede una nuova valutazione, sempre ad opera del datore di lavoro, senza possibilità di un intervento sostitutivo del giudice, salvo i casi di attività vincolata e non discrezionale.</p><p><br /></p><p>Infine la S.C. ha concluso confermando che, alla luce di detti principi, deve disattendersi "la tesi della non necessità della valutazione comparativa e della assoluta discrezionalità della scelta".</p><p><br /></p><p>Il primo giudice non ha quindi inquadrato la fattispecie nell'ambito di applicabilità della legge n. 241/90, poiché la questione non riguarda la censura dell'atto amministrativo presupposto (di riorganizzazione), sotto il profilo del vizio di carenza di motivazione, ma attiene alla valutazione dell'atto gestorio di conferimento incarico, dove i principi di correttezza e buona fede vengono in considerazione in funzione della necessità di trasparenza del percorso motivazionale sulla scelta di un candidato anziché di un altro. Non si ravvisa dunque alcuna contraddizione nel percorso motivazionale del Tribunale che deve essere condiviso.</p><p><br /></p><p>Venendo al caso concreto, il provvedimento adottato all'esito della procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale - che si è conclusa con l'assegnazione dell'incarico al F. F. - riporta succintamente, nella parte motiva, i titoli e gli incarichi svolti dai singoli candidati.</p><p><br /></p><p>In riferimento al F. F., nella premessa, è stato evidenziato il "possesso di un profilo professionale e di un'esperienza lavorativa, maturata con particolare riferimento alla materia del trattamento economico del personale e del trattamento pensionistico, nonché in relazione alle podere di gestione e liquidazione dei trattamenti economici del personale, che soddisfa pienamente le esigenze connesse al posto di funzione di livello generale di coordinatore dell'ufficio trattamento economico del personale presso il Dipartimento per il personale, incarico che il Cons. F. F. ricopre con ottimi risultati dal 2005".</p><p><br /></p><p>Tuttavia, analoghe esperienze lavorative e competenze professionali nella materia erano state indicate anche rispetto ad altri candidati, tra i quali la P. A., alla quale viene riconosciuto "il possesso del diploma di laurea in Giurisprudenza e l‘abilitazione all'esercizio della professione forense. Con riferimento all'esperienza professionale riportata, si evidenzia un'esperienza dirigenziale in materia di gestione degli affari generali e del personale e in materia di gestione economico-finanziaria, anche con riferimento alle procedure di gestione e liquidazione dei trattamenti economici del personale, acquisita presso il DIT (coordinatore dell'Ufficio I – gestione economica e finanziaria, bilancio e personale) e presso il Dipartimento della funzione pubblica (Vice capo Ufficio con funzioni vicarie del Capo Ufficio affari generali e per il personale)".</p><p><br /></p><p>L'atto conclude, senza ulteriori punti motivazionali, individuando "quindi la figura idonea a ricoprire il posto di coordinatore dell'Ufficio in nel Consigliere dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri dott. F. F.".</p><p><br /></p><p>Appare evidente dalla lettura del provvedimento che la procedura in esame risulta violata con riguardo al conferimento dell'incarico in discussione, laddove la determinazione nella scelta del consigliere incaricato rimane assolutamente priva di ogni valutazione comparativa e di motivazione in ordine alla preferenza accordata alle singole competenze professionali in relazione all'incarico da ricoprire e affidata esclusivamente alla elencazione oggettiva di titoli posseduti e di pregressi incarichi svolti che non conferisce contenuto motivazionale concreto alla scelta, la quale si pone quindi in contrasto con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità già sopra richiamati.</p><p><br /></p><p>Per quanto riguarda la procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'ufficio patrimonio, gare e contratti che si è conclusa con esito infruttuoso, non essendo stato ritenuto idoneo alcuno dei candidati, deve condividersi quanto rilevato dal Tribunale in ordine alla carenza di motivazione e, in particolare, per quel che interessa in questa sede, sulla esclusione della P. A..</p><p><br /></p><p>La ricorrente, invero, come si dà atto nel provvedimento del 5.9.2016, al momento era titolare dell'incarico di coordinatore dell'ufficio tecnico per la gestione del patrimonio; si è dato atto tra le altre competenze, della "esperienza maturata presso il DIPRUS quale coordinatore dell'Ufficio tecnico per la gestione del patrimonio (dal 4.2.014) e di coordinatore ad interim dell'Ufficio relazioni sindacali, affari generali, gare e acquisti di beni e servizi (dal 9.9.2015 sll'8.5.2016). Pur riconoscendo le esperienze professionali evidenziate, non si ritiene che il profilo professionale del Cons. P. A. sia pienamente rispondente ai requisiti richiesti nell''interpello".</p><p><br /></p><p>Anche in questa ipotesi la motivazione è apodittica, priva di ogni argomentazione sulla inidoneità della ricorrente a ricoprire il posto nonostante l'espresso riferimento a competenze professionali attinenti all'incarico da assegnare, tanto più che l'incarico è stato assegnato successivamente (al Cons. Gerli) all'esito di una rinnovata valutazione sulla base di elementi non meglio identificati.</p><p><br /></p><p>Peraltro, la circostanza che l'incarico di coordinatore dell'Ufficio relazioni sindacali, affari generali, gare e acquisti di beni e servizi sia stato conferito alla P. A. ad interim non può essere assumere valenza riduttiva solo in considerazione della sua natura temporanea, ma anzi dovrebbe essere indice di una preventiva valutazione positiva circa il possesso delle capacità e delle professionalità utili a ricoprire quell'incarico, sia pure in via temporanea.</p><p><br /></p><p>Né era stato dedotto, quale motivo ostativo, l'esigenza di rotazione degli incarichi rispetto alle esigenze legate al rispetto della normativa volta a prevenire fenomeni di corruzione.</p><p><br /></p><p>Ne deriva la configurabilità del denunciato inadempimento contrattuale cui consegue il diritto al risarcimento del danno, nella misura individuata dal giudice di prime cure, determinazione non soggetta a specifiche censure.</p><p><br /></p><p>Le spese processuali, liquidate come da dispositivo e regolate secondo soccombenza, sono poste a carico dell'appellante in favore di P. A.; nulla va disposto in ordine alla posizione di F. F., rimasto contumace.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>-La Corte, definitivamente pronunciando, così provvede:</p><p><br /></p><p>- respinge l'appello;</p><p><br /></p><p>- condanna l'appellante al rimborso, in favore di P. A., delle spese del grado che liquida in complessivi € 5.760,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA, come per legge;</p><p><br /></p><p>- nulla sulle spese quanto alla posizione di F. F..</p><p><br /></p><p>Roma, 27.9.2022</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-87461674413578170832023-05-08T09:24:00.002+02:002023-05-08T09:24:08.369+02:00ENTI PUBBLICI (O EX PUBBLICI) - Enti pubblici: ordinamento, organizzazione e personale - in genere<p>Sentenza della Cassazione civile sez. lav., 24/09/2015, n.18972</p><p>SVOLGIMENTO DEL PROCESSO</p><p>La dott.ssa G.L., dirigente medico del reparto di neurologia dell'Azienda ospedaliera S. Elia di Caltanissetta, premesso di avere partecipato ad un concorso per la copertura del posto di dirigente medico di secondo livello presso il medesimo reparto di neurologia e che a conclusione della procedura di selezione l'incarico era stata conferito al dott. Gr.Lu., agiva per fare dichiarare l'illegittimità della Delib. Conferimento Incarico 27 ottobre 1999, n. 1498 emessa dal Direttore Generale e chiedeva che venisse dichiarato il suo diritto a vedere confermato l'incarico conferitole in sede cautelare e che l'Azienda convenuta venisse condannata a ricostituire la sua carriera e la sua posizione economica e a risarcirle i danni non patrimoniali subiti per effetto dell'illegittimità della Delib..</p><p><br /></p><p>Il Tribunale adito dichiarava l'illegittimità della Delib. 27 ottobre 99, n. 1498 per avere l'Azienda violato l'obbligo di motivare il conferimento dell'incarico a favore del dott. Gr., avendo omesso di indicare le ragioni in base alle quali costui doveva essere preferito alla dott.ssa G.; rigettava ogni altra domanda, rilevando che la natura discrezionale della scelta non consentiva al giudice di riconoscere alla ricorrente il diritto al conferimento dell'incarico (o al mantenimento di quello attribuito in via provvisoria e in adempimento del provvedimento cautelare).</p><p><br /></p><p>Tale sentenza veniva confermata dalla Corte di appello di Caltanissetta. Segnatamente, quanto all'appello principale proposto dalla dott.ssa G., la Corte territoriale riteneva infondato l'assunto secondo cui il dott. Gr. non sarebbe stato in possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alla procedura selettiva; osservava che, alla stregua della disciplina normativa di riferimento, doveva essere considerato utile, ai fini della valutazione dell'anzianità di servizio, il periodo prestato dal Gr. presso l'Istituto S. Raffaele di (OMISSIS), istituto di ricovero e cura di carattere scientifico. Neppure poteva essere condiviso l'ulteriore assunto di parte appellante relativo alla sussistenza di un suo diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale de quo, poichè il potere del giudice ordinario di emettere sentenze costitutive nei confronti della pubblica amministrazione è consentito solo ove si tratti di attività vincolata e non discrezionale, mentre nel caso di specie si trattava di una scelta fiduciaria.</p><p><br /></p><p>Per la cassazione di tale sentenza la dott.ssa G.L. propone ricorso affidato a tre motivi. Sono rimasti intimati sia l'Azienda ospedaliera, sia il dott. Gr.Lu.Ma.Ed.. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>Con il primo motivo si denunzia omessa pronuncia (art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4) per non avere la Corte di appello esaminato il motivo di appello con cui era stato prospettato che nella Delib. di conferimento di incarico primariale erano individuabili due momenti di giudizio: il primo, nel quale i titoli dei due candidati erano stati dichiarati di gran lunga prevalenti su quelli degli altri concorrenti; il secondo, nel quale la scelta finale era ricaduta su uno dei due candidati così selezionati;</p><p><br /></p><p>conseguentemente, una volta sancita la doverosa esclusione dal concorso del candidato Gr., la discrezionalità del Direttore Generale, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 3 doveva ritenersi concretamente esercitata nei confronti della ricorrente, già ritenuta prevalente rispetto agli altri candidati idonei. Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 dell'art. 1367 c.c. e dell'art. 12 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3). Si chiede se ad un giudizio discrezionale, ed in particolare a quello del Direttore Generale D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 15 possa o meno applicarsi il principio di conservazione, in guisa che, anche a seguito di pronuncia giudiziale che incida su una parte del giudizio stesso, possa ritenersi non caducata e/o superata la parte del giudizio che sia autonoma dalla pronuncia, ossia che risulti basata su elementi e/o parametri indipendenti dagli effetti della pronuncia e/o neutri ad essa.</p><p><br /></p><p>Con il terzo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 25 in relazione al D.P.R. n. 484 del 1997, art. 10 nonchè con riferimento al D.P.R. n. 484 del 1997, art. 12 ed al D.Lgs. n. 502 del 2092, art. 4, commi 13 e 13, (art. 360 c.p.c., n. 3), denunciando l'erroneità della sentenza laddove ha ritenuto che il dott. Gr. possedesse il requisito di anzianità occorrente per l'accesso al secondo livello dirigenziale.</p><p><br /></p><p>Ad avviso di parte ricorrente, il servizio prestato presso l'Istituto San Raffaele non avrebbe potuto essere considerato poichè la disciplina di riferimento richiede, ai fini della equipollenza dei servizi e dei titoli acquisiti presso gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, che tale riconoscimento sia subordinato all'adeguamento, da parte di tali Istituti, per la parte compatibile, dei propri ordinamenti del personale alle disposizioni del D.P.R. n. 761 del 1979. Il giudice di merito aveva invece erroneamente ritenuto che tale prescrizione riguardasse solo l'ipotesi di cui al medesimo D.P.R. n. 484 del 1997, art. 12 e dunque i servizi e i titoli acquisiti presso gli istituti, enti e istituzioni private di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 4, commi 12 e 13 e, poichè il comma 12 citato concerneva gli "istituti ed enti che esercitano l'assistenza ospedaliera di cui alla L. n. 833 del 1978, artt. 40, 41 e 43", l'adempimento richiesto non si estenderebbe agli "istituti di carattere scientifico e cura".</p><p><br /></p><p>Il ricorso è infondato.</p><p><br /></p><p>La questione centrale posta all'esame della Corte è se, essendo stato dichiarato illegittimo dal giudice di primo grado, con sentenza confermata in appello, il provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale al contro interessato dott. Gr., la ricorrente dott.ssa G. possa lamentare che il giudice di merito non abbia emesso sentenza costitutiva del suo diritto all'incarico. Ulteriore questione è se la ricorrente abbia interesse a vedere affermata l'illegittimità del provvedimento, oltre che per assenza di motivazione, come ritenuto dai giudici di appello, altresì per difetto, in capo al G., del requisito di anzianità di servizio previsto per la partecipazione alla procedura di selezione.</p><p><br /></p><p>Ciò premesso, quanto al primo motivo di ricorso, deve osservarsi che il giudice di appello non era tenuto a motivare specificamente sul punto, per essere il motivo di gravame rimasto logicamente assorbito nella statuita inammissibilità di una pronuncia costitutiva del diritto all'incarico dirigenziale. Una volta dichiarata illegittima la Delib. oggetto dell'impugnazione per difetto di motivazione, non poteva il provvedimento essere recuperato in parte, essendo l'intera valutazione - e non solo una frazione di essa - inficiata dal vizio riscontrato dai giudici di merito.</p><p><br /></p><p>In via generale, va osservato che, in materia di pubblico impiego privatizzato, il datore di lavoro pubblico ha un'ampia potestà discrezionale nella scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali, cui corrisponde, in capo a coloro che aspirano all'incarico, una posizione qualificabile come di interesse legittimo di diritto privato, riconducibile, quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei "diritti" di cui all'art. 2907 cod. civ. (Cass. n. 13867 del 2014). In particolare, gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19, comma 1, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.. Tali norme obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte. Pertanto, ove l'amministrazione non abbia fornito alcun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile l'inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (Cass. n. 9814 del 2008; Cass. n. 21088 del 2010); tuttavia, la predeterminazione dei criteri di valutazione non comporta un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto di determinati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. n. 20979 del 2009).</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale, nella impugnata sentenza, si è sostanzialmente attenuta alle regulae iuris innanzi richiamate circa la non correttezza della procedura seguita dall'Amministrazione per avere adottato una determinazione senza corredarla di adeguata motivazione, così violando i criteri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.. Nè la Corte territoriale avrebbe potuto attribuire l'incarico alla ricorrente, poichè la ritenuta illegittimità del provvedimento adottato implica l'esercizio di una nuova valutazione, pur sempre rimessa al datore di lavoro, al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti, e non è il caso di specie, di attività vincolata e non discrezionale (V., per tutte, Cass. 23549/06, secondo la quale il giudice ordinario può emettere una pronuncia costitutiva del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato solo ove si tratti di attività vincolata e non discrezionale; nello stesso senso Cass. 18198/05).</p><p><br /></p><p>Il secondo motivo è innanzitutto inammissibile, poichè non conferente rispetto al decisum, atteso che la sentenza non ha caducato in parte qua, come pretende la ricorrente, ma interamente il provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale. Nè avrebbe potuto diversamente, posto che relativamente alla selezione de dirigente per la copertura dell'incarico, anche laddove la scelta sia confinata nell'ambito di una lista di soggetti idonei in quanto dotati dei requisiti necessari, la selezione è il frutto di una scelta comparativa di carattere non concorsuale, in quanto non caratterizzata dallo svolgimento di prove o selezioni sulla base di una lex specialis, nè dalla compilazione di una graduatoria finale.</p><p><br /></p><p>Una volta ritenuto illegittimo il provvedimento in cui la scelta si è espressa, perchè carente di motivazione e dunque emesso in violazione dei principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., nessuna conservazione di parte di esso è ravvisarle, essendo invalidato l'intero giudizio comparativo.</p><p><br /></p><p>Anche il terzo motivo è inammissibile, non essendo configurabile alcun interesse della ricorrente (art. 100 c.p.c.) ad ottenere una pronuncia sul quesito di diritto, posto che quand'anche (in via di mera ipotesi) il requisito del titolo ammissivo (dell'anzianità di sette anni di servizio) non fosse sussistito in capo al concorrente G., non per questo il giudice di merito avrebbe potuto emettere una sentenza costitutiva del diritto della ricorrente all'incarico dirigenziale, per i medesimi motivi già sopra esposti.</p><p><br /></p><p>Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, essendo l'Azienda Ospedaliere e il G. rimasti intimati.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Roma, il 3 luglio 2015.</p><p><br /></p><p>Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2015</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-77247819047483065052023-05-08T09:22:00.006+02:002023-05-08T09:22:33.216+02:00IMPIEGATI DELLO STATO - Dirigenti - incarichi<p>Sentenza della Cassazione civile sez. lav., 14/04/2015, n.7495</p><p><br /></p><p>SVOLGIMENTO DEL PROCESSO</p><p>Con sentenza del 14.10.2010-15.1.2011 la Corte d'Appello di Catania rigettò il gravame proposto da V.R., ex dipendente in quiescenza dal 1.9.2001, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Sicilia, avverso la pronuncia di prime cure che aveva disatteso la sua domanda risarcitoria svolta per il mancato conferimento delle funzioni dirigenziali, benchè ciò fosse stato previsto nel decreto di nomina del 7.5.1999, essendo stato per contro adottato nei suoi riguardi un provvedimento di collocamento a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale, esclusa l'applicabilità alla fattispecie del disposto dell'art. 13 del CCNL Area dirigenti per il quadriennio 1998- 2001 e ritenuta l'esistenza di un potere discrezionale del datore di lavoro pubblico quanto al conferimento dell'incarico dirigenziale, osservò che la violazione dei principi della correttezza e della buona fede poteva configurarsi solo in presenza della lesione di diritti soggettivi già riconosciuti in base a norme di legge o contrattuali e rilevò che la disciplina pubblica degli incarichi dirigenziali si fondava sui principi della temporaneità e fiduciarietà e che, stante appunto il potere datoriale del tutto discrezionale nella scelta dei soggetti ai quali conferire gli incarichi dirigenziali, era da ritenersi insussistente un diritto soggettivo dei dirigenti allo svolgimento delle funzioni dirigenziali; era peraltro previsto dal sistema che ai dirigenti non destinatari di incarico dirigenziale potessero essere assegnate funzioni ispettive o di studio, senza che risultasse però configurabile un diritto tutelabile ai sensi dell'art. 2013 c.c., in quanto espressamente non applicabile.</p><p><br /></p><p>Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, V.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.</p><p><br /></p><p>L'intimata Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.</p><p><br /></p><p>Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 13, comma 1, CCNL Area I Dirigenti, valevole per il quadriennio 1998- 2001, deducendo che, in base al tenore di tale clausola, le previsioni ivi contemplate dovevano ritenersi applicabili, contrariamente a quanto reputato dai Giudici del merito, anche ai dirigenti ai quali non fosse ancora stato conferito un incarico dirigenziale. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia negato la rilevanza dell'osservanza dei principi di correttezza e buona fede in ordine all'assenza di qualsivoglia giustificazione circa i criteri seguiti e le motivazioni adottate nella scelta di non attribuire alcun incarico ad esso ricorrente.</p><p><br /></p><p>Con il terzo motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6, comma 2, il ricorrente deduce, subordinatamente, che gli competevano lo svolgimento di funzioni nell'ambito di programmi specifici di ispezione e verifica, nonchè di ricerca, studio e monitoraggio, come previsto dalla ridetta previsione.</p><p><br /></p><p>2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'appartenenza ai ruoli dirigenziali non costituisce titolo per l'insorgenza del diritto alla stipulazione con l'amministrazione pubblica del contratto dal quale dipende - in via esclusiva - l'acquisizione della qualifica dirigenziale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4275/2007; 21700/2013).</p><p><br /></p><p>La normativa pattizia invocata dal ricorrente non può dunque che riferirsi a quei soggetti che, tramite la conclusione di apposito contratto, inesistente nella specie, abbiano acquisito tale qualifica. Il motivo all'esame va dunque disatteso.</p><p><br /></p><p>3. In ordine al secondo motivo deve rilevarsi che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 21671/2013; 10370/1998; Cass., nn. 13867/2014; 21700/2013;</p><p><br /></p><p>18836/2013; 21088/2010; 18857/2010; 20979/2009; 5025/2009;</p><p><br /></p><p>28274/2008; 9814/2008; 4275/2007; 14624/2007; 23760/2004), anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro e che le norme contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, (pure nel testo vigente all'epoca dei fatti per cui è causa) obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., senza peraltro che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale.</p><p><br /></p><p>Gli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., obbligano la pubblica amministrazione a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicchè, ove l'amministrazione non abbia fornito nessun elemento al riguardo, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile.</p><p><br /></p><p>Non essendo peraltro configurabile un diritto soggettivo a conservare - o ad ottenere - un determinato incarico di funzione dirigenziale, in sede giudiziale va controllato che il mancato rinnovo o il mancato conferimento dell'incarico sia avvenuto nel rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonchè con l'osservanza delle regole di correttezza e buona fede.</p><p><br /></p><p>Essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali ascrivibili alla categoria degli atti negoziali, ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di "interessi legittimi", ma di diritto privato, e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cc; tali posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l'interessato alleghi e provi la lesione dell'interesse legittimo suddetto, nonchè il danno subito, in dipendenza dell'inadempimento di obblighi gravanti sull'amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione.</p><p><br /></p><p>Essendosi la Corte territoriale discostata dai suindicati principi, il motivo all'esame risulta fondato.</p><p><br /></p><p>4. Il terzo motivo appare inammissibile; il ricorrente si limita infatti a rammentare il contenuto della norma asseritamente violata, senza svolgere tuttavia alcuna considerazione critica rispetto all'argomentazione della Corte territoriale relativa all'inapplicabilità nella specie dell'art. 2103 c.c., onde la doglianza si presenta priva di specificità.</p><p><br /></p><p>5. In definitiva il ricorso merita accoglimento nei limiti sopra precisati.</p><p><br /></p><p>Per l'effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi di diritto.</p><p><br /></p><p>Il Giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2015.</p><p><br /></p><p>Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2015</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-90896002359348907162023-05-08T09:20:00.004+02:002023-05-08T09:20:47.256+02:00IMPIEGATI DELLO STATO - Promozioni - diritto alle promozioni<p>Sentenza della Cassazione civile sez. lav., 23/09/2013, n.21700</p><p>SVOLGIMENTO DEL PROCESSO</p><p>1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 25 maggio 2009), in accoglimento dell'appello principale proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 16155/2003 e in riforma di tale ultima sentenza, rigetta la domanda originaria proposta da S.F. onde ottenere: 1) la dichiarazione di illegittimità o illiceità dell'omesso conferimento di alcun incarico - dirigenziale o di altra natura - nel periodo intercorrente tra il suo rientro in ruolo presso l'allora Ministero dei Lavori pubblici (cui è succeduto il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e il 31 maggio 2001, data in cui è intervenuta la cessazione dal servizio del S. per raggiunti limiti di età, dopo il disposto trattenimento su domanda per un biennio (ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 4 e del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16); 2) la condanna del suindicato Ministero al risarcimento dei danni - derivanti dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, anche nella fase precontrattuale del procedimento diretto al conferimento del suindicato incarico - subiti in conseguenza della forzosa inattività cui è stato costretto a seguito del suddetto mancato conferimento di alcun incarico nell'indicato periodo.</p><p><br /></p><p>La Corte d'appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:</p><p><br /></p><p>a) la sentenza di primo grado ha accolto la domanda del S., nella parte in cui il ricorrente rivendicava il proprio diritto all'attribuzione di un incarico ai sensi del D.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150, art. 6, comma 1 ritenendo sussistente un obbligo in tal senso dell'allora Ministero dei Lavori pubblici - nel cui ruolo dirigenziale era inserito il S. - e condannando l'Amministrazione al pagamento della somma di Euro 77.507,76 a titolo di risarcimento del danno alla professionalità conseguente al lamentato demansionamento;</p><p><br /></p><p>b) tale decisione deve essere riformata, in accoglimento dell'appello principale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;</p><p><br /></p><p>c) va osservato, infatti, che il S., Dirigente generale del Ministero dei Lavori pubblici, con decreto del Ministero dell'Ambiente del 27 giugno 1995, è stato nominato componente della Commissione tecnico-scientifica per la valutazione dei progetti di protezione e di risanamento ambientale e collocato in posizione di fuori ruolo per la durata quadriennale dell'incarico;</p><p><br /></p><p>d) con lettera del 27 giugno 1999 il Ministero dell'Ambiente ha comunicato la cessazione dell'incarico e il rientro in ruolo presso il Ministero dei Lavori pubblici;</p><p><br /></p><p>e) quando è entrata in vigore (il 10 giugno 1999) la disposizione transitoria di cui al D.P.R. n. 150 del 1999, art. 8 recante il regolamento della disciplina sulle modalità di costituzione e tenuta del Ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, il ricorrente era ancora in servizio presso il Ministero dell'Ambiente;</p><p><br /></p><p>f) pertanto, in base a tale ultima disposizione, doveva essere la suddetta Amministrazione ad esercitare l'opzione di confermare l'incarico al dirigente oppure di conferirgli una nuova funzione dirigenziale;</p><p><br /></p><p>g) il Ministero dell'Ambiente non ha ritenuto di esercitare tale facoltà ed ha, quindi, comunicato al S. la cessazione del rapporto di servizio allo scadere dell'incarico di componente della suindicata Commissione tecnico-scientifica;</p><p><br /></p><p>h) l'esame complessivo della normativa riguardante la riforma della dirigenza pubblica porta ad escludere l'esistenza di un diritto del dirigente di pretendere il conferimento di un incarico e di un correlativo obbligo dell'Amministrazione di attribuirlo;</p><p><br /></p><p>i) con l'istituzione del Ruolo unico, i dirigenti hanno cessato di appartenere ai singoli Ministeri ed è quindi possibile che non abbiano l'affidamento di alcun incarico, senza che da ciò possa automaticamente derivare un danno risarcibile;</p><p><br /></p><p>l) di ciò si ha conferma nel D.P.R, n. 150 del 1999, art. 6 che, nel disciplinare gli incarichi connessi a funzioni ispettive di consulenza, studio e ricerca, non solo presuppone l'eventualità che al dirigente non sia affidato un incarico di direzione di un ufficio di livello dirigenziale, ma stabilisce che i dirigenti che non abbiano incarichi da parte delle singole Amministrazioni sono temporaneamente posti a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri;</p><p><br /></p><p>m) d'altra parte, è destituito di fondamento l'assunto del S. secondo cui, alla data di entrata in vigore della nuova normativa citata, era già stata avviata la procedura per il conferimento dell'incarico presso l'allora Ministero dei Lavori pubblici, in quanto tale Dicastero non aveva titolo per avviare tale procedura, visto che all'epoca il ricorrente era ancora in servizio presso il Ministero dell'Ambiente, sicchè quelli richiamati possono essere eventualmente considerati "contatti informali" con il Ministero dei Lavori pubblici;</p><p><br /></p><p>n) ovviamente tale ultimo Ministero, preso atto del mancato conferimento dell'incarico dirigenziale da parte del Ministero dell'Ambiente, avrebbe potuto richiedere di utilizzare il S. per un incarico di connesso a funzioni ispettive di consulenza, studio e ricerca, ai sensi del D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6 ma la mancata applicazione di tale norma non comporta la configurabilità di un diritto soggettivo all'ottenimento dell'incarico, come sottolineato da Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880;</p><p><br /></p><p>o) in tale ultima sentenza è stato, infatti, affermato il principio secondo cui "con la istituzione del ruolo unico dei dirigenti - previsto dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 15 che ha sostituito il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 23 e le cui modalità di costituzione e tenuta sono state disciplinate dal D.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150 - il legislatore ha riconosciuto al datore di lavoro pubblico ampia potestà discrezionale sia nel ritenere di non avvalersi di un determinato dipendente mettendolo così a disposizione del ruolo unico, sia nella scelta dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali; rispetto a tale potestà discrezionale la posizione soggettiva del dirigente aspirante all'incarico non può atteggiarsi come diritto soggettivo pieno, bensì come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei "diritti" di cui all'art. 2907 cod. civ.. La tutela di tale posizione giuridica soggettiva, affidata al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, non è dissimile da quella già riconosciuta al partecipante ad una procedura di selezione concorsuale adottata dal datore di lavoro privato ed è estesa a tutte le garanzie procedimentali di selezione previste dalla legge e dai contratti collettivi".</p><p><br /></p><p>2- Il ricorso di S.F. domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con controricorso, illustrato da memoria, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato.</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>1 - Sintesi dei motivi di ricorso.</p><p><br /></p><p>1.- Il ricorso è articolato in sei motivi, tra loro strettamente connessi e formulati in conformità con quanto disposto dall'art. 366- bis cod. proc. civ., applicabile nella specie ratione temporis.</p><p><br /></p><p>1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, difetto di motivazione della sentenza circa un fatto controverso e rilevante per il giudizio, con riferimento all'affermazione secondo cui, in sede di prima attuazione della normativa sul ruolo unico dei dirigenti delle Amministrazioni statali, era il Ministero dell'Ambiente a dover esercitare l'opzione del conferimento dell'incarico di cui si tratta al ricorrente.</p><p><br /></p><p>Si precisa che - diversamente da quanto ritenuto dalla Corte romana - per effetto di una Circolare del Dipartimento della Funzione pubblica in data 5 agosto 1999, l'entrata in vigore del D.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150, recante il regolamento della disciplina sulle modalità di costituzione e tenuta del Ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali, è slittata dal 10 giugno 1999 all'8 settembre 1999.</p><p><br /></p><p>In ogni caso, la Corte territoriale non ha attribuito la dovuta considerazione al fatto che il rapporto del S. con il Ministero dell'Ambiente si sarebbe comunque concluso inderogabilmente il 20 luglio 1999, visto che non sarebbe stato possibile al suddetto Dicastero nè confermare il ricorrente per un secondo quadriennio presso la Commissione tecnico-scientifica per la valutazione dei progetti di protezione e di risanamento ambientale dato il prossimo collocamento a riposo per raggiunti limiti di età dell'interessato, nè conferire allo stesso un incarico di direzione, visto che il S. non era inserito nei ruoli del Ministero dell'Ambiente.</p><p><br /></p><p>Del resto, il suindicato Ministero, nella nota n. 12557 del 25 giugno 1999, ha comunicato al Ministero dei Lavori pubblici che l'incarico del S. presso la suddetta Commissione sarebbe cessato il successivo 20 luglio 1999 e che l'interessato avrebbe dovuto riprendere servizio presso il Ministero di appartenenza. Questo Ministero, infatti, ha continuato ad avvalersi delle prestazioni del ricorrente per tutto il biennio di trattenimento in servizio, pur tenendolo in una situazione di inattività funzionale.</p><p><br /></p><p>D'altra parte, il S., di fatto, non è mai entrato nel c.d.</p><p><br /></p><p>ruolo unico essendo rimasto nel Ministero di appartenenza.</p><p><br /></p><p>Ne consegue che era proprio tale Ministero ad essere tenuto al conferimento dell'incarico richiesto dal ricorrente, come è confermato anche dalla nota n. 4275 del 6 agosto 1999 inviata al Ministero dei Lavori pubblici dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella persona del Dirigente alla gestione del Ruolo unico citato.</p><p><br /></p><p>In detta nota, infatti, si precisava che non vi erano problemi a che prima della data dell'8 settembre 1999, indicata dalla Circolare del Dipartimento della Funzione pubblica del 5 agosto 1999 cit., il Ministero dei Lavori pubblici, valutata la scadenza del collocamento fuori ruolo al 20 luglio 1999, conferisse, in caso di silenzio da parte del Ministero dell'Ambiente, un incarico al S., nel limite numerico massimo stabilito dal D.P.R. n. 150 del 1999, art. 8, comma 1.</p><p><br /></p><p>1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, vizi di motivazione della sentenza impugnata in riferimento: 1) all'affermazione secondo cui, prima della cessazione dell'incarico presso la suindicata presso la Commissione tecnico- scientifica, tra il ricorrente e il Ministero dei Lavori pubblici sarebbero intercorsi soltanto "contatti informali", anzichè riconoscere che, a partire dal 24 febbraio 1999, in base agli incontri avuti con il Ministro e il Capo di Gabinetto del predetto Ministero, era stata formalmente avviata la procedura per il conferimento dell'incarico di cui si tratta (poi ulteriormente sviluppatasi fino alla stesura di un testo concordato e predisposto al riguardo), in vista del rientro del S. nel Ministero di appartenenza, al momento della cessazione del periodo fuori ruolo; 2) alla negazione dell'obbligo della PA interessata a conformarsi ai principi di efficienza, continuità e buon andamento, desumibile anche dalla decisione assunta dal Ministero dei Lavori pubblici di accogliere la domanda del S. di trattenimento in servizio per altri due anni dopo il compimento dei sessantacinque anni di età.</p><p><br /></p><p>1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 e 2103 cod. civ. nonchè del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19 e succ. mod. e del D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6.</p><p><br /></p><p>Il motivo viene articolato nei seguenti profili di censura:</p><p><br /></p><p>1) erronea, insufficiente e contraddittoria interpretazione della normativa sulla dirigenza pubblica derivante dalla affermazione della Corte romana secondo cui con le suindicate norme sarebbe stato concessa alla PA una "illimitata" discrezionale facoltà di confermare un dirigente pubblico ovvero di conferire un qualsiasi incarico funzionale;</p><p><br /></p><p>2) mancato riconoscimento della violazione dei principi di buona fede e correttezza nonchè delle clausole contrattuali che regolano l'azione privatistica della PA con conseguente diritto del dirigente rimasto forzosamente inattivo al risarcimento del danno;</p><p><br /></p><p>3) negazione dell'obbligo della PA interessata a conformarsi ai principi di efficienza, continuità e buon andamento.</p><p><br /></p><p>Si sottolinea che la Corte d'appello si è limitata a richiamare Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880, senza tenere conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fine del conferimento di incarichi dirigenziali, le norme contenute nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, comma 1, (ora D.Lgs. n. 165 del 2001), obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. (Cass. 30 dicembre 2009, n. 27888 e Cass. 26 novembre 2008, n. 2827).</p><p><br /></p><p>Il rispetto di tali principi comporta anche l'obbligo, da parte della PA, di motivare le proprie scelte, proprio per consentirne il controllo di correttezza in sede giurisdizionale.</p><p><br /></p><p>Nella specie, invece, risulta che il Ministero dei Lavori pubblici, nello stesso periodo di tempo cui si riferisce l'attuale vicenda, ha conferito incarichi dirigenziali di cui al D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6 ad altri otto colleghi del S. (che certamente non potevano vantare lo stesso curriculum) senza aver effettuato alcuna selezione comparativa e senza aver fornito alcuna motivazione del proprio operato.</p><p><br /></p><p>1.4.- Con il quarto motivo si denunciano, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5: 1) omessa, insufficiente ed erronea motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rappresentato dalla affermata inesistenza di un obbligo di conferimento di un incarico funzionale sussidiario al ricorrente; 2) erronea e/o mancata applicazione dei principi di buona fede e correttezza cui doveva conformarsi il Ministero chiamato in giudizio in ordine all'incarico dirigenziale concordato con il ricorrente, anche per aver ingenerato nel designato una aspettativa al perfezionamento della fattispecie attributiva dell'incarico residuale, con conseguente riconoscimento comunque di una lesione dannosa suscettibile di tutela risarcitoria.</p><p><br /></p><p>1.5.- Con il quinto motivo si denunciano, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3: 1) violazione e falsa applicazione dell'art. 13 CCNL 1998-2001 per la dirigenza pubblica, applicabile ratione temporis, che stabilisce che "tutti i dirigenti hanno diritto ad un incarico";</p><p><br /></p><p>2) erronea interpretazione della normativa richiamata sul mancato riconoscimento di un obbligo di conferimento di un incarico dirigenziale, almeno sussidiario, al dirigente; 3) mancata coordinamento interpretativo complessivo tra la norma di legge applicata dalla Corte d'appello (D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6) e la normativa contrattuale collettiva (art. 13 CCNL cit.), con omessa utilizzazione del criterio di loro "coerenza interpretativa", secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione, per le ipotesi di contrasto.</p><p><br /></p><p>1.6.- Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione della sentenza impugnata per: 1) omesso esame del documento decisivo riguardante l'assegnazione di uffici dirigenziali c.d. minori operata dal Ministero dei Lavori pubblici in favore di otto colleghi del ricorrente nel medesimo periodo (trimestre luglio-settembre 1999) in cui si è svolta la vicenda da cui è nato il presente giudizio; 2) omesso o insufficiente esame - in tutta la sua ampiezza ed estensione - della domanda del ricorrente, volta anche all'accertamento del mancato rispetto, nella specie, dei criteri di conferimento degli incarichi dirigenziali da parte del Ministero dei Lavori pubblici.</p><p><br /></p><p>2 - Esame delle censure.</p><p><br /></p><p>2.- I motivi del ricorso - da trattare congiuntamente data la loro intima connessione - sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito precisati.</p><p><br /></p><p>2.1.- Per una migliore comprensione della presente vicenda giudiziaria appare opportuno ricordare che, nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, il procedimento di assegnazione incarichi di funzioni dirigenziali da parte di una pubblica amministrazione si compone di due distinte due fasi: quella relativa agli atti preliminari (atto di conferimento dell'incarico dirigenziale ed ogni altro atto che, parimenti, preceda la stipulazione del contratto) e quella successiva, di stipulazione del corrispondente contratto, concluso in vista di determinati obiettivi (vedi, per tutte: Cass. 5 marzo 2012, n. 3419).</p><p><br /></p><p>Da tale scissione tra instaurazione del rapporto di lavoro dirigenziale e conferimento dell'incarico è stata desunta la insussistenza di un diritto soggettivo del dirigente pubblico al conferimento di un incarico dirigenziale (vedi, per tutte: Cass. 12 febbraio 2007; n. 3003, Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880; Cass. 6 aprile 2005 n. 7131; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27888). Del resto, in base al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, attualmente vigente, al conferimento degli incarichi di funzione dirigenziale e al passaggio ad incarichi diversi "non si applica l'art. 2103 cod. civ.".</p><p><br /></p><p>2.2.- In materia, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:</p><p><br /></p><p>a) anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro e le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19, comma 1, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., senza che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro (sia pure con il vincolo del rispetto di determinati elementi sui quali la selezione deve fondarsi), al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale (Cass. 30 settembre 2009, n. 20979);</p><p><br /></p><p>b) comunque, gli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicchè ove l'amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (Cass. 14 aprile 2008, n. 9814; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088);</p><p><br /></p><p>c) peraltro, pur non essendo configurabile un diritto soggettivo a conservare - o ad ottenere - un determinato incarico di funzione dirigenziale, tuttavia in sede giudiziale va controllato che il mancato rinnovo - o il mancato conferimento - dell'incarico stesso sia avvenuto nel rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonchè con l'osservanza delle regole di correttezza e buona fede (Cass. 2 marzo 2009, n. 5025);</p><p><br /></p><p>d) per effetto del D.Lgs. n. 80 del 1998 (di riforma del D.Lgs. n. 29 del 1993) nonchè del regolamento approvato con D.P.R. n. 150 del 1999, ai dirigenti già in servizio presso la P.A., confluiti automaticamente nel ruolo unico dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, non è da riconoscere alcun diritto soggettivo all'attribuzione, o al mantenimento, di un incarico dirigenziale, essendo la nuova disciplina privatistica fondata sui principi della temporaneità e della fiduciarietà degli incarichi dirigenziali (Cass. 6 aprile 2005, n. 7131);</p><p><br /></p><p>e) per il dipendente pubblico l'inserimento nel ruolo unico della dirigenza delle amministrazioni statali ai sensi del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 23 come sostituito dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 40, art. 15 non costituisce titolo per l'insorgenza del diritto alla stipulazione con l'amministrazione pubblica del contratto dal quale dipende - in via esclusiva - l'acquisizione della qualifica dirigenziale, nè il contratto può essere surrogato dalla sentenza costitutiva di cui all'art. 2932 cod. civ. che ne produca gli effetti, atteso che il giudice non può, sostituendosi alla stessa fonte, determinare i contenuti essenziali del contratto non concluso (Cass. 23 febbraio 2007, n. 4275);</p><p><br /></p><p>f) tuttavia, essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali da ascrivere alla categoria degli atti negoziali (e non a quella degli atti amministrativi in senso proprio), ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di "interessi legittimi", ma di diritto privato e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cod. civ. (vedi, fra le altre: Cass. 22 giugno 2007, n. 14624; Cass. 22 dicembre 2004, n. 23760; Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370);</p><p><br /></p><p>g) le suddette posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l'interessato alleghi e provi la lesione dell'interesse legittimo suddetto nonchè il danno subito, in dipendenza dell'inadempimento di obblighi gravanti sull'amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione (Cass. 23 luglio 2007, n. 4275).</p><p><br /></p><p>2.3.- La Corte d'appello, nella specie - pur muovendo dall'esatta premessa della non configurabilità nella specie di un diritto del ricorrente all'attribuzione di un incarico ai sensi del D.P.R. 26 febbraio 1999, n. 150, art. 6, comma 1, e di un corrispondente obbligo in tal senso dell'allora Ministero dei Lavori pubblici - si è poi discostata dai suindicati principi laddove non ha considerato che il ricorrente aveva ampiamente provato che il comportamento della PA - nella fase, informale, delle "trattative" volte all'attribuzione dell'incarico - non è stato conforme a correttezza e buona fede e neppure all'art. 97 Cost..</p><p><br /></p><p>Infatti, tale comportamento non solo ha fatto sorgere nel S. l'affidamento nella attribuzione dell'incarico stesso - derivante anche dall'accoglimento della sua istanza di trattenimento in servizio per un biennio oltre il raggiungimento dell'età pensionabile - ma ha avuto un esito negativo per l'attuale ricorrente, senza l'adozione da parte dell'amministrazione di adeguate forme di partecipazione dell'interessato al relativo processo decisionale e senza l'esternazione delle ragioni giustificatrici della scelta, non avendo la PA fornito alcun elemento circa i criteri e le motivazioni che l'hanno indotta a non conferire alcun incarico dirigenziale al S. e a conferirne contemporaneamente invece altri analoghi a quello richiesto da quest'ultimo ad altri dirigenti.</p><p><br /></p><p>In questa situazione, in base ai su riportati principi, è da riconoscere al S. una tutela giurisdizionale in forma risarcitoria, avendogli la lesione dell'interesse legittimo di diritto privato suddetto cagionato un danno, derivante dell'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione (in base agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost.), salvo restando che tale pretesa risarcitoria non può essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione.</p><p><br /></p><p>2.4.- Detto questo si precisa, per completezza, che, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso:</p><p><br /></p><p>a) dalla stessa sentenza impugnata risulta che, fin dall'inizio del giudizio, il S. ha fatto riferimento anche "alla violazione della normativa introdotta dalla riforma della dirigenza pubblica, delle regole di correttezza e buona fede, anche nella fase precontrattuale";</p><p><br /></p><p>b) non hanno alcun rilievo, ai fini della affermazione della suddetta responsabilità della PA, le questioni relative all'ente, in ipotesi, competente a conferire l'incarico - se il Ministero dell'Ambiente, il Ministero dei Lavori pubblici (dell'epoca) ovvero la Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo l'Avvocatura dello Stato - in quanto, ai fini privatistici che rilevano in questa sede, ciò che conta è che il S. ha avuto contatti, per l'incarico in oggetto, con il Ministro e il Capo di Gabinetto del Ministero dei Lavori pubblici, che era anche il suo Ministero di appartenenza (arg. ex 8 maggio 1963, n. 1142).</p><p><br /></p><p>Peraltro, per la fase di avvio dell'applicazione del ruolo unico dei dirigenti, erano le Amministrazioni tenute a fornire i prescritti dati "dei dirigenti di prima e di seconda fascia appartenenti ai propri soppressi ruoli, ivi compresi i dirigenti comandati o fuori ruolo presso altre amministrazioni, enti, organi diversi", onde consentire ai dirigenti di entrare a far parte del ruolo unico.</p><p><br /></p><p>Inoltre, le stesse amministrazioni erano obbligate a "conferire, secondo le nuove procedure, gli incarichi dirigenziali a tutti i dirigenti, anche al solo fine di ribadire gli incarichi già ricoperti", onde evitare di porre in essere "una disciplina contrattuale a formazione progressiva, foriera di disparità di trattamento" (vedi, Circolare del Ministro della Funzione pubblica 23 luglio 1999, n. 5).</p><p><br /></p><p>Inoltre - con riguardo all'ipotizzata competenza del Ministero dell'Ambiente - va considerato che nella stessa Circolare suindicata, veniva precisato che "a seguito dell'entrata in vigore del ruolo unico, gli istituti del comando e del fuori ruolo, nell'ambito delle amministrazioni destinatane delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 150 del 1999, devono ritenersi abrogate. Gli indicati istituti sono da ritenersi vigenti fra le amministrazioni destinatarie del ruolo unico e quelle che ne sono escluse. I dirigenti in posizione di comando o di fuori ruolo che si trovano nella indicata posizione e che ricoprono posti di funzione, potranno continuare a ricoprire gli incarichi in essere, purchè tali incarichi siano formalizzati con le modalità previste dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19 e vi sia il previo assenso dell'amministrazione o ente di appartenenza".</p><p><br /></p><p>Ne consegue che, da nessun punto di vista, può rilevare, in questa sede la problematica, squisitamente amministrativistica, della competenza/incompetenza all'attribuzione dell'incarico richiesto dal S..</p><p><br /></p><p>3 - Conclusioni.</p><p><br /></p><p>3.- In sintesi, il ricorso deve essere accolto, nei suindicati limiti e per le ragioni dianzi esposte, con assorbimento di ogni altro profilo di censura.</p><p><br /></p><p>La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell'ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:</p><p><br /></p><p>"il comportamento della PA - tenuto nella fase, informale, delle "trattative" volte all'attribuzione dell'incarico di funzione dirigenziale - se non è conforme a correttezza e buona fede e neppure all'art. 97 Cost., in quanto fa sorgere nell'interessato l'affidamento nella attribuzione dell'incarico stesso - derivante anche dall'accoglimento della sua istanza di trattenimento in servizio per un biennio oltre il raggiungimento dell'età pensionabile - ma si conclude con un esito negativo, senza l'adozione da parte dell'amministrazione di adeguate forme di partecipazione dell'interessato al relativo processo decisionale e senza l'esternazione delle ragioni giustificatrici della scelta, non fornendo la PA alcun elemento circa i criteri e le motivazioni che l'hanno indotta a non conferire alcun incarico dirigenziale al ricorrente e a conferirne contemporaneamente invece altri analoghi a quello richiesto da quest'ultimo ad altri dirigenti, comporta il riconoscimento di una tutela giurisdizionale volta al risarcimento dell'interesse legittimo di diritto privato leso dall'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione (in base agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost.), salvo restando che tale pretesa risarcitoria non può essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione".</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 16 maggio 2013.</p><p><br /></p><p>Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-25373750855227800552023-05-08T09:19:00.002+02:002023-05-08T09:19:10.821+02:00IMPIEGATI COMUNALI, PROVINCIALI E REGIONALI - Dirigenti - nomina<p>Sentenza Cassazione civile sez. VI, 12/10/2010, n.21088</p><p><br /></p><p>FATTO E DIRITTO</p><p>1. S.G. convenne in giudizio la Regione Siciliana e l'Assessorato Regionale del Territorio e dell'Ambiente chiedendo dichiararsi il suo diritto ad essere nominata responsabile di uno dei Servizi specificamente indicati a preferenza di altri colleghi designati in sua vece, esponendo di avere rifiutato, siccome lesiva della sua personalità e delle norme disciplinanti la materia, la nomina a responsabile di altro Servizio, così che le erano stati assegnati compiti di collaborazione studio e ricerca alle dirette dipendenze del Dirigente Generale del Dipartimento Regionale Urbanistica; i controinteressati C.F. e C. G. intervennero volontariamente in giudizio; il Giudice adito rigettò le domande svolte.</p><p><br /></p><p>2. La Corte d'Appello di Palermo, con sentenza del 2 - 16.7.2009, ha confermato la sentenza di prime cure, dichiaratamente interpretando la giurisprudenza di questa Corte, affermativa dell'obbligo dell'Amministrazione di provvedere a valutazioni anche comparative per il conferimento degli incarichi dirigenziali, nel senso che non sarebbe necessaria la comparazione dei titoli degli aspiranti, essendo invece sufficiente "la verifica della coerenza tra le mansioni affidate e la qualifica rivestita", sicchè ai fini del legittimo affidamento dell'incarico dovrebbe ritenersi sufficiente l'accertamento "delle attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, nonchè dell'attività svolta", restando quindi irrilevante la valutazione, sotto il profilo comparativo, di altri requisiti, quali ad esempio la diversa anzianità nell'espletamento dell'attività o la stessa preposizione ad unità organizzative.</p><p><br /></p><p>3. Avverso tale sentenza della Corte territoriale S.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.</p><p><br /></p><p>La Regione Siciliana - Assessorato Regionale del Territorio e dell'Ambiente ha resistito con controricorso.</p><p><br /></p><p>Gli intimati C.F. e C.G. non hanno svolto attività difensiva.</p><p><br /></p><p>A seguito di relazione e previo deposito di memoria da parte della controricorrente, la causa è stata decisa in Camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c..</p><p><br /></p><p>4. Con i primi due motivi, tra loro connessi e da esaminarsi congiuntamente, la ricorrente deduce violazione di legge e di contratto collettivo, dolendosi che la Corte territoriale non abbia ritenuto necessaria l'effettuazione di valutazioni anche comparative fra gli aspiranti ed abbia ritenuto la correttezza dell'operato dell'Amministrazione, benchè la stessa non avesse minimamente motivato le ragioni delle scelte compiute.</p><p><br /></p><p>Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19, comma 1, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.; tali norme obbligano la P.A. a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l'amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (cfr., Cass., n. 9814/2008; 28274/2008; 20979/2009).</p><p><br /></p><p>Al riguardo è stato osservato che le previsioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, laddove prevedono che per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente, valutate anche in considerazione dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati nella direttiva annuale e negli altri atti di indirizzo del Ministro, obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto degli indicati criteri di massima e, necessariamente, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede, "procedimentalizzano" l'esercizio del potere di conferimento degli incarichi, rendendo con ciò necessario procedere a vantazioni anche comparative.</p><p><br /></p><p>I suddetti principi appaiono applicabili anche in relazione alle disposizioni legislative della Regione Sicilia, laddove è previsto che "Per il conferimento di ciascun incarico dirigenziale e per il passaggio ad incarichi dirigenziali diversi, si tiene conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, dell'attività svolta, applicando di norma il criterio della rotazione degli incarichì (cfr., .R. Sicilia n. 10 del 2000, art. 9, comma 1, primo periodo).</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale ha tuttavia fornito un'interpretazione di tali principi che, nella sostanza, ne nega l'applicazione, posto che il mero riscontro dell'accertamento delle capacità e delle attitudini del dirigente costituisce il presupposto del conferimento dell'incarico dirigenziale, ma, di per sè, non realizza alcuna effettiva comparazione tra gli aspiranti, tanto che la sentenza impugnata conclude per la legittimità del conferimento dell'incarico pur dando atto che l'odierna ricorrente poteva vantare titoli potiori".</p><p><br /></p><p>L'accoglimento dei suddetti motivi comporta l'assorbimento del terzo, relativo alla dedotta priorità da attribuirsi, nel conferimento degli incarichi dirigenziali, ai dirigenti di seconda fascia rispetto a quelli di terza.</p><p><br /></p><p>5. L'accoglimento dei primi due motivi, manifestamente fondati, comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di cassazione, al Giudice indicato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi ai suindicati principi di diritto.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Palermo in diversa composizione.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Roma, il 21 settembre 2010.</p><p><br /></p><p>Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2010</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-70660338660944150512023-05-08T09:16:00.004+02:002023-05-08T09:16:52.670+02:00Pubblico impiego privatizzato e atto di conferimento di incarichi dirigenziali<p>Sentenza Cassazione civile sez. lav., 09/03/2021, n.6485</p><p><br /></p><p>FATTI DI CAUSA</p><p>1. B.C. ha convenuto in giudizio il Ministero della Difesa, nonchè C.C.C., chiedendo l'accertamento dell'illegittimità di sei procedure di conferimento di incarichi dirigenziali di prima fascia e la condanna dell'amministrazione a ripetere le operazioni sfociate nel conferimento ad altri dei predetti posti o al risarcimento del danno da perdita di chances e non patrimoniale.</p><p><br /></p><p>1.1 Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso limitatamente alle due procedure svoltesi nell'anno 2009, condannando il Ministero al risarcimento del danno da perdita di chances nell'importo di Euro 73.190,00, oltre accessori, stabilito sulla base di una probabilità di successo del B., ritenuta pari ad 1/15 e così individuata tenendo conto del numero di candidati che, secondo il Tribunale, avrebbero potuto utilmente rispondere all'interpello.</p><p><br /></p><p>2. La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale.</p><p><br /></p><p>2.1 Quanto alla domanda accolta in primo grado, non più contestata dal Ministero nell'an, la Corte ha ritenuto che il criterio utilizzato per il calcolo delle probabilità non fosse stato specificamente censurato neppure dal B., il quale, con l'appello principale, aveva solo invocato voci ulteriori di danno, sicchè le considerazioni poi espresse, in senso critico rispetto al criterio utilizzato, nella memoria difensiva depositata in replica all'impugnazione incidentale del Ministero finivano per essere "in netta contraddizione con l'unico atto utilizzabile per rimuovere la statuizione", ovverosia l'atto di appello.</p><p><br /></p><p>La Corte ha poi escluso che il passaggio dalla seconda alla prima fascia, previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23 fosse automatico e che quindi ad esso potessero riconnettersi danni diretti e certi.</p><p><br /></p><p>Sempre rispetto al quantum, la sentenza ha rigettato l'appello incidentale con cui anche il Ministero aveva contestato da vari punti di vista i criteri adottati per la liquidazione del danno.</p><p><br /></p><p>2.2 Rispetto alle prime tre procedure del 2010, la Corte territoriale, dopo aver richiamato giurisprudenza di legittimità sulla natura del conferimento di incarico dirigenziale, ha respinto l'appello del B., ritenendo in sintesi che, a motivare la decisione, fosse sufficiente che la P.A. argomentasse sulle qualità del prescelto e desse conto di avere esaminato, come nella fattispecie era accaduto, i curricula degli altri concorrenti.</p><p><br /></p><p>2.3 Il giudice d'appello ha poi escluso, quanto alla quarta procedura del 2010 (incarico Ispedife), cui destinava un'autonoma motivazione, che, dall'anomala indicazione dei criteri avvenuta dopo la pubblicazione del posto e l'acquisizione di alcune candidature, fosse derivato un danno per l'appellante principale il quale, al pari degli altri concorrenti era stato "rimesso in termini" ed avrebbe potuto integrare la domanda già presentata. La Corte di merito ha altresì aggiunto che il B. non aveva nè allegato nè dimostrato che l'anomalia procedimentale avesse favorito i candidati che avevano presentato domanda dopo il secondo avviso.</p><p><br /></p><p>2.4 Infine, la Corte territoriale ha ritenuto che l'originario ricorrente non avesse dimostrato il danno morale, esistenziale e professionale del quale aveva domandato, anche in sede di appello, il risarcimento ed ha sottolineato la genericità delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, rimarcando che il danno non patrimoniale non poteva essere ritenuto in re ipsa.</p><p><br /></p><p>3. Avverso la sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, articolati in più punti, ai quali ha opposto difese il Ministero, mediante controricorso con ricorso incidentale, affidato a due censure.</p><p><br /></p><p>Il B. ha replicato al ricorso incidentale con apposito controricorso, depositando altresì memoria in vista della originaria trattazione in sede camerale, al cui esito la causa è stata rimessa alla pubblica udienza.</p><p><br /></p><p>Diritto</p><p>RAGIONI DELLA DECISIONE</p><p>1. Ragioni di ordine espositivo consigliano di iniziare la disamina dal primo motivo del ricorso principale e dai due motivi del ricorso incidentale.</p><p><br /></p><p>Essi riguardano infatti, da opposti punti di vista, i criteri di liquidazione del danno derivato al B. dalle procedure di nomine dirigenziali attuate nel 2009, rispetto alla illegittimità delle quali, riconosciuta dal Tribunale, si è pacificamente formato il giudicato interno, non avendo il Ministero proposto appello sul punto.</p><p><br /></p><p>1.1 Con il proprio primo motivo di ricorso per cassazione il B. afferma, da un primo punto di vista, l'esistenza di plurimi errores in procedendo (violazione art. 112 c.p.c. e motivazione apparente) ed in iudicando (violazione art. 1362 ss. c.c.).</p><p><br /></p><p>Egli sostiene in sostanza che la Corte d'Appello avrebbe trascurato (art. 112 c.p.c.) o del tutto contraddittoriamente valutato (motivazione apparente), le censure sollevate in appello, con riferimento al novero dei possibili partecipanti, sul cui numero è stato calibrato il calcolo delle chances perdute, omettendo altresì di considerare, attraverso una valutazione coerente dell'atto di appello e della successiva memoria, il comportamento complessivo della parte (violazione dell'art. 1362 c.c.).</p><p><br /></p><p>Infatti, a fronte di 15 possibili candidati individuati dai giudici di merito, il B. sostiene di aver evidenziato come soltanto lui avesse completato il primo mandato nella 5 fascia retributiva di vicedirettore generale, il che avrebbe determinato una ben più ampia probabilità di successo da parte sua. Egli sottolinea altresì di avere fatto constare, con l'appello, la propria notevole quantità di titoli ed il rilievo di essi, lamentando che la Corte territoriale avesse omesso di pronunciarsi anche sulla richiesta dei danni riflessi conseguenti alla perdita subita sui trattamenti di buonuscita e quiescenza.</p><p><br /></p><p>Neppure poteva sostenersi, aggiunge il ricorrente, che egli non avesse contestato il criterio adottato dal Tribunale o non ne avesse chiesto la correzione, in quanto nell'atto di appello l'adesione a quei parametro era stata manifestata come del tutto subordinata, a fronte dell'insistenza sugli importi indicati nel prospetto delle perdite inserito nel ricorso di merito.</p><p><br /></p><p>1.2 Il motivo va in parte qua disatteso.</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale, come si è detto, ha affermato - e ciò del tutto chiaramente - che dall'appello derivasse conferma e non smentita del criterio e dei calcoli liquidatori adottati dal giudice di primo grado, sicchè la diversa posizione assunta nella memoria difensiva non poteva dispiegare l'effetto di introdurre ex post una critica originariamente mancata nell'atto che avrebbe dovuto contenerla.</p><p><br /></p><p>Premesso che la Corte richiama espressamente anche la pagina dell'atto di gravame ove vi sarebbe stata adesione al criterio liquidativo e di calcolo, il ricorso per cassazione, per smentire validamente tale assunto, avrebbe dovuto riportare compiutamente non tanto il contenuto della predetta memoria, che non è in discussione, quanto l'atto di appello, di cui sono invece riportate solo alcune frasi non decisive (pag. 23 del ricorso per cassazione) e poi alcune parole, inserite in un ragionamento difensivo dell'impugnazione di legittimità (v. pag. 24, primo periodo del ricorso per cassazione).</p><p><br /></p><p>La formulazione della censura si pone dunque in contrasto con i presupposti di specificità di cui all'art. 366 c.p.c., comma 1, (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l'argomentazione siano idonee, riportando anche la trascrizione esplicita e completa dei passaggi degli atti e documenti su cui i motivi si fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente in tali atti e documenti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469).</p><p><br /></p><p>D'altra parte, il chiaro senso della motivazione quale sopra riepilogato, non si presta in alcun modo ad una censura sub specie della mera apparenza di essa per manifesta contraddittorietà, mentre il richiamo alle regole sostanziali di valutazione del comportamento complessivo della parte (art. 1362 c.c.) non può certamente valere ad impedire una preclusione di natura processuale, come è quella derivante dai limiti del contenuto impugnatorio dell'atto di appello, attraverso la valorizzazione di difese successive di diverso tenore, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale.</p><p><br /></p><p>1.3 Generica e come tale inammissibile è poi la censura di omessa pronuncia della Corte d'Appello sulle ricadute dell'illegittimo operato della P.A. rispetto ai trattamenti di buonuscita e quiescenza.</p><p><br /></p><p>Dalla sentenza della Corte d'Appello si evince che il Tribunale considerò espressamente e liquidò specifici importi a titolo risarcitorio dei due menzionati profili, rispettivamente per Euro 10.400,00 ed Euro 53.040,00, poi ricompresi nel maggior totale riconosciuto di Euro 73.190,00.</p><p><br /></p><p>Non è quindi chiaro a che cosa si riferisca la denunciata omessa pronuncia ed in che cosa, sullo specifico punto, quanto riconosciuto dal Tribunale fosse carente.</p><p><br /></p><p>1.4 All'ultimo punto del primo motivo di ricorso, si affronta invece un diverso profilo del danno da perdita di chances.</p><p><br /></p><p>La pretesa del B. era quella di sentirsi riconoscere non solo il danno derivante dalla perdita delle retribuzioni per gli incarichi di prima fascia perseguiti, ma anche quello conseguente al fatto che, ove gli fosse stato attribuito uno degli incarichi inerenti alle procedure del 2009, con lo svolgimento di esso senza incorrere in responsabilità dirigenziale per un triennio, egli avrebbe avuto accesso di diritto (per effetto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, comma 1, nel testo vigente fino al 15.11.2009 e per gli incarichi conferiti prima di quel momento, essendo poi il termine divenuto quinquennale per effetto del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 43) alla prima fascia dirigenziale, sicchè andava riconosciuto il ristoro anche di tale perdita patrimoniale, destinato a proiettarsi ancor più a lungo nel futuro.</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale, sul punto, ha ritenuto che i presupposti del diritto al riconoscimento della prima fascia nei termini di cui alla citata normativa fossero del tutto incerti, non dipendendo solo dalla volontà del dirigente, ma da altri fattori non verificabili a priori e dunque inidonei a sorreggere una valutazione di probabilità.</p><p><br /></p><p>Il ricorrente sostiene, con la parte di motivo qui in esame, che la Corte avrebbe trascurato l'esistenza di sue "ovvie elevate probabilità" ed "ottime chances" di accedere alla prima fascia per effetto delle richiamate regole legali.</p><p><br /></p><p>Si tratta di censura al contempo inammissibile ed infondata.</p><p><br /></p><p>Con essa, infatti, si prospetta una diversa valutazione del giudizio, di pertinenza del giudice del merito, in ordine alla sufficienza del nesso probabilistico tra attribuzione del posto e successivo maturare dei presupposti per il miglioramento di fascia, in sè incerto e addirittura riguardante una prognosi per così dire di secondo grado, potendo scaturire non solo dall'esito positivo della selezione, ma poi anche dall'esito positivo del successivo incarico.</p><p><br /></p><p>In ogni caso, proprio per tale portata duplicemente ipotetica del pregiudizio rivendicato, la pretesa si colloca al di fuori della portata normativa dell'art. 1223 c.c., il quale consente il ristoro del mancato guadagno solo in quanto esso "sia conseguenza immediata e diretta" dell'inadempimento.</p><p><br /></p><p>1.5 Anche i motivi di ricorso incidentale del Ministero si concentrano, come detto, sul tema del quantum debeatur rispetto al danno da perdita di chances quale determinato dal giudice di primo grado e confermato dalla sentenza d'appello.</p><p><br /></p><p>Con il primo di tali motivi si afferma la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19 D.Lgs., commi 1 e 1-bis, per avere la Corte territoriale ritenuto corretto che il calcolo delle probabilità avvenisse sulla base dei soli dirigenti afferenti al livello economico apicale della seconda fascia, quali - afferma la sentenza impugnata - "unici dirigenti possibili destinatari (anche per prassi istituzionale) di incarichi di prima fascia e comunque necessariamente svolgenti funzioni di vicedirettore generale".</p><p><br /></p><p>Analogamente, il secondo motivo afferma che la soluzione avallata dalla Corte d'Appello violerebbe l'art. 20 del c.c.n.l. del personale dirigente per quadriennio normativo 2002-2005, che anch'esso non limitava l'accesso alle procedure ai soli dirigenti di fasce retributive apicali o comunque svolgenti funzioni di vicedirettore generale.</p><p><br /></p><p>Il Ministero censura il fatto che la Corte di merito abbia fatto riferimento ad una prassi istituzionale, sulla base della quale essa ha ridotto il novero dei papabili, con risultato finale di favore per il ricorrente, sostenendo che in tal modo la motivazione si sarebbe posta in contrasto con il disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, oltre che con l'art. 20 del c.c.n.l. ed altresì in contrasto, ove da intendere come tale l'avere fatto riferimento agli usi di cui all'art. 1 preleggi, n. 4 con gli artt. 1 e 8 preleggi che consente di valorizzare tale fonte solo in quanto richiamata dalla legge o dai regolamenti di disciplina della materia.</p><p><br /></p><p>I motivi, che non censurano in sè il criterio di calcolo delle probabilità sulla base dei potenziali partecipanti alla selezione, sono inammissibili.</p><p><br /></p><p>La limitazione dei concorrenti a coloro che, per prassi, sono soliti essere considerati, fa parte del ragionamento logico svolto dalla Corte di merito per la determinazione delle probabilità di perdita della chance, sul presupposto che una valutazione concreta di tale probabilità non può che avere riguardo a chi di regola viene considerato rispetto a tali selezioni e non a regole astratte di possibilità giuridica di partecipazione.</p><p><br /></p><p>Il richiamo a violazioni di norme di legge o di contratto è dunque mal posto, nè la Corte di merito ha inteso fare riferimento - e la diversa ipotesi formulata con il motivo travisa la ratio decidendi - ad usi normativi, quanto piuttosto, nell'ambito di un'insindacabile valutazione di merito, a prassi di limitazione concreta del novero dei papabili.</p><p><br /></p><p>2 Il secondo motivo del ricorso principale, anch'esso articolato in più punti, contiene critiche riguardanti quella parte della decisione della Corte d'Appello che è stata dalla medesima destinata alle tre procedure del 2010 diverse da quella relativa all'incarico Ispedife.</p><p><br /></p><p>In proposito, il B. lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell'art. 97 Cost., nonchè la mera apparenza della motivazione addotta dalla Corte di merito.</p><p><br /></p><p>Il ricorrente sostiene che i provvedimenti assunti, dando atto soltanto dell'avvenuto esame dei curricula dei pretendenti non prescelti, non integrerebbero la "valutazione comparativa" richiesta e che il contrario assunto della Corte territoriale sarebbe del tutto immotivato.</p><p><br /></p><p>Da altro punto di vista il ricorrente sostiene che erroneamente, così violando il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, commi 1 e 1-bis, e comunque con motivazione soltanto apparente, la Corte territoriale ha ritenuto che costituisse valido criterio di valutazione e scelta quello dell'"investimento professionale" introdotto dal D.M. 5 ottobre 2010.</p><p><br /></p><p>Più in generale, il B. sostiene che la Corte d'Appello avrebbe omesso di pronunciare, in violazione dell'art. 112 c.p.c., sulle censure avanzate nei confronti del D.M. 5 ottobre 2010 e dei criteri di valutazione da esso introdotti.</p><p><br /></p><p>I diversi profili, stante il fatto che essi riguardano le medesime procedure, possono essere esaminati congiuntamente.</p><p><br /></p><p>2.4 Le censure riguardanti in generale i criteri di cui al D.M. 5 ottobre 2010 sono nel loro complesso da disattendere, in quanto i motivi non contengono la trascrizione del citato provvedimento e dunque, quanto all'omessa pronuncia, non è dato percepire la decisività di quanto sul punto addotto nel giudizio di merito.</p><p><br /></p><p>Tale difetto di prospettazione impugnatoria coinvolge anche le censure sul criterio dell'"investimento professionale".</p><p><br /></p><p>La Corte distrettuale ne ha ritenuto la legittimità sul presupposto che esso avesse il fine, non discriminatorio, di assicurare che la scelta non cadesse su persone la cui vicinanza a pensione assicurasse la presenza solo per un periodo insufficiente.</p><p><br /></p><p>I profili di censura destinati dal ricorrente principale a tale criterio non precisano quale rilevanza esso abbia avuto nella scelta finale censurata, nè quale sia stata la portata di esso ai danni del ricorrente, eventualmente anche sotto l'aspetto della vicinanza a pensione fatto oggetto del passaggio motivazionale della Corte di merito.</p><p><br /></p><p>Mancando poi anche, per il predetto difetto di trascrizione, un inquadramento delle censure nell'ambito degli altri criteri e del complessivo provvedimento regolativo dei requisiti di scelta, ricorre anche in questo caso il difetto di specificità, per violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, di cui già si è detto in precedenza ad altro proposito, sicchè il motivo risulta in parte qua inammissibile.</p><p><br /></p><p>2.3 Le questioni riguardanti l'obbligo di motivazione si concentrano invece nella critica all'affermazione della sentenza impugnata secondo cui, ad assolvere gli obblighi della P.A., sarebbe sufficiente l'attestazione di avere esaminato i curricula degli aspiranti e di avere argomentato la nomina con riferimento alle qualità del prescelto.</p><p><br /></p><p>Secondo il ricorrente, tale orientamento sarebbe tale da pregiudicare l'effettività dei principi affermati, anche in giurisprudenza, in ordine alle modalità di definizione dei procedimenti di conferimento degli incarichi dirigenziali.</p><p><br /></p><p>Effettivamente la sentenza impugnata è coerente in punto di fatto con quanto affermato dal ricorrente, allorquando in essa si sostiene che non possa dirsi "carente una motivazione comparativa" per essere stati "i provvedimenti di nomina... motivati con riferimento alla qualità del prescelto" ed essere stati "i curricula degli aspiranti.... acquisiti", affermandosi altresì nei provvedimenti stessi che essi "sono stati tutti esaminati".</p><p><br /></p><p>Ciò posto, il motivo è in parte qua da ritenere fondato, nei termini di seguito precisati.</p><p><br /></p><p>Costituisce orientamento consolidato quello per cui "in tema di impiego pubblico privatizzato, nell'ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme contenute nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19, comma 1 obbligano l'amministrazione (...) anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. (...) a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l'amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella scelta dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile" (Cass. 14 aprile 2008, n. 9814, cui hanno poi fatto seguito, in senso conforme, Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088, Cass. S.U., 23 settembre 2013, n. 21671 e, più di recente, Cass. 2 febbraio 2018, n. 2603).</p><p><br /></p><p>D'altra parte, deve ritenersi che il requisito motivazionale, ove riferito ad una valutazione comparativa, per essere soddisfatto necessiti l'esplicitazione non solo delle qualità che caratterizzano la posizione del prescelto, ma anche di quelle degli altri candidati e delle ragioni per le quali, rispetto alle qualità valorizzate, essi siano stati scartati.</p><p><br /></p><p>E' intrinseco al derivare di tale requisito dal principio di correttezza e buona fede il fatto che il corrispondente adempimento non possa essere assolto in via meramente formale, dovendo invece rendere chiari i profili cui discrezionalmente si è ritenuto di attribuire preponderanza e, poi, le ragioni per cui, rispetto a tali profili, gli altri concorrenti fossero da ritenere meno preferibili.</p><p><br /></p><p>D'altra parte, di fronte ad una motivazione mancante, carente o illegittima la domanda che sia impostata sul piano risarcitorio ha la sostanza del risarcimento da perdita di chance e i conseguenti apprezzamenti giudiziali devono essere rispettosi sia della pertinenza al datore di lavoro del merito delle scelte, sia del non trattarsi comunque di danno in re ipsa.</p><p><br /></p><p>Pertanto, nel caso in cui la motivazione sia mancante o non esprima validamente neppure i criteri su cui la P.A. ha ritenuto di fondare la scelta, non potrà che procedersi apprezzando ex novo in via comparativa i curricula, accertando quindi se chi agisce avesse una significativa probabilità di essere prescelto e, in caso positivo, calcolando il risarcimento in misura tale da tener conto dell'incertezza comunque sussistente in un giudizio non solo prognostico, ma anche in sè ipotetico.</p><p><br /></p><p>Qualora la motivazione assunta dalla P.A. contenga invece almeno una valida espressione dei criteri di merito valorizzati e posti a fondamento della nomina, essendo necessario rispettare la sfera decisionale esclusiva della P.A., l'apprezzamento non potrà invece che riguardare, più limitatamente, la possibilità, ancora secondo criteri di significativa probabilità, che il corretto adempimento, e quindi la valutazione comparativa delle posizioni dei candidati esclusi in relazione ai medesimi titoli valorizzati per il prescelto, potesse portare, nei loro confronti, ad un diverso esito, su cui fondare il ristoro.</p><p><br /></p><p>2.4 L'accoglimento del motivo in parte qua comporterà quindi, nel caso di specie, un nuovo esame dei provvedimenti posti a base della decisione datoriale, sulla base dei criteri sopra indicati.</p><p><br /></p><p>3. Ricalcando la scansione decisionale impostata dalla Corte d'Appello, il terzo motivo di ricorso per cassazione del B. riguarda invece il conferimento dell'incarico di Direttore dell'Ufficio Centrale per le Ispezioni Amministrative (Ispedife), rispetto al quale il ricorrente lamenta la contraddittorietà intrinseca della motivazione, rubricata sub art. 360 c.p.c., n. 5 e la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1-bis e dei canoni di correttezza e buona fede, di imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa, rapportati all'art. 97 Cost..</p><p><br /></p><p>In fatto è pacificamente accaduto che, dopo un primo avviso di selezione del luglio 2010, la procedura sia stata riaperta ed assoggettata ai nuovi criteri valutativi di cui al D.M. 5 ottobre 2010.</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale, pur rimarcando che "l'operazione compiuta dalla P.A. non brilla per trasparenza", ha ritenuto che l'anomalia non potesse da sè sola considerarsi ragione di pregiudizio per il B., il quale non aveva affermato che essa fosse stata discriminante nei suoi confronti, mentre, rispetto ai criteri di scelta ed alle procedure di valutazione, valeva quanto affermato dalla stessa Corte per gli altri incarichi del 2010.</p><p><br /></p><p>Ad avviso del ricorrente l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui egli non avrebbe allegato che i nuovi criteri fossero tali da sfavorirlo, si porrebbe in contraddizione con l'altra affermazione, contenuta nella medesima sentenza, secondo la quale egli aveva censurato l'utilizzazione di quei criteri, al punto che la stessa Corte si era spinta a motivare rispetto al fatto che il nuovo criterio dell'investimento professionale non sarebbe stato illegittimo.</p><p><br /></p><p>3.1 La deduzione è inammissibile.</p><p><br /></p><p>E' vero che la Corte territoriale, nell'esaminare le questioni sull'incarico Ispedife, ha fatto richiamo a quanto da essa precedentemente motivato rispetto alle censure inerenti ai criteri di cui al d.m citato.</p><p><br /></p><p>Tuttavia, a fronte del fatto che comunque i giudici di appello hanno ritenuto che mancasse la precisazione delle ragioni (concrete) per cui quei criteri lo avessero pregiudicato rispetto a quell'ultima procedura, il B. non poteva limitarsi a ricercare contraddizioni nell'esposizione motivazionale, ma doveva primariamente evidenziare, trascrivendo i corrispondenti passaggi, che quei pregiudizi erano stati viceversa evidenziati proprio anche rispetto a quella procedura e come.</p><p><br /></p><p>In mancanza il motivo finisce per risultare generico e sostanzialmente ipotetico e quindi, come tale, inammissibile per mancanza di concretezza impugnatoria.</p><p><br /></p><p>Il ricorrente aggiunge altresì che la modificazione dei criteri avrebbe agevolato il C. introducendo criteri ex post "tra cui quello che ha favorito il Dott. C.".</p><p><br /></p><p>Anche in tale parte il motivo è generico, in quanto esso, dovendosi misurare con l'affermazione espressa della Corte secondo cui non era stato allegato pregiudizio derivante dai nuovi criteri, avrebbe dovuto essere corredato della specifica precisazione, nel contesto della argomentazione destinata a quel profilo, di quale criterio avesse appunto favorito il C., non potendo certamente essere il giudice di legittimità, in contrasto con i già menzionati criteri di specificità che devono caratterizzare, ai sensi dell'art. 366 c.p.c., il ricorso per cassazione, a integrare il contenuto della doglianza ricercando, negli atti o nel contesto di altri motivi di ricorso, ragioni utili a concretizzare quella generica affermazione.</p><p><br /></p><p>4. L'ultimo motivo del ricorso principale riguarda il rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, anche rispetto al capo di domanda accolto nei gradi di merito.</p><p><br /></p><p>La Corte territoriale ha disatteso la domanda del B. escludendo che tali danni potessero considerarsi in re ipsa ed affermando che non fosse chiaro quale danno alla professionalità potesse sussistere al di là di quanto ristorato con le riconosciute perdite patrimoniali. La Corte ha sottolineato quindi come, "a parte la deduzione sui titoli e sulla generica emarginazione", era mancata una specifica allegazione "di elementi idonei a dimostrare, anche solo per presunzioni, il tipo e l'entità dei danni subiti".</p><p><br /></p><p>Il motivo di ricorso per cassazione, sul punto, denuncia la violazione degli artt. 2,3,4 e 35 Cost. e art. 41 Cost., comma 2 nonchè degli artt. 2087 e 2103 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e sostiene la natura meramente apparente della motivazione, per la quale richiama l'art. 360 c.p.c., n. 5 Si tratta di censure generiche che, per un verso, si limitano ad insistere sull'"emarginazione evidente ed illustrata a partire dal ricorso di merito", senza trascrivere i passaggi di esso a tal fine rilevanti e, nel resto, contengono affermazioni che ribadiscono l'asserita illegittima esclusione dalle selezioni censurate, ma nulla apportano di concreto rispetto ai profili decisori attinenti allo specifico tema del danno non patrimoniale.</p><p><br /></p><p>5. In definitiva va accolto soltanto il secondo motivo del ricorso principale, nei termini di cui al punto 2.3 e con riferimento alle tre procedure del 2010 diverse da quella per Ispedife, cui segue il rinvio alla medesima Corte d'Appello, in diversa composizione, mentre nel resto i motivi, principali ed incidentali, vengono disattesi.</p><p><br /></p><p>6. Il ricorrente principale risulta parzialmente vittorioso e dunque non ricorrono i presupposti perchè si dia atto della sussistenza delle condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.</p><p><br /></p><p>Tale attestazione, nonostante la declaratoria di integrale inammissibilità del ricorso incidentale, non può avere luogo neppure nei riguardi del Ministero della Difesa, perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4315; Cass. 27 novembre 2017, n. 28250; Cass. 8 maggio 2014, n. 9938).</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo del ricorso principale, rigetta nel resto il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2020.</p><p><br /></p><p>Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2021</p><div><br /></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-53125773730514855502023-05-05T11:59:00.001+02:002023-05-05T11:59:10.066+02:00risarcimento e mala gestio<p>Sentenza del Tribunale Biella, 02/03/2023, (ud. 15/02/2023, dep. 02/03/2023), n.67</p><p>Fatto</p><p>RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE</p><p>Con atto di citazione regolarmente notificato a mezzo PEC in data 7/6/2019, la società attrice (M.R.N.) ha convenuto in giudizio la sig.ra A.F., al fine di vederla condannata, ai sensi degli artt. 2260,2293,2315 e 2043 c.c., al risarcimento nei suoi confronti della somma di € 260.000,00 o di altra somma accertata in corso di causa, oltre rivalutazione ed interessi, previo accertamento delle condotte di mala gestio e di distrazione dalla stessa asseritamente compiute ai danni della società all'epoca in cui rivestiva la carica di socia accomandataria.</p><p><br /></p><p>Per i medesimi fatti parte attrice ha riferito e documentato di aver precedentemente richiesto ed ottenuto ante causam da questo Tribunale, con decreto resa inaudita altera parte del 11/3/2019, successivamente confermato con ordinanza del 4/4/2019, il sequestro conservativo sui beni mobili ed immobili della convenuta e sulle somme o cose alla stessa dovute e detenute, fino alla concorrenza della somma di €.260.000,00 per capitale e interessi (docc. 24 e 25 parte attrice).</p><p><br /></p><p>Ha inoltre premesso che, ancor prima, in data 10/7/2018, il Tribunale di Milano, su ricorso ex artt. 700 e 669 bis e ss. c.p.c. proposto dall'unico socio accomandante della M.R.N., sig. E.C., aveva disposto, ai sensi dell'art. 2286 c.c., l'esclusione in via cautelare della convenuta dalla società, di cui era l'unica socia accomandataria, rilevando, all'esito del sommario esame proprio della fase cautelare, la sussistenza dei presupposti per l'adozione urgente di tale misura (doc. 1 e 2 attrice).</p><p><br /></p><p>Rispetto a tali provvedimenti la società attrice sostiene che la convenuta non abbia contestato la fondatezza degli addebiti, consistenti nell'asserita effettuazione di plurime distrazioni di denaro e di altri beni della società, nonché nella cessione, non concordata e senza incasso del corrispettivo, dell'unico ramo d'azienda, e che neppure abbia impugnato l'ordinanza cautelare di esclusione dalla società.</p><p><br /></p><p>Entro il termine di 60 giorni assegnato nell'ordinanza cautelare confermativa del sequestro, M.R.N. ha quindi introdotto il presente giudizio di merito.</p><p><br /></p><p>Riportandosi anche a quanto indicato nei predetti procedimenti cautelari, l'attrice contesta in sostanza alla convenuta il compimento di plurime condotte distrattive, oltre che integranti mala gestio della società al tempo in cui ne era l'amministratrice.</p><p><br /></p><p>Tali condotte vengono indicate in primo luogo nell'effettuazione di una serie di bonifici bancari ripetitivi, per l'importo complessivo di €.73.654,00, in favore di tale D. V. Y., che si affermano privi di reale giustificazione, dato che quest'ultima sarebbe solo apparentemente la titolare della ditta individuale "ITC" la quale avrebbe quindi emesso falsi D.D.T. e fatture a giustificazione di tali erogazioni.</p><p><br /></p><p>A sostegno della natura fittizia della suddetta società, con la quale la società attrice dichiara di non aver mai intrattenuto alcun rapporto commerciale, M.R.N., richiamandosi a quanto già prodotto in giudizio presso il Tribunale di Milano, sottolinea da un lato il ruolo della Y., formale legale rappresentante della IC, di allora fidanzata e convivente del nipote della convenuta, sig. F.A., nonché, dall'altro, l'inesistenza di alcuno stabilimento produttivo presso la sede legale della società, dichiarata in Novara, via X., producendo a riprova di tale affermazione una schermata di detto indirizzo tratta da Google Street View (doc. 9 parte attrice).</p><p><br /></p><p>Rileva inoltre l'attrice l'inesistenza di alcun D.D.T. emesso dalla M.R.N. per fornitura di merce grezza alla IC, posto che le fatture ed i D.D.T. emessi da quest'ultima si riferiscono alla "lavorazione di materiale in conto terzi" e dunque presupporrebbero che ad essa sia stata consegnata dalla M.R.N. merce grezza da lavorare (doc. 8 parte attrice).</p><p><br /></p><p>Tali erogazioni troverebbero quindi spiegazione piuttosto nella volontà di beneficiare il nipote A., per il tramite della Y..</p><p><br /></p><p>In secondo luogo l'attrice contesta all'ex amministratrice convenuta l'effettuazione di infedeli annotazioni contabili nei propri mastrini 2016 e 2017 (docc. 11 e 12), dai quali risultano contabilizzati costi per complessivi € 75.646,00 in favore della società TD S.a.s., società amministrata dal nipote della convenuta A., apparentemente giustificati a titolo di pagamento di canoni di affitto del fabbricato sito in Vigliano Biellese, via Q., asserendone la natura fittizia, dato che il fabbricato era di proprietà di altro soggetto (CI S.r.l.) e condotto in affitto unicamente da M.R.N.</p><p><br /></p><p>In tale contesto, l'attrice imputa alla convenuta di aver compiuto un'ulteriore distrazione, per l'importo di € 6.000,00, avendolo erogato in data 7/12/2017 allaTD ed avendolo contabilizzato falsamente proprio a titolo di pagamento di canoni d'affitto (doc. 7 parte attrice).</p><p><br /></p><p>In terzo luogo, ulteriori distrazioni vengono individuate dall'attrice nei bonifici che la convenuta avrebbe ingiustificatamente disposto dal conto corrente dell'impresa in favore del proprio conto corrente personale per l'ammontare di € 8.250,00, nonché nei vari prelievi in contanti effettuati dalla convenuta dai conti correnti della M.R.N., per ulteriori € 8.734,00 (doc. 7 parte attrice).</p><p><br /></p><p>Ancora, in quarto luogo, la società attrice contesta alla convenuta la distrazione dell'autovettura aziendale B.W (tg. ..), trasferita con atto del 28/2/2018 al sig. I. B. per il prezzo dichiarato di € 19.000,00 che non risulterebbe mai essere versato sul conto corrente della società (doc. 7 parte attrice).</p><p><br /></p><p>In quinto luogo, imputa infine la società attrice alla convenuta il compimento di un'ulteriore distrazione, consistita nella cessione del proprio unico ramo d'azienda alla società BP S.r.l., mediante atto del 14/12/2017 registrato in C.C.I.A.A. a prot. 939385/2017 del 27/12/2017 per il prezzo dichiarato di € 40.000,00.</p><p><br /></p><p>Detta operazione, sottolinea l'attrice, oltre ad essere stata effettuata dalla convenuta in totale carenza di potere, non essendone stato previamente informato il socio accomandante E. C. – ragione per cui quest'ultimo ha instaurato un procedimento cautelare presso il Tribunale di Busto Arsizio che, in accoglimento di detta domanda, ha con provvedimento del 11/1/2019 ordinato l'immediata restituzione del suddetto ramo (docc. 4 e 27 parte attrice) - costituirebbe altresì ed in ogni caso una distrazione, sia per l'incongruità del prezzo stabilito rispetto al reale valore del suddetto ramo unico d'azienda, sia in quanto detta somma non risulta incassata nei conti dalla M.R.N. (doc. 7 parte attrice), benché nell'atto di cessione sia stato dichiarato che esso era stato interamente pagato con assegno bancario tre mesi prima della cessione (ossia il 30/9/2017).</p><p><br /></p><p>Alla prova della natura distrattiva di tale operazione si giungerebbe poi anche tenendo conto del fatto che la convenuta, assieme alla figlia M.R.A.F. ed al nipote F. A., sarebbero gli amministratori di fatto tanto della B.P- S.r.l. che della E. S.r.l. - società a cui la BeP S.r.l. ha a sua volta ceduto detto ramo d'azienda e che in seguito ha mutato denominazione proprio in B.P. S.r.l. - nonché della circostanza ritenuta estremamente insolita e sospetta, che, per stessa previsione contrattuale, il cessionario aveva dichiarato di non intendere prendere visione delle scritture contabili della società cedente (art. 6 del contratto di cessione - doc. 14 parte attrice).</p><p><br /></p><p>In particolare, quanto alla prova della dedotta incongruità del prezzo, essa si evincerebbe dal fatto che la M.R.N. all'epoca della cessione, ossia al dicembre 2017, aveva cespiti per un valore attestato dal registro dei beni ammortizzabili di €.99.121.88, (doc. 15 parte attrice), per cui la cessione al prezzo di €.40.000,00, senza peraltro la cessione dei relativi debiti, costituirebbe un segno evidente della finalità fraudolenta, confermata anche nel fatto che, tanto la convenuta, quanto la figlia ed il nipote, avrebbero continuato ad operare negli stessi locali, con gli stessi dipendenti, macchinari, clienti e fornitori, con denominazione BeP S.r.l.</p><p><br /></p><p>Per tale cessione fittizia dell'azienda, restituitale a seguito del provvedimento del Tribunale di Busto Arsizio in data 9/5/2019 (doc. 34 parte attrice), M.R.N. afferma dunque di aver subito un danno consistente nell'intero valore del suddetto ramo unico d'azienda, avendo accertato, a seguito della restituzione, la perdita definitiva del valore dell'avviamento e della clientela, da sommarsi a quello dei cespiti e dei macchinari nel frattempo ceduti dalla convenuta prima della restituzione.</p><p><br /></p><p>Detto danno viene alternativamente determinato dall'attrice o mediante riferimento al reddito prospettico annuo dell'impresa, pari ad €.59.782,00 (come stimato dal proprio consulente - doc. 6 parte attrice) ed al tempo intercorso tra la cessione e la restituzione, oppure, in via subordinata, nella differenza tra il valore dei cespiti alla data della cessione (€.99.121,88) e quello pari al ricavato dalla cessione dei beni e macchinari restituiti all'attrice (da determinarsi).</p><p><br /></p><p>Sempre in tale contesto, l'attrice ha poi rappresentato di aver reperito, nella documentazione contabile restituitale, una serie di ricevute, emesse a titolo di pagamento di prestazioni occasionali di lavoro, per l'ammontare complessivo di €.20.954,00, che ritiene fittizie in quanto presumibilmente rilasciate da conoscenti della convenuta che non avrebbero in realtà mai lavorato per la M.R.N.</p><p><br /></p><p>Infine, allega l'attrice che la convenuta, durante la gestione della M.R.N., avrebbe omesso di pagare i contributi ed i tributi dovuti, così accumulando rilevanti debiti con l'Erario ed in particolare debiti tributari per € 105.000,00 (doc. 19 parte attrice), per tale ragione formulando domanda di risarcimento per il valore delle sanzioni irrogatele dall'Agenzia delle Entrate, pari ad € 16.035,39 per omesso versamento dell'IVA nel periodo d'imposta 2016, nonché per quelle ulteriori sopraggiunte in corso di causa relative all'anno 2017.</p><p><br /></p><p>Si è tempestivamente costituita in giudizio la convenuta A.F., contestando l'imputabilità a sé delle condotte indicate dall'attrice ed affermando che esse sarebbero state in realtà compiute da tale C. R., soggetto che avrebbe rivestito il ruolo di reale dominus della società e di cui ha chiesto pertanto preliminarmente la chiamata in causa ex <a href="http://formulario-online.blogspot.com/2012/02/art-106-cpc-intervento-su-istanza-di.html" target="_blank">artt. 106 </a>e <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/testo-art-269-cpc.html" target="_blank">269 co. 2 c.p.c.</a></p><p><br /></p><p>Secondo la prospettazione difensiva della convenuta, in particolare, il R., oltre ad aver dato vita alla società attrice, vi avrebbe in seguito fatto entrare il socio accomandante C. nonché la stessa convenuta, quale accomandataria, estromettendo l'originaria titolare e figlia della convenuta M. R.A.F., la quale del pari avrebbe rivestito, anche dopo, unitamente al R., il ruolo di amministratore di fatto della M.R.N.</p><p><br /></p><p>Sottolinea la convenuta che il C. non "è mai stato visto in società", né "ha contattato alcuno della società", e che invece il R. era stato formalmente assunto come dipendente, salvo poi dimettersi in data 27/11/2017 ed impossessarsi di un'autovettura societaria, e che attualmente "parrebbe assunto presso un compro oro di Como alle dipendenze dell'attuale amministratrice delle società" (pagg. 6 e 7 comparsa convenuta).</p><p><br /></p><p>Ulteriori prove del suddetto ruolo del R., secondo la convenuta, potrebbero trarsi dal pagamento, risultante dall'esame dei conti sociali della M.R.N., di talune fatture di tale avvocato G. C., soggetto che viene indicato quale il difensore del R. in un processo penale non precisamente identificato instaurato a suo carico presso il Tribunale di Roma (doc. 15 convenuta).</p><p><br /></p><p>Inoltre, sempre dall'esame dei conti correnti si trarrebbe la prova di diverse erogazioni di denaro disposte in favore del C. e di altri soggetti "coinvolti in questa vicenda" (pag. 9 comparsa di risposta), le quali sarebbero state operate dal R. tramite conti correnti intestati all'A. o alla società attrice.</p><p><br /></p><p>Infatti, afferma la convenuta, tanto i conti correnti quanto gli assegni, le credenziali di home banking e le carte bancomat della M.R.N. sarebbero stati nella disponibilità materiale del R., il quale avrebbe dato ai dipendenti della società attrice ed alla stessa figlia della convenuta, M.R.A.F., ogni indicazione sulle operazioni da compiere nella M.R.N., inclusi i pagamenti e le emissioni di fatture.</p><p><br /></p><p>Lo stesso R. avrebbe inoltre svolto il ruolo di reale amministratore anche delle società IC e TD, dunque gestite solo formalmente dalla Y. e dall'A., ed avrebbe peraltro assunto atteggiamenti minacciosi ed ingiuriosi nei confronti della figlia della convenuta, come dimostrato dalle fotografie di taluni telefoni e delle relative schermate dei messaggi prodotte in atti (doc. 3 convenuta).</p><p><br /></p><p>Quanto al merito delle operazioni allegate dalla società attrice come integrative della mala gestio e delle distrazioni, la difesa della convenuta ha inoltre replicato sostenendo che i bonifici per l'ammontare complessivo di € 73.654,00 "potrebbero riguardare gli stipendi che venivano corrisposti alla figlia ed al nipote della convenuta", che le fatture della Italia Cashmere Distribuzioni "vennero fatte dal R." e che l'importo di €.75.646,00, indicato nelle scritture contabili a titolo di pagamento dei canoni di affitto alla TD, troverebbe spiegazione nel fatto che il contratto di affitto della sede della M.R.N. era stato fatto intestare dal R. alla TD che poi subaffittava alla M.R.N., essendo quindi detti versamenti stati realmente effettuati, come anche attestato dall'estratto conto del conto corrente bancario della società (doc. 18 convenuta).</p><p><br /></p><p>Quanto ancora all'importo di € 16.894,00, la difesa della convenuta replica che esso sarebbe stato impiegato "per corrispondere altri stipendi", mentre l'automobile BMW "non è stata ancora pagata" (pagg. 13 e 14 comparsa).</p><p><br /></p><p>Quanto poi al valore dei cespiti aziendali, indicati dall'attrice in € 99.121,88, la convenuta contesta detta quantificazione, affermando che "potrebbero riferirsi alle due autovetture ed alla camera di condizionatura" ed eccependo che in realtà i macchinari appartenevano alla ditta MAUROTEX ed erano concessi in comodato alla M.R.N., mentre la fattura di €.61.122,00 riguarderebbe una camera di ripresa umidità, presente in azienda, ed anche i rapporti di lavoro occasionale indicati dall'attrice non sarebbero fittizi, bensì realmente esistiti.</p><p><br /></p><p>Infine, sempre sul valore dell'azienda, la difesa della convenuta lamenta che si debba tener conto anche del valore della quota detenuta dalla convenuta in M.R.N., nonché del fatto che la stessa convenuta avrebbe subito gli effetti dei danni societari.</p><p><br /></p><p>Contesta inoltre quanto attestato dalla perizia di parte attrice, accusando il consulente dell'attrice dott. A. P. di trovarsi in una posizione di conflitto di interessi e di aver minacciato fisicamente e pesantemente il nipote della convenuta, proseguendo infine nella descrizione di intricate vicende riguardanti anche altri soggetti, società ed istituti bancari asseritamente coinvolti nei fatti di causa, per cui ha richiesto al Tribunale l'acquisizione di una relazione della Guardia di Finanza sul punto.</p><p><br /></p><p>Rigettata all'esito della prima udienza la chiamata in causa del terzo R. formulata dalla convenuta, concessi termini di cui all'<a href="http://formulario-online.blogspot.com/2012/02/art-183-cpc-prima-comparizione-delle.html" target="_blank">art. 183 co. 6 c.p.c. </a>e ritenute in seguito irrilevanti ed in parte generiche o valutative le istanze di prova orale della convenuta intese a dimostrare la presunta esclusiva responsabilità del R. nella vicenda in esame, rigettata l'istanza di acquisizione della relazione della G.d.F. in quanto formulata genericamente ed in palese assenza dei presupposti di legge, è stata quindi disposta C.T.U. contabile volta all'accertamento del valore degli eventuali danni arrecati alla società attrice. Disposta successivamente un'integrazione della suddetta C.T.U. volta a rideterminare, a seguito delle osservazioni formulate dai CC.TT.P., il valore dei cespiti aziendali a seguito della parziale restituzione dei beni aziendali e del valore dell'avviamento aziendale, nonché della quota societaria della convenuta, la causa è stata quindi rimessa alla decisione del collegio, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.</p><p><br /></p><p>La domanda attorea è meritevole di accoglimento per le ragioni e nei limiti seguenti.</p><p><br /></p><p>Va innanzitutto osservato che l'azione è proposta, in via principale, ai sensi dell'art. 2260 c.c., norma applicabile ex artt. 2293 e 2315 c.c. alle società in accomandita semplice, la quale dispone che i diritti e gli obblighi degli amministratori delle società di persone sono regolati dalle norme sul mandato e che gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l'adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale, non estendendosi tuttavia la responsabilità a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa.</p><p><br /></p><p>Sulla portata di tale norma e quindi della responsabilità degli amministratori delle società di persone, la giurisprudenza della Suprema Corte, in linea con quanto generalmente affermato in tema di riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità contrattuale (cfr. Cass. Sez. Un. 13533/2001), ha precisato che "in tema di società di persone, la responsabilità dell'amministratore per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché a fronte di somme fuoriuscite dall'attivo della società, a titolo di utili o compensi erogati, quest'ultima, nell'agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l'inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all'amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all'estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell'attività sociale" (<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/nelle-societa-di-persone-la.html" target="_blank">Cass. 12567/2021</a>).</p><p><br /></p><p>Tanto chiarito in ordine al riparto dell'onere probatorio, va rilevato che, nel caso di specie, l'attrice ha dettagliatamente allegato il compimento di una serie di operazioni che costituirebbero distrazioni di denaro e di beni dai conti correnti e dai cespiti aziendali operate dalla convenuta durante il periodo in cui ricopriva la carica di amministratrice della M.R.N., fornendo a suo supporto cospicua documentazione contabile.</p><p><br /></p><p>Rispetto a tali specifiche allegazioni, che hanno trovato riscontro nell'esame operato dal C.T.U. dei documenti prodotti in atti dall'attrice, la convenuta si è invece principalmente limitata ad affermare, per buona parte delle proprie difese, che tali condotte, anche ove sussistenti, sarebbero da imputarsi ad un terzo soggetto, ossia tale C. R., indicato quale reale dominus della società nonché titolare dei relativi poteri gestori e della gestione dei conti correnti e delle sue risorse, come anche delle società TD ed IC..</p><p><br /></p><p>Va tuttavia rilevato, con considerazione preliminare ed assorbente sul punto, che detta eccezione non consente di esimere da responsabilità la convenuta per le suddette distrazioni o condotte di mala gestio contestatele, poiché, come pacificamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, l'amministratore di fatto, ove tale qualifica sia accertata, ossia ove si accerti che si sia "inserito nella gestione della società, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, con sistematicità e completezza" (cfr. di recente Cass. 1516/2022), può concorrere con gli amministratori formali a cagionare un danno alla società attraverso il compimento o l'omissione di atti di gestione, "sicché anche nei suoi confronti può essere promossa l'azione di responsabilità", non elidendo in ogni caso la responsabilità concorrente dell'amministratore formale (ex multis <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/ai-fini-del-riconoscimento-della.html">Cass. 21730/2020</a>; Cass. 21567/2017).</p><p><br /></p><p>Tali principi sono del resto pacificamente condivisi anche dalla giurisprudenza di merito, essendo in diversi casi stato ribadito che "del danno derivato dalle distrazioni nei confronti del patrimonio sociale devono rispondere, sotto il profilo soggettivo, sia l'amministratore di diritto, sia coloro che, sulla base della documentazione acquisita, abbiano assunto il ruolo di amministratori di fatto. Non costituiscono infatti circostanze di esonero dalla responsabilità civile dell'amministratore per il danno derivato alla società e ai creditori dalla violazione degli obblighi imposti dalla carica, né l'essersi prestato ad assumere solo formalmente la carica di amministratore fungendo da prestanome del soggetto a cui è demandata di fatto la gestione, né lo svolgimento del mandato nella completa ignoranza dell'operato del terzo incaricato dell'esecuzione delle attività proprie dell'amministratore" (Trib. Milano 1/2/2021).</p><p><br /></p><p>Ne consegue che correttamente non è stata autorizzata la chiamata in causa del R., non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario e non venendo meno la responsabilità della convenuta anche ove dimostrata la corresponsabilità del suddetto presunto amministratore di fatto.</p><p><br /></p><p>Nel caso in questione infatti la convenuta risulta documentalmente aver rivestito il ruolo di amministratrice e di unica socia accomandataria della M.R.N. nel periodo in cui si assumono perpetrate le suesposte condotte distrattive e di mala gestio allegate, ed in particolare a decorrere dal 22/5/2015, sino alla sua esclusione dalla società, disposta dal Tribunale di Milano con provvedimento del 10/7/2018.</p><p><br /></p><p>Tale ruolo, oltre a non essere stato contestato, risulta del resto dall'esame della stessa visura camerale della società (doc. 2 attrice) nonché dai provvedimenti giudiziari sopra indicati.</p><p><br /></p><p>Inoltre, dall'esame degli ulteriori documenti versati in atti risulta l'assoluta inverosimiglianza della tesi sostenuta dalla convenuta secondo cui la stessa sarebbe assolutamente estranea alle operazioni indicate dall'attrice, posto che talune di esse sono state compiute con la partecipazione della convenuta, la quale ha personalmente sottoscritto l'atto di cessione dell'azienda (doc. 14 attrice) senza peraltro disconoscerne l'autenticità, mentre altre risultano essere state compiute, quanto meno, con la sua consapevolezza, considerato che si tratta di operazioni effettuate a beneficio proprio o dei suoi familiari, e ciò in particolare va affermato sia per quanto riguarda le erogazioni di denaro disposte su conti correnti personali della convenuta, sia per quelle disposte su conti correnti della società amministrata dal nipote nonché della società amministrata dalla Y., compagna e convivente di quest'ultimo all'epoca dei fatti.</p><p><br /></p><p>In particolare, quanto alle distrazioni dedotte per l'ammontare di €.73.654,00, consistenti nei bonifici effettuati in favore della Italia Cashmere Distribuzioni di D. V. Y., le giustificazioni addotte dalla convenuta rispetto alle puntuali allegazioni attoree in ordine alla dedotta falsità delle fatture e dei D.D.T. emessi dalla Italia Cashmere Distribuzioni, nonché alla dedotta natura fittizia di tale società, si palesano del tutto generiche ed anzi confermative della falsità di tali documenti giustificativi, avendo infatti la difesa della convenuta affermato che esse "parrebbero riguardare gli stipendi che venivano corrisposti a A.F. M. R. ed A. F." (pag. 13 comparsa di risposta), deduzione del tutto incompatibile con la suddetta giustificazione formale ed oltretutto indimostrata.</p><p><br /></p><p>Sul punto, quindi, venendo dalla stessa convenuta smentita la giustificazione causale indicata nei documenti contabili dalla stessa prodotti ed essendo, d'altra parte, incontestata la qualità della beneficiaria Y. di fidanzata e convivente, all'epoca, del nipote della convenuta, richiamato il suddetto criterio di riparto dell'onere probatorio, e condividendosi le conclusioni del C.T.U., che ha per giunta rilevato una sostanziale incoerenza tra pagamenti effettuati e fatture allegate a tale titolo, con eccedenza degli importi pagati rispetto a quanto risultante dalle fatture ed assenza di quadratura di una serie di pagamenti indicati quali acconti di fatture, deve concludersi per la fondatezza dell'allegazione in ordine alla sussistenza di distrazioni addebitabili alla convenuta a tale titolo per un importo complessivo di €.69.454,00.</p><p><br /></p><p>Passando all'esame dell'allegata distrazione di € 6.000,00, giustificata dalla convenuta a titolo di pagamento del canone di subaffitto del fabbricato di Vigliano Biellese, via Q., alla società di cui è socio accomandatario ed amministratore il nipote della convenuta, essa appare invece infondata.</p><p><br /></p><p>Infatti, sul punto, innanzitutto la difesa delle convenuta ha prodotto in atti documentazione atta a dimostrare il pagamento da parte della T.D. alla C.I. S.r.l. di somme per il pagamento di canoni di affitto, ed in secondo luogo la stessa C.T.U., a seguito delle osservazioni formulate dal C.T.P. di parte attrice, su cui non sono state espresse ulteriori critiche, ha rilevato che l'operazione del 7/12/2017 di € 6.000,00 con descrizione "rimborso canoni" costituisce un'operazione a credito del conto corrente della società da parte della T. D. e non di un addebito.</p><p><br /></p><p>Per quanto riguarda tale somma le allegazioni attoree non trovano quindi riscontro, non trattandosi dunque di una distrazione.</p><p><br /></p><p>Quanto poi alle somme allegate dall'attrice quali ulteriori distrazioni per l'ammontare di €.16.984,00, la spiegazione offerta dalla convenuta secondo cui esse sarebbero "state impiegate per corrispondere altri stipendi" appare del tutto generica oltre che indimostrata, essendo anche le relative istanze di prova orale state formulate in modo generico ed in netto contrasto con quanto si evince dai documenti in atti.</p><p><br /></p><p>Infatti, dall'esame dell'estratto del conto corrente della M.R.N. risulta per tabulas che per la somma di € 8.250,00 si tratta di bonifici aventi quale beneficiario "A.F." e quale causale "dotazione finanziaria su conto personale", circostanza che rende del tutto implausibile la suddetta spiegazione alternativa offerta dalla convenuta, mentre quanto alle somme prelevate in contanti dal conto della società per ulteriori €.8.734,00, la suddetta giustificazione non appare del pari credibile, a fronte della documentale titolarità dei poteri di gestione e di prelievo in capo alla convenuta, che, come detto, non le consentirebbe di esimersi da responsabilità anche qualora venisse provato l'asserito possesso da parte del presunto amministratore di fatto delle tessere bancomat e la gestione di fatto dei conti correnti di M.R.N.</p><p><br /></p><p>Va pertanto sul punto affermata la fondatezza della domanda attorea in ordine alla distrazione della somma di € 16.984,00 mediante prelievi e bonifici ingiustificati.</p><p><br /></p><p>Infondata è altresì l'argomentazione difensiva della convenuta in ordine alla allegata distrazione dell'autovettura aziendale BMW (tg ..), consistente nell'affermazione che "essa non è ancora stata pagata" (pag. 14 comparsa di risposta), la quale può valorizzarsi unicamente quale non contestazione sul mancato incasso del corrispettivo e della vendita del bene ad opera della convenuta all'acquirente I. B., circostanze evincibili d'altra parte anche mediante l'esame della visura del P.R.A. e dell'estratto conto societario prodotti in atti (docc. 13 e 7 parte attrice).</p><p><br /></p><p>Va peraltro osservato sul punto che la convenuta neppure ha allegato di aver promosso alcuna azione volta al recupero di detto credito, rendendo quindi non credibile persino detta allegazione, in ogni caso indimostrata ed inconferente.</p><p><br /></p><p>Va quindi accolta la domanda di condanna della convenuta al risarcimento dell'ulteriore somma di € 19.000,00, pari al valore della suddetta autovettura attestato nella visura del PRA sulla base dell'atto di vendita del 28/2/2018.</p><p><br /></p><p>In conclusione, quanto alle sopra indicate condotte distrattive e di mala gestio imputate alla convenuta (esclusa la cessione dell'unico ramo aziendale di cui infra), considerata l'assenza di alcuna plausibile giustificazione offerta dalla convenuta, su cui gravava il relativo onere, in ordine alla destinazione del patrimonio all'estinzione di debiti sociali o allo svolgimento dell'attività sociale, vanno condivise le conclusioni della C.T.U. contabile, la quale ha accertato la sussistenza di "diminuzioni patrimoniali irregolari e/o non regolarmente documentate per complessivi €.105.438,00" (pag. 12 C.T.U. contabile rag. M.), pari alla somma delle stesse.</p><p><br /></p><p>Venendo all'esame della vicenda della cessione del ramo d'azienda alla società BeP S.r.l., effettuato con atto del 27/12/2017 autenticato da Notaio (doc. 14 attrice), va innanzitutto premesso che essa è stata dichiarata invalida dal Tribunale di Busto Arsizio che, con ordinanza del 19/1/2019, ha disposto l'immediata restituzione alla società attrice dell'azienda "nella sua attuale consistenza" (doc. 4 attrice).</p><p><br /></p><p>Con detta ordinanza il suddetto tribunale ha in particolare accolto il ricorso proposto dall'odierna attrice ex art. 700 c.p.c., rilevando che, come ritenuto in dottrina e giurisprudenza, nel concetto di "modifica del contratto sociale" vanno ricomprese tutte le decisioni che riguardano la struttura organizzativa della società, ivi inclusa la variazione dell'oggetto sociale che derivi da un'operazione di cessione dell'unico complesso aziendale facente capo alla società, la quale, non costituendo operazione di attuazione dell'oggetto sociale, bensì di modifica strutturale dell'ente, richiede ex art. 2252 c.c. il consenso unanime dei soci, mentre nel caso di specie l'operazione era stata compiuta unicamente dalla socia accomandataria, odierna convenuta, senza il consenso dell'unico altro socio, l'accomandante E. C..</p><p><br /></p><p>Detta cessione del ramo d'azienda, rectius dell'intera azienda, ha pertanto avuto luogo dalla data del 27/12/2017, sino alla riconsegna all'attrice, avvenuta in data 9/5/2019, di parte dei cespiti aziendali, con definitiva perdita del valore dell'avviamento aziendale. Tali fatti risultano attestati dai documenti in atti, oltre che non contestati dalla convenuta, la cui difesa ha invece formulato eccezioni sull'ammontare del danno.</p><p><br /></p><p>Dall'esame del conto corrente della società attrice risulta inoltre il mancato versamento del prezzo, contrattualmente stabilito in € 40.000,00, essendo tuttavia tale fatto superato dalla riconsegna dell'azienda "nella sua attuale consistenza", come sopra intesa, e dovendosi piuttosto valutare il concreto ammontare del danno, indicato dall'attrice nella definitiva perdita di valore dell'azienda, tenuto conto della perdita sia dell'avviamento che di parte dei beni aziendali.</p><p><br /></p><p>Per tale valutazione, la C.T.U. contabile, affidata al rag. S. M. ha innanzitutto confermato che, dall'esame dei documenti in atti, malgrado il contratto titoli "cessione di ramo d'azienda", è da ritenersi che di fatto sia stata ceduta l'intera azienda, poiché "dai documenti agli atti non risulta infatti la possibilità, sempre che vi sia, di definire un ramo d'azienda ceduto diverso e parziale rispetto all'intera azienda sociale" (pag. 8 C.T.U.).</p><p><br /></p><p>Tanto premesso, la C.T.U. ha quindi determinato il danno ai cespiti aziendali calcolandolo nella misura pari alla differenza tra il valore ante e post cessione – tenuto conto di quanto risultante dal registro dei beni ammortizzabili (doc. 15 attrice) e quantificato il loro valore ante cessione in €.88.791,00 e quello dei beni restituiti in €.50.258,12, così accertando la misura del relativo danno emergente in € 38.532,88.</p><p><br /></p><p>Sul punto, considerato anche che sull'integrazione di perizia, disposta con ordinanza resa all'udienza del 4/5/2022, non sono state svolte ulteriori osservazioni da parte dei consulenti di parte, si ritiene condivisibile, in quanto congrua ed adeguatamente e scientificamente motivata, la risposta offerta dal C.T.U.</p><p><br /></p><p>Quanto invece al valore del perduto avviamento aziendale, il C.T.U. lo ha determinato facendo ricorso al criterio del cd. "reddito medio prospettico", tenendo conto del reddito dell'impresa nei due anni precedenti la cessione dell'azienda.</p><p><br /></p><p>Quanto al moltiplicatore "tempo", il C.T.U. ha ritenuto congrua la sua determinazione nella misura di quattro anni, prossima al minimo applicabile, osservando che "nel caso di durata limitata nel tempo questo varia da un minimo di tre anni ad un massimo di dieci anni, in conseguenza della tipologia di azienda e delle sue caratteristiche intrinseche; trattandosi di azienda priva di propri marchi affermati e storia individuale nel settore si è ritenuto di indicare una durata tendente al basso, pari a 4 anni" (pag. 10 C.T.U. rag. M.).</p><p><br /></p><p>Quanto al tasso, necessario alla attualizzazione del reddito futuro prospettico, il C.T.U. ha determinato lo stesso nella misura del 15%, come ricavabile dai principi espressi dalla più autorevole dottrina del settore di riferimento, sommando il tasso dei rendimenti senza rischio (titoli di Stato) pari all'1% a quello del rischio del settore industrie, pari al 5%, ed a quello delle industrie di piccole dimensioni, pari al 7% ed ad un ulteriore 2% forfettariamente determinato.</p><p><br /></p><p>In tal modo, determinato il reddito medio normalizzato in € 51.184,50 e moltiplicato per il tempo di 4 anni ed il suddetto tasso di attualizzazione, il C.T.U. ha quantificato il valore complessivo dell'avviamento in € 146.126,00, valutazione che appare del tutto condivisibile in quanto frutto di un'accurata analisi scientifica sulla quale non sono state svolte contestazioni ad opera del consulente di parte convenuta.</p><p><br /></p><p>In conclusione, dunque, per quanto riguarda il danno derivato alla società attrice dalla cessione dell'azienda, risulta accertato il suo ammontare complessivo nel valore di €.184.658,88 determinato dal C.T.U. (pag. 8 integrazione C.T.U. del 19/9/2022).</p><p><br /></p><p>Sulle osservazioni critiche svolte dal C.T.P. della convenuta, dirette ad ottenere la deduzione, dalla suddetta somma, del valore della quota societaria della convenuta, di cui, come detto, è stata disposta l'esclusione dalla società con ordinanza del Tribunale di Milano del 10/7/2018, sono da condividersi le valutazioni del C.T.U. il quale ha operato detta valutazione sulla base del disposto di cui all'art. 2289 co. 2 c.c., ai sensi del quale "la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento", così giungendo alla conclusione che "il valore della quota sociale della convenuta alla data dell'estromissione è pari a zero" (pag. 6 integrazione C.T.U. del 19/9/2022).</p><p><br /></p><p>Infatti, le critiche mosse sul punto dalla difesa della convenuta non appaiono cogliere nel segno, né la giurisprudenza dalla stessa citata è atta ad avvalorare la tesi secondo cui dovrebbero utilizzarsi altri criteri per la determinazione del valore della quota sociale, posto che le stesse pronunce richiamate precisano che tali criteri sostitutivi devono essere utilizzati qualora la documentazione in atti sia in concreto inidonea alla suddetta valutazione, situazione insussistente nel caso di specie, in cui il C.T.U. ha dato atto che il valore della quota della convenuta alla data dell'esclusione risulta pari a zero, essendo infatti all'epoca già stato ceduto l'intero asset aziendale alla BeP.</p><p><br /></p><p>In conclusione, sommata tale posta del danno a quello arrecato mediante le sopra accertate distrazioni, va pertanto condannata la parte convenuta al risarcimento del danno cagionato alla società attrice per la complessiva somma di € 260.000,00, pari al valore della domanda attorea indicato in citazione e nelle conclusioni precisate.</p><p><br /></p><p>Sul punto, va infatti osservato che la conclusione attorea volta ad ottenere il "risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dall'attrice nella misura di € 260.000,00 o di quella diversa misura, minore o maggiore, che risulterà dovuta in corso di causa", non consente il riconoscimento di una somma maggiore rispetto a quella sopra indicata, poiché, come osservato anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità, "la formula somma maggiore o minore risultante all'esito dell'istruttoria o altre espressioni consimili, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di una somma determinata, non costituisce una clausola meramente di stile quando persiste una ragionevole incertezza sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi, con la conseguenza che detta clausola è priva di rilevanza se, all'esito dell'istruttoria, compiuta anche tramite consulenza tecnica d'ufficio, sia risultata una somma maggiore di quella originariamente richiesta e la parte si sia limitata a richiamare le conclusioni rassegnate con l'atto introduttivo e la formula ivi riprodotta" (Cass. 35302/2022; Cass. 12724/2016; Cass. 6350/2010).</p><p><br /></p><p>Sulla suddetta somma vanno invece riconosciuti, dal dovuto al saldo, la rivalutazione monetaria e gli interessi compensativi nella misura legale, sia in quanto espressamente richiesti in aggiunta rispetto alla somma indicata e sia, in ogni caso, essendo pacifico il principio per cui "nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria, quali componenti indispensabili del risarcimento, loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni" (Cass. 6867/2022), con la precisazione che il calcolo degli interessi legali deve essere operato non già sulla somma all'esito della rivalutazione, ma sulla somma via via rivalutata anno per anno (Cass. Sez. Un. 1712/1995)1.</p><p><br /></p><p>1 "Gli interessi, determinati nel loro ammontare dal giudice, vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria".</p><p><br /></p><p>Le spese del giudizio seguono la soccombenza, dovendosi pertanto condannare la parte convenuta al loro rimborso in favore della parte attrice, che si liquidano, per quanto attiene al presente giudizio di cognizione, mediante applicazione della tabella n. 2 allegata al D.M. 55/2014 relativa ai giudizi di cognizione innanzi al Tribunale, tenuto conto dello scaglione di valore della causa (€.52.001,00 - €.260.000,00), con applicazione dei valori medi per tutte le fasi del giudizio e pertanto in complessivi €.14.103,00 per compensi, oltre a C.P.A. ed I.V.A. di legge se dovuta ed al rimborso delle anticipazioni.</p><p><br /></p><p>Per quanto attiene alle spese della fase cautelare, consistita nel ricorso cautelare per sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. proposto ed ottenuto dall'attrice e nel successivo reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. proposto dalla convenuta e rigettato, vanno altresì poste le stesse a carico della convenuta, la quale va condannata al loro rimborso in favore dell'attrice, liquidate mediante applicazione della tabella n. 10 allegata al D.M. 55/2014 relativa ai procedimenti cautelari, tenuto conto del suddetto scaglione di valore, in linea con i valori medi di tutte le fasi, con esclusione della sola fase istruttoria che non si è svolta, e pertanto per la somma di € 5.262,00 per il primo grado e per € 5.262,00 per quanto riguarda il reclamo (corrispondente alla misura già liquidata dal Collegio in tale sede), e quindi per ulteriori complessivi € 10.524,00 per compensi, oltre a C.P.A. ed I.V.A. di legge se dovuta ed al rimborso delle anticipazioni.</p><p><br /></p><p>Vanno poste altresì integralmente a carico della convenuta le spese della C.T.U.</p><p><br /></p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 958/2019 R.G., promossa da M RN S.a.s. (C.F. ..), contro A.F. (C.F. ..), ogni altra domanda ed eccezione respinta o assorbita:</p><p><br /></p><p>- condanna la parte convenuta al pagamento in favore della parte attrice della somma di €.260.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura legale calcolati sul capitale rivalutato anno per anno dal dovuto sino al saldo effettivo;</p><p><br /></p><p>- condanna altresì la parte convenuta a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, anche della fase cautelare, liquidate in complessivi 24.627,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%, C.P.A. ed I.V.A. di legge, ove dovuta, ed oltre al rimborso delle anticipazioni sostenute;</p><p><br /></p><p>- pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese di C.T.U.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Biella in data 15/2/2023</p><p><br /></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-53502535804781083422023-05-05T11:47:00.002+02:002023-05-05T11:47:19.567+02:00licenziamento notaio e studio professionale<p> Tribunale Novara sez. lav., 15/09/2022, (ud. 15/09/2022, dep. 15/09/2022), n.187</p><p><br /></p><p><br /></p><p>FATTO E DIRITTO</p><p>Con ricorso depositato telematicamente il 16.10.2020, M. V. ha convenuto in giudizio, dinnanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di Novara, il Notaio L. C. chiedendo l'accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento intimatole in data 29.11.2019 e la conseguente condanna della datrice di lavoro alla sua riassunzione nel termine di tre giorni ovvero al pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra le 2,5 e le 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell'art. 8 L. 604/1966.</p><p><br /></p><p>A fondamento della domanda la ricorrente ha allegato di avere lavorato alle dipendenze del Notaio L. C. come impiegata di IV livello CCNL Studi Professionali sulla base di un contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato in data 19.10.2015; di avere ricevuto in data 8.11.2019 una contestazione disciplinare con la quale era stata anche cautelativamente sospesa dal servizio e di essere stata licenziata per giusta causa con successiva lettera del 29.11.2019; di avere impugnato il licenziamento con lettera raccomandata spedita in data datata 19.12.2019.</p><p><br /></p><p>Lamenta la ricorrente la nullità/illegittimità del licenziamento per insussistenza dei fatti contestati e comunque per difetto di proporzionalità tra gli stessi e la sanzione espulsiva.</p><p><br /></p><p>Si è costituita in giudizio il Notaio L. C. concludendo per il rigetto del ricorso di cui ha contestato la fondatezza rimarcando la sussistenza materiale dei fatti contestati alla lavoratrice nonché la loro intrinseca gravità.</p><p><br /></p><p>Esperito senza esito il tentativo di conciliazione, la causa è stata istruita mediante escussione di un teste e all'udienza odierna la causa è stata discussa e decisa con la presente sentenza.</p><p><br /></p><p>*****</p><p><br /></p><p>Il ricorso è fondato e va accolto per quanto di ragione.</p><p><br /></p><p>Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale che questo giudice condivide, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (cfr. Cass., n. 21017 del 2015 e, di recente, Cass., n. 14777 del 2021).</p><p><br /></p><p>Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso e tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della non scarsa importanza di cui all'art. 1455 c.c., cosicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ex art. 3 L. n. 604/66 o addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto ex art. 2119 c.c. (cfr. Cass. n. 26679/2017 "Per giustificare la giusta causa di licenziamento, la condotta del lavoratore deve quindi risultare idonea a incidere sulla fiducia del datore di lavoro e a far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli interessi aziendali") (in tal senso anche Cass. n. 23697/2017, Cass. n. 24014/2017).</p><p><br /></p><p>Si ricorda, inoltre, che il giudice, ai fini dell'accertamento della sussistenza della giusta causa, non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo, potendo ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del consueto vivere civile che abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore e lavoratore.</p><p><br /></p><p>Ad ogni modo, la scala valoriale espressa dal contratto collettivo costituisce indubbiamente uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c: spetta comunque al giudice, si ripete, valutare la congruità della sanzione (tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto in un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità) nonché la ripercussione del fatto addebitato sulla futura correttezza dell'adempimento degli obblighi assunti.</p><p><br /></p><p>Sotto il profilo degli oneri probatori, infine, l'art. 5 della Legge n. 604/1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo.</p><p><br /></p><p>E' dunque, la parte datoriale a dover dimostrare il fatto ascritto al dipendente, sia con riferimento all'elemento materiale che con riferimento a quello psicologico (Cass. Sent. n. 7830/2018, Cass. n. 17108/2016).</p><p><br /></p><p>Tanto premesso, venendo all'analisi della fattispecie in esame, occorre prendere le mosse dalle contestazioni disciplinari rivolte alla ricorrente e poste alla base del licenziamento.</p><p><br /></p><p>Con lettera datata 8.11.2019 la datrice di lavoro ha contestato alla lavoratrice i seguenti fatti "ieri 7 novembre alle ore 8.55 ho visto Lei e la sua collega C. M. andare verso il bar nei pressi dello studio anziché recarsi in ufficio per iniziare la giornata lavorativa. Mi sono fermata per farvi notare che era troppo tardi per andare a bere il caffè visto che l'orario di inizio lavoro è alle ore 9.00. Lei non mi ha dato nessuna risposta e mi ha completamente ignorata. Quando sono arrivata in studio dopo qualche minuto lei era presente ma essendo arrivata da poco non aveva come di norma aperto le finestre per arieggiare gli uffici. Le ho chiesto spiegazioni e lei con tono molto aggressivo e gridando ha detto "insomma le finestre una volta devono stare aperte una volta devono stare chiuse". A questo punto io le ho fatto presente che avrei provveduto a fare un richiamo scritto e lei sempre gridando e con tono strafottente mi ha risposto che non le importava niente, che non aveva paura di me e che se io l'avessi licenziata avrebbe impugnato il licenziamento. Io ho perso la pazienza e ho chiamato la sua collega per chiederle di confermare che io avevo sempre detto di aprire le finestre cinque minuti prima di iniziare il lavoro e che volevo le spiegazioni del perchè lei non lo facesse. Lei però non lasciava parlare la sua collega e continuava a gridare senza che io riuscissi a capire neppure quello che diceva. Le ho così chiesto di uscire dalla stanza perché volevo parlare con Monica e invece Lei mi ha risposto con un secco no. Ad una mia ulteriore richiesta se ne è andata sbattendo la porta, prendendo la sua giacca e dicendo che non riusciva a respirare e aveva male al petto. Vista la situazione ho chiesto a C. M. di accompagnarla a casa che avrei provveduto io a rispondere al telefono. Invece dopo pochi secondi sono arrivati l'ambulanza ed i carabinieri che Lei stessa aveva chiamato senza avvisarmi e senza un reale motivo. Tant'è che gli stessi agenti dei carabinieri una volta giunti non hanno capito il motivo il perché dell'intervento perché non c'erano i presupposti. Di fatto lei ha continuato a gridare anche fuori dallo studio provocando scompiglio nel vicinato finchè poi non è stata trasportata in ospedale dall'ambulanza. A mia volta dopo l'accaduto ho dovuto rivolgermi al pronto soccorso perché sconvolta dal suo comportamento ho avuto un attacco di tachicardia. Se desidera esporre eventuali ragioni a sua difesa, potrà farlo entro cinque giorni dal ricevimento della presente contestazione. Tale comportamento, se non adeguatamente giustificato, integra la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa anche ai sensi dell'art. 2119 c.c. e pertanto, Le comunichiamo la sospensione cautelativa per tutta la durata della procedura garantistica prevista dall'art. 7 legge 300 1970".</p><p><br /></p><p>Alla contestazione disciplinare ha fatto seguito la lettera di licenziamento del 29.11.2019 con la quale la datrice di lavoro, ritenendo di non accogliere le giustificazioni scritte della lavoratrice e richiamando il contenuto della precedente contestazione, ha comminato la sanzione del licenziamento senza preavviso richiamando l'art. 140 punto 6) del CCNL Studi Professionali.</p><p><br /></p><p>Occorre a questo punto esaminare le distinte condotte addebitate alla lavoratrice e poste alla base del licenziamento.</p><p><br /></p><p>Alla lavoratrice è stato contestato che il giorno 7.11.2019 alle ore 8.55, invece di recarsi in studio, si era fermata al bar per prendere il caffè con la collega C. M. e che, nonostante il Notaio avesse fatto loro presente che era troppo tardi per il caffè, in quanto l'orario di inizio lavoro era alle 9.00, ella non le aveva risposto ignorandola completamente.</p><p><br /></p><p>Alla lavoratrice è stato poi contestato che, quel medesimo giorno, allorchè il Notaio appena giunto in studio le aveva chiesto spiegazioni del perché non avesse ancora aperto le finestre per arieggiare i locali, avrebbe risposto in tono aggressivo e strafottente ignorando gli avvertimenti della datrice di lavoro per poi andarsene sbattendo la porta e continuando a gridare anche fuori dallo studio.</p><p><br /></p><p>La teste C. M., collega della ricorrente presente ai fatti e attualmente in servizio presso lo studio del Notaio L. C., riferendosi alla giornata del 7.11.2019, ha dichiarato "c'eravamo tutte e due e stavamo andando al bar, era poco prima delle nove e il Notaio che ci ha viste ci ha invitate ad andare in ufficio perché era tardi per andare al bar; ADR capitava che la mattina ci fermassimo al bar se arrivavamo quei dieci minuti prima; era la prima volta che il Notaio ci riprendeva".</p><p><br /></p><p>La circostanza che la ricorrente, la mattina del 7.11.2019 prima di iniziare l'attività lavorativa, avesse completamente ignorato il richiamo della datrice di lavoro che invitava lei e la collega C. M. a recarsi in ufficio, così come sottolineato dalla lettera dell'8.11.2019, non pare assumere alcuna valenza disciplinare trattandosi di comportamento tenuto al di fuori dell'orario di lavoro; si osserva inoltre che non risulta nemmeno contestato che la circostanza che la ricorrente si fosse fermata a prendere un caffè cinque minuti prima dell'inizio dell'orario di lavoro abbia in qualche modo inciso negativamente sull'attività lavorativa. Invero, deve ritenersi provato il contrario dal momento che nella stessa lettera di contestazione disciplinare si legge che la lavoratrice, allorchè il Notaio arrivò in studio, era ivi già presente.</p><p><br /></p><p>Quanto alla questione dell'apertura delle finestre, la teste C. M. ha dichiarato che, una volta entrata in studio, "il Notaio sosteneva che non avevamo ancora aperto ma invece le stavamo aprendo e mancava solo quella della sua stanza e forse un'altra" ribadendo che "le imposte le avevamo iniziate ad aprire e come ho detto mancavano solo quella stanza del notaio e un'altra".</p><p><br /></p><p>Di fatto, dunque, l'attività di apertura delle finestre, da compiere secondo le direttive della datrice di lavoro quale prima incombenza del mattino, era in corso quando il Notaio arrivò in studio il 7.11.2019 tanto che mancavano da aprire solo la finestra dello studio del Notaio e quella di un'altra stanza.</p><p><br /></p><p>In ogni caso, anche volendo ipotizzare che la ricorrente (ma anche la collega) non avesse ancora provveduto in tal senso e che vi fossero ancora tutte le finestre da aprire, non si vede come una simile mancanza potesse compromettere l'attività dello studio e, ancora prima, incidere in maniera irreversibile sul rapporto fiduciario che deve essere alla base del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro.</p><p><br /></p><p>Peraltro a riprova della irrilevanza disciplinare di una simile mancanza si osserva che la stessa teste C. M. ha dichiarato che non era mai successo, prima del 7.11.2019, che il Notaio le riprendesse sull'apertura delle finestre.</p><p><br /></p><p>La teste ha poi confermato che ne seguì una discussione tra il Notaio e la ricorrente piuttosto accesa "la ricorrente rispose un po' seccata perché una volta era successo che le finestre erano state tenute aperte per un po' più di tempo del solito e in quell'occasione il Notaio si era lamentata che andavano chiuse perché c'era acceso il riscaldamento" evidenziando che il clima lavorativo in studio era sempre stato buono ma che qualche giorno prima dell'episodio del 7.11.2019 i rapporti tra la ricorrente e il Notaio avevano iniziato ad essere piuttosto tesi.</p><p><br /></p><p>Di fatto è emerso che, nel corso della giornata del 7.11.2019, si verificò una colorita discussione tra la ricorrente e la datrice di lavoro, scatenata dalla contestazione alla ricorrente di comportamenti di ben scarsa rilevanza disciplinare.</p><p><br /></p><p>Si osserva peraltro che quanto contestato alla lavoratrice non è in alcun modo sussumibile tra le condotte che, ai sensi della contrattazione collettiva, giustificano il licenziamento in tronco e che l'episodio dell'alterco verbale, seppur certamente non privo di rilievo, non si pone tuttavia in termini tali da giustificare l'adozione della sanzione espulsiva, che si rivela essere del tutto sproporzionata.</p><p><br /></p><p>Accertata, dunque, l'illegittimità del licenziamento della lavoratrice, il regime sanzionatorio applicabile alla fattispecie è quello sancito dagli articoli 3, comma 1, e 9, del d.lgs. 23/2015 tenuto conto della data di assunzione della ricorrente (avvenuta in data 19.10.2015 successivamente all'entrata in vigore del cd. "job's act") e delle dimensioni della datrice di lavoro (studio professionale con meno di quindici dipendenti).</p><p><br /></p><p>Pertanto, la resistente deve essere condannata alla corresponsione in favore della ricorrente di una indennità risarcitoria pari a quattro mensilità della retribuzione utile per il calcolo del TFR, avuto riguardo all'anzianità di servizio della ricorrente e alle circostanze del caso concreto stante, da un lato, l'irrilevanza disciplinare delle condotte che hanno portato allo scontro verbale del 7.11.2019 e, dall'altro, la condotta della ricorrente che, pur non assumendo la valenza disciplinare richiesta per l'adozione del provvedimento espulsivo, non è nemmeno esente da critiche.</p><p><br /></p><p>§§§</p><p><br /></p><p>Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo tenuto conto della natura della controversia e del valore dichiarato nell'atto introduttivo.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>Il Tribunale di Novara – Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:</p><p><br /></p><p>- in accoglimento del ricorso, accerta e dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato a M. V. in data 29.11.2019 e, per l'effetto, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna L. C. a corrispondere a M. V. un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a quattro mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo;</p><p><br /></p><p>- Condanna L. C. alla refusione delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquidano in complessivi 3.500,00 oltre il 15% del compenso a titolo di rimborso forfettario, oltre IVA e CPA.</p><p><br /></p><p>Novara 15.9.2022</p><p><br /></p><p>Il Giudice</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-89164275846822931622023-05-03T09:16:00.003+02:002023-05-03T09:16:44.811+02:00 Le fatture sono elementi di prova sufficienti per l'emissione di un decreto ingiuntivo ma non in caso di opposizione<p> Sentenza Tribunale Napoli sez. XII, 01/12/2022, n.10747</p><p><br /></p><p>Fatto</p><p>RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE</p><p>1. La società EL. Im. Srl (d'ora in poi EL.) proponeva opposizione al decreto ingiuntivo num. (omissis), emesso dal Tribunale di Napoli, in data 10/09/2018 e depositato in data 11/09/2018, per l'importo di Euro 9.656,00 oltre interessi e spese.</p><p><br /></p><p>L'intimata eccepiva l'inammissibilità, inesigibilità ed infondatezza del credito azionato con l'iniziativa monitoria dell'opposta.</p><p><br /></p><p>In particolare, impugnava le fatture prodotte dalla controparte, in quanto riferite a prestazioni del tutto generiche e non facilmente individuabili, di cui comunque si contestava l'effettivo e/o il corretto adempimento, nonché il quantum debeatur richiesto.</p><p><br /></p><p>La fattura num. 2 del 02.02.2017, di Euro 8.364,00, risultava riferita ad un ordine num. (omissis), mai sottoscritto e mai concordato tra le parti.</p><p><br /></p><p>Inoltre, le prestazioni rese dalla ricorrente erano state oggetto di contestazioni, verbali e scritte, in ragione della cattiva o ritardata esecuzione dei lavori.</p><p><br /></p><p>Difatti, la EL. era stata richiamata dagli Enti pubblici e dalla Go. spa per l'errata esecuzione dei lavori commissionati proprio a causa dell'inadempimento della ED. An. che, nonostante i ripetuti solleciti, non provvedeva a rendere le opere conformi a regola d'arte, così costringendo l'opponente a rivolgersi ad altre società o ad operare autonomamente per rendere i lavori collaudabili.</p><p><br /></p><p>La EL. era costretta a sopportare i costi per le opere non eseguite secondo le regole dell'arte dall'opposta, talvolta affrontando anche giudizi civili, aventi ad oggetto richieste di risarcimento dei danni, per il cattivo operato della ricorrente.</p><p><br /></p><p>L'intimata contestava specificamente la fattura num 4 del 12/07/2017, relativa al distacco di un lavoratore, sig. Gi. Ma., della ED. AN. presso la EL., poiché quest'ultimo prestava la propria opera solo per 68 ore, a fronte di un accordo che, viceversa, prevedeva la durata mensile del distacco (dal 14-11-2016 al 16-12-2016), in quanto rivelatosi inadeguato all'esecuzione delle mansioni previste.</p><p><br /></p><p>In particolare, la richiesta economica contenuta nella suddetta fattura era da considerarsi sproporzionata rispetto alla prestazione effettivamente eseguita dal lavoratore distaccato.</p><p><br /></p><p>Tali circostanze erano state anche comunicate in precedenza, da ultimo a mezzo pec del 19/04/2018.</p><p><br /></p><p>L'opponente spiegava, quindi, domanda riconvenzionale per ottenere la compensazione tra quanto eventualmente dovuto all'opposta e i crediti accertati in capo alla El.CI. Im..</p><p><br /></p><p>Riportandosi a quanto dedotto, chiedeva l'accoglimento delle seguenti conclusioni:</p><p><br /></p><p>a) In via principale rigettare ogni avversa richiesta per essere del tutto inammissibile oltre che infondata in fatto ed in diritto per le causali di cui in premessa e per l'effetto, revocare o dichiarare nullo il decreto ingiuntivo n. (omissis) emesso dal Tribunale di Napoli;</p><p><br /></p><p>b) In via riconvenzionale compensare quanto eventualmente dovuto alla società opposta, all'esito delle risultanze istruttorie, con le ragioni di credito della società opponente, sopra specificate, ed in ipotesi di credito della società opponente superiore a quello eventualmente dovuto alla società opposta, condannare la Ed. An. di Ca. Sa. e C. Sas al risarcimento dei danni in favore della società El. Im. Srl di quanto dovuto per le causali di cui innanzi con maggiorazione di interessi e rivalutazione monetaria nei limiti di valore del presente procedimento.</p><p><br /></p><p>c) In ogni caso, condannare l'opposta società al pagamento delle spese e competenze di lite, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. in misura di legge con attribuzione ai sottoscritti procuratori antistatari.</p><p><br /></p><p>Si costituiva in giudizio la società Ed. An. e C. s.a.s. (d'ora in poi ED.) impugnando quanto ex adverso dedotto.</p><p><br /></p><p>In primo luogo, la società opposta eccepiva la contraddittorietà della citazione, poiché finalizzata a dimostrare tanto l'inadempimento, quanto l'inesatto adempimento nell'esecuzione delle lavorazioni commissionate.</p><p><br /></p><p>Le tre mail di contestazione dei lavori, allegate all'atto di opposizione, venivano impugnate, in quanto del tutto generiche e non direttamente riferibili alle fatture num 2 e 4 poste a base del ricorso monitorio.</p><p><br /></p><p>Inoltre, le deduzioni di parte opponente, relative alla necessità di coinvolgere altre ditte nell'esecuzione dei lavori, stante la cattiva realizzazione degli stessi da parte dell'ingiunta, erano del tutto sfornite di elementi di prova al riguardo.</p><p><br /></p><p>L'opposta precisava le modalità con cui avveniva il conferimento dell'incarico da parte della resistente, specificando che la EL. era solita convocare il rappresentante della ED., evidenziando le richieste di intervento e precisando le modalità di ripristino dei lavori da effettuare, cui faceva seguito una richiesta di ordine al subappaltatore, in cui venivano indicati i riferimenti della richiesta e la commessa.</p><p><br /></p><p>Pertanto, al fine di dimostrare l'avvenuta prestazione lavorativa, la ricorrente depositava l'ordine al subappaltatore num. (omissis) del 30.01.02017, relativa a lavori effettuati nel mese di novembre 2016.</p><p><br /></p><p>Insisteva nella richiesta di concessione della provvisoria esecuzione.</p><p><br /></p><p>Rassegnava le seguenti conclusioni:</p><p><br /></p><p>a) In via preliminare, ai sensi dell'<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/testo-art-648-cpc.html" target="_blank">art. 648 c.p.c.</a>, concedersi la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo n. 6746/2018 emesso dal Tribunale di Napoli, in data 10.09.2018 e depositato in data 11.09.2018, non essendo l'opposizione fondata su prova scritta e/o di pronta soluzione;</p><p><br /></p><p>b) Nel merito, rigettare l'opposizione proposta ex <a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/testo-art-645-cpc-opposizione.html" target="_blank">art. 645 c.p.c.</a>, in quanto infondata in fatto e diritto, e per l'effetto confermare il decreto ingiuntivo n. (omissis);</p><p><br /></p><p>c) In via subordinata, condannare l'opponente al pagamento, in favore dell'opposta, della somma che sarà concretamente accertata a seguito dell'istruttoria;</p><p><br /></p><p>d) Condannare l'opponente alla refusione delle spese e competenze legali, oltre rimborso forfettario per spese generali, CPA ed IVA, della fase monitoria e del presente giudizio.</p><p><br /></p><p>All'esito della prima udienza, il Giudice adito rigettava l'istanza di concessione della provvisoria esecuzione e concedeva alle parti i termini ex art. 183 co 6 c.p.c.</p><p><br /></p><p>Nella seconda memoria la società opponente ribadiva le proprie eccezioni, compresa quella relativa alla bozza dell'ordine numero (omissis) del 30/01/2017, prodotta, peraltro, in formato cartaceo all'udienza del 24/06/2019, poiché mai sottoscritta, autorizzata e/o concordata.</p><p><br /></p><p>La resistente ribadiva che la pretesa creditoria dell'opposta non poteva essere imputabile ad un ordine al subappaltatore num. (omissis) del 30/01/2017 per i presunti lavori eseguiti nel novembre 2016, assumendo che difettasse qualunque fatto costitutivo in grado di legittimare la suddetta ragione di credito.</p><p><br /></p><p>La circostanza per cui la ED. AN. non eseguiva correttamente le proprie prestazioni era documentalmente provata dalle contestazioni giudiziarie eseguite da taluni Enti Pubblici e dalla società Go. spa nei confronti della EL..</p><p><br /></p><p>Insisteva per l'accoglimento delle proprie conclusioni.</p><p><br /></p><p>All'udienza del 25/05/2020, il giudice, rilevato che parte opponente aveva chiesto rinviarsi la causa per la precisazione delle conclusioni; osservato che parte opposta nelle note di trattazione scritta aveva chiesto disporsi la comparizione personale delle parti, nonché aveva chiesto ammettersi l'ordine di esibizione ex art. 210 cpc dei documenti indicati nelle dette note;</p><p><br /></p><p>considerato che non si reputava necessario ottenere chiarimenti sui fatti di causa mediante la comparizione personale delle parti e che inoltre l'istanza di esibizione andava reputata inammissibile, in quanto tardiva (si rilevava che la detta istanza era stata formulata nelle note di trattazione scritta e che l'opposta non aveva depositato le memorie ex art. 183 comma 6 cpc), fissava l'udienza di precisazione delle conclusioni.</p><p><br /></p><p>2. Tanto premesso, si osserva quanto segue.</p><p><br /></p><p>Parte attrice, opponente, eccepisce l'inesistenza del credito vantato dall'opposta a fondamento del decreto ingiuntivo num. (omissis).</p><p><br /></p><p>L'eccezione è fondata nei limiti di cui si dirà e, pertanto, va parzialmente accolta.</p><p><br /></p><p>Giova ricordare che l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l'opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l'onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/posizioni-delle-parti-nellopposizione.html" target="_blank">Cass. sez. 1, sent. num. 2421 del 3.2.2006</a>).</p><p><br /></p><p>In tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l'opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo nell'ambito dell'onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale, rispettivamente previsti per ciascuna delle parti (<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/05/per-effetto-dellopposizione-non-si.html" target="_blank">Cass. Sez. I, sent. num. 8718 del 27.6.2000</a>).</p><p><br /></p><p>In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento). (S.U., sent. n. 13533 del 30-10-2001).</p><p><br /></p><p>Nel caso di specie, la società opposta, ED. AN., ha basato la propria pretesa sulla fattura num. 2 del giorno 02/02/2017 e sulla fattura num. 4 del giorno 12/07/2017, relative, rispettivamente, ad un ordine di lavori in subappalto ed al distacco di un lavoratore presso la EL. IM..</p><p><br /></p><p>Se è vero che la fattura è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore di chi l'ha emessa, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto, è vero anche che la mancata contestazione specifica della stessa può comportare l'effetto della "relevatio ab onere probandi".</p><p><br /></p><p>Ebbene, la EL. IM., opponente, ha contestato le suddette fatture e gli importi in esse indicati, deducendo, quanto al preteso credito risultante dalla fattura n. 2/17, la carenza di prova del contratto e del suo contenuto, nonché la cattiva esecuzione dei lavori realizzati dalla controparte.</p><p><br /></p><p>Quanto alla fattura n. 4/17, ha contestato l'ammontare della stessa, stante l'inutilizzo del lavoratore distaccato per l'intero periodo previsto, reso noto alla società opponente tramite invio di mail.</p><p><br /></p><p>In particolare, la EL. IM. ha contestato la fattura num. 2/2017, poiché riferita all'ordine (omissis) del 30/01/2017, relativo a lavori di ripristino svolti nel novembre 2016, ordine disconosciuto dalla resistente e non recante alcuna sottoscrizione della stessa. La opponente ha, dunque, impugnato il suddetto ordine, poiché mai autorizzato, sottoscritto, né concordato tra le parti.</p><p><br /></p><p>Inoltre, l'ingiunta, nonostante la genericità dei lavori cui la ED. AN. ha fatto riferimento in sede monitoria, ha sottolineato come le prestazioni eseguite da quest'ultima fossero state più volte contestate, anche mediante pec, a causa della loro errata o mancata esecuzione, addirittura rimanendo coinvolta in giudizi civili aventi ad oggetto richieste di risarcimento danni, avanzate da terzi.</p><p><br /></p><p>A fronte delle contestazioni di parte opponente, la opposta non ha fornito adeguata prova delle sue ragioni di credito.</p><p><br /></p><p>Ed invero, la Ed. An., in seguito alla contestazione della fattura n. 2/2017, si è limitata a depositare, nella presente sede oppositiva, una bozza dell'ordine di lavori in subappalto num. (omissis), priva di indicazione alcuna sui lavori da eseguire e altresì priva di sottoscrizioni.</p><p><br /></p><p>La documentazione allegata, seppur recante l'intestazione della società EL., non reca né timbro di quest'ultima, né sottoscrizione del legale rappresentante della stessa: l'ordine risulta privo di firma elettronica o digitale in grado di attestare la veridicità e la provenienza del documento, come d'altronde riportato in calce (si legge nel suddetto ordine: "Gli ordini senza la firma telematica non impegnano la scrivente società").</p><p><br /></p><p>Manca, dunque, la prova della fonte del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, in relazione al preteso credito di cui alla fattura n. 2/2017, prova che era onere del creditore procedente fornire, in base ai principi sopra enunciati in materia di ripartizione dell'onere probatorio nelle azioni di adempimento contrattuale.</p><p><br /></p><p>3. La fattura num. 4/17 è stata oggetto di specifica contestazione, poiché il distacco del lavoratore è avvenuto per un lasso di tempo inferiore rispetto a quello concordato tra le parti, relativo al periodo dal 14.11.2016 al 16.12.2016.</p><p><br /></p><p>L'opponente ha riconosciuto l'avvenuto distacco, ma ne ha eccepito la breve durata, poiché terminato in data 22.11.2016, dunque all'esito di 68 ore lavorative, altresì, specificando che la revoca del distacco era dipesa dall'inadeguatezza del lavoratore rispetto alle mansioni assegnate.</p><p><br /></p><p>Difatti, in data 22.11.2016, l'opponente inviava mail, con cui comunicava che il dipendente distaccato, a far data dal giorno precedente, non prestava più la propria opera in cantiere e per tale ragione, chiedeva la revoca del distacco (v. email del 22-11-2016 allegata alla produzione di parte opponente).</p><p><br /></p><p>Ebbene, nulla ha replicato l'opposta in relazione a quanto eccepito dall'opponente in ordine al credito rivendicato dalla Ed. An. per il distacco del lavoratore Ma. Gi..</p><p><br /></p><p>La ricorrente si è limitata ad insistere nell'accoglimento della sua pretesa, allegando l'accordo di distacco, già prodotto nella fase monitoria, sottoscritto dalla EL. in qualità di distaccataria, nonché il cedolino del proprio dipendente, Gi. Ma., per il periodo di novembre 2016, (anch'esso già depositato nella fase monitoria).</p><p><br /></p><p>Tale documentazione non vale, però, a comprovare che il Ma. abbia lavorato come distaccato presso l'EL. per l'intera durata concordata (dal 14-11-2016 al 16-12-2016).</p><p><br /></p><p>Tuttavia, secondo la disciplina prevista dal decreto legislativo n. 276/2003, in capo al distaccatario sussiste l'obbligo di retribuzione del personale distaccato, in quanto fruitore della prestazione del lavoratore. Peraltro, l'opponente ha riconosciuto una prestazione lavorativa da parte del distaccato per un periodo temporale pari a 68 ore.</p><p><br /></p><p>Sulla base di quanto premesso, sussiste a carico dell'opponente l'obbligo di versare la retribuzione in favore del lavoratore distaccatario, sig. Gi. Ma., per un tempo corrispondente a 68 ore lavorate, pari al periodo di servizio reso presso la resistente.</p><p><br /></p><p>L'EL. va, dunque, condannata al pagamento, in favore della Ed. An., di Euro 878,56, somma calcolata sulla base del cedolino, allegato dalla opposta unitamente alla comparsa di costituzione (v. allegato doc 2_5), già prodotto nella fase monitoria, relativo alle spettanze dovute a Ma. Gi. per il mese di novembre 2016.</p><p><br /></p><p>Il totale netto da corrispondere al Ma., risultante dal detto cedolino, è pari ad Euro 1007,86, calcolati per un totale di 78 ore lavorate.</p><p><br /></p><p>Tale somma deve essere ricalcolata con riferimento a 68 ore di lavoro, pari al monte orario in cui il predetto lavoratore ha prestato servizio presso la EL., così come dedotto in citazione da quest'ultima, cui non ha fatto seguito alcuna specifica contestazione da parte dell'opposta.</p><p><br /></p><p>Di conseguenza, l'EL. Im. va condannata al pagamento di 878,56 Euro, ricavati moltiplicando 12,92 Euro (pari ad un'ora di lavoro, calcolata dividendo il totale 1007,86 per 78 ore) per le 68h lavorate.</p><p><br /></p><p>Il tutto oltre interessi legali dalla notifica del decreto (25.9.2018) al saldo.</p><p><br /></p><p>Del tutto inammissibile è la deduzione di parte opposta - contenuta nelle note conclusionali depositate il 23-11-2022 -, relativa al pagamento di Euro 19,00 ad ora, stante la tardività della stessa.</p><p><br /></p><p>4. La società opponente, EL., ha spiegato domanda riconvenzionale chiedendo "compensare quanto eventualmente dovuto alla società opposta, all'esito delle risultanze istruttorie, con le ragioni di credito della società opponente, sopra specificate, ed in ipotesi di credito della società opponente superiore a quello eventualmente dovuto alla società opposta, condannare la Ed. An. di Ca. Sa. e C. Sas al risarcimento dei danni in favore della società El. Im. Srl di quanto dovuto per le causali di cui innanzi con maggiorazione di interessi e rivalutazione monetaria nei limiti di valore del presente procedimento".</p><p><br /></p><p>La società opposta ha contestato l'infondatezza della domanda riconvenzionale.</p><p><br /></p><p>La detta domanda appare assolutamente generica.</p><p><br /></p><p>La resistente EL. ha lamentato di avere dovuto operare autonomamente ovvero di essersi dovuta rivolgere a soggetti terzi per rendere i lavori eseguiti dalla ditta opposta conformi alle regole dell'arte.</p><p><br /></p><p>Si duole, inoltre, di essere stata chiamata in giudizio da società terze e da enti pubblici per richieste risarcitorie asseritamente conseguenti alla cattiva esecuzione dei lavori da parte dell'opposta.</p><p><br /></p><p>Sulla base di tali presupposti l'EL. ha domandato compensarsi le eventuali somme dovute alla ED. AN. con quanto ad essa spettante a titolo di risarcimento dei danni, a suo dire provocati dall'inadempimento della Ed. An. nella realizzazione dei lavori commissionati a quest'ultima.</p><p><br /></p><p>Ebbene, si evidenzia la generica prospettazione delle dette pretese creditorie da parte dell'opponente, posto che, sulla base degli atti allegati, non vi è prova di contratti stipulati dalla EL. con terze imprese per eliminare i vizi delle opere realizzate dalla Ed. An., né l'opponente ha documentato costi sostenuti in proprio.</p><p><br /></p><p>E tanto a prescindere dall'ulteriore rilievo per il quale i presunti costi sopportati non sono puntualmente indicati, né tanto meno, comprovati documentalmente.</p><p><br /></p><p>Parimenti, appaiono genericamente allegati anche i controcrediti, opposti in compensazione dall'EL., asseritamente scaturenti dai giudizi aventi ad oggetto le richieste risarcitorie avanzate da soggetti terzi e nei quali sia stata chiamata in causa la EL..</p><p><br /></p><p>A tale proposito, va anche osservato che dalla documentazione allegata dalla società opponente, unitamente alla memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 cpc, non si evince che i detti giudizi siano stati ormai definiti e, quindi, non può dirsi che allo stato, sia stata accertata una responsabilità della EL., chiamata in causa.</p><p><br /></p><p>Ne deriva che manca il requisito della liquidità del credito prescritto dal comma 1 dell'art. 1243 c.c. ovvero il requisito della facile e pronta liquidazione del credito di cui al successivo comma di tale articolo.</p><p><br /></p><p>La compensazione giudiziale è ammessa nella sola ipotesi in cui il credito opposto sia (oltreché esigibile ed omogeneo al controcredito) di facile e pronta liquidazione, con la conseguenza che la mancanza di tale condizione (che si verifica non soltanto quando il credito non sia certo nel suo ammontare, ma anche qualora ne risulti contestata l'esistenza, sì che il relativo accertamento necessiti di una lunga istruttoria) obbliga il giudice a disattendere la relativa eccezione, dovendo la parte far valere il credito in separato giudizio con autonoma domanda.</p><p><br /></p><p>Nella fattispecie in esame, il credito opposto in compensazione non è né liquido (e quindi, non può operare la compensazione legale), né è di facile e pronta liquidazione (e, quindi, non può operare la compensazione giudiziale).</p><p><br /></p><p>Manca, dunque, il presupposto richiesto dall'art. 1243 cc, perché possa trovare applicazione l'istituto della compensazione.</p><p><br /></p><p>A ciò va aggiunto che il controcredito opposto in compensazione dall'EL., scaturente dalle richieste di risarcimento dei danni avanzate dai terzi, da cui sono originati procedimenti civili, non può che essere liquidato in quella sede civile.</p><p><br /></p><p>Si rammenta, infatti, il principio affermato dalla Suprema Corte secondo cui "La compensazione giudiziale, prevista dall'art. 1243, secondo comma, c.c., presupponendo l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la compensazione è fatta valere, non può fondarsi su di un credito la cui esistenza dipenda dall'esito di un separato giudizio in corso e che, perciò, non è liquidabile se non in quella sede" (Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 431 del 22 gennaio 1982).</p><p><br /></p><p>A tutte le argomentazioni svolte va aggiunto l'ulteriore rilievo per il quale nella fattispecie in esame, non vi è prova alcuna, sulla base degli atti di causa, del nesso di causalità tra il dedotto inadempimento della ED. AN. ed i danni patrimoniali subiti dall'EL. Im..</p><p><br /></p><p>La domanda riconvenzionale va, dunque, rigettata.</p><p><br /></p><p>Stante l'accoglimento, sia pur parziale, dell'opposizione, il decreto ingiuntivo opposto va revocato.</p><p><br /></p><p>L'opponente va condannata al pagamento di Euro 878,56 oltre interessi legali dalla notifica del decreto (25.9.2018) al saldo in favore dell'opposta.</p><p><br /></p><p>La domanda riconvenzionale spiegata dall'ingiunta va respinta.</p><p><br /></p><p>In tema di spese è bene precisare che in caso di accoglimento parziale dell'opposizione, il decreto ingiuntivo deve essere revocato e sostituito dalla sentenza di accoglimento parziale dell'opposizione, anche per le determinazioni relative alle spese, sia della fase monitoria che dell'opposizione.</p><p><br /></p><p>L'accoglimento solo parziale implica la revoca del decreto, ma da ciò non deriva, necessariamente, che l'ingiunto possa ritenersi liberato dalla condanna al pagamento delle spese della fase monitoria.</p><p><br /></p><p>Nell'opposizione per ingiunzione, la fase monitoria e quella di cognizione, che si apre con l'opposizione, fanno parte di un unico processo, nel quale l'onere delle spese è regolato in base all'esito finale del giudizio; ne consegue che l'accoglimento parziale dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo, sebbene implichi la revoca dello stesso, non comporta necessariamente il venir meno della condanna dell'ingiunto, poi opponente, al pagamento delle spese della fase monitoria, potendo le stesse esser poste legittimamente a suo carico, qualora alla revoca del decreto ingiuntivo si accompagni una condanna nel merito (Cass. Sez. I, sent. n. 14818 del 18.10.2002), seppure nei limiti delle somme definitivamente attribuite al creditore (Cass. n. 2019/1993).</p><p><br /></p><p>Le spese della fase monitoria e della fase oppositiva vanno, dunque, poste a carico dell'ingiunta-opponente EL. e liquidate come in dispositivo, con attribuzione ai procuratori anticipatari, nei limiti delle somme definitivamente attribuite al creditore.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>P.Q.M.</p><p>Il Tribunale di Napoli, sezione XII civile, in persona del Giudice Dott.ssa Luigia Stravino, definitivamente pronunziando in funzione di giudice monocratico in primo grado, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, così decide:</p><p><br /></p><p>1) Accoglie parzialmente l'opposizione proposta da EL. Im. S.r.l., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, sig. Ma. Ca., e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto num. (omissis) del Tribunale di Napoli;</p><p><br /></p><p>2) Condanna l'opponente EL. Im. Srl al pagamento in favore dell'opposta della somma di Euro 878,56 oltre interessi legali dalla notifica del decreto (25.9.2018) al saldo; respinge la domanda riconvenzionale spiegata dall'opponente;</p><p><br /></p><p>3) condanna l'EL. Im. srl al pagamento in favore della ED. AN. di Ca. Sa. e C. s.a.s. delle spese della fase monitoria, liquidate in Euro 145,50 per esborsi ed Euro 450,00 per onorari, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario spese generali come per legge, con attribuzione ai procuratori anticipatari;</p><p><br /></p><p>4) condanna l'opponente al rimborso in favore dell'opposta delle spese del presente procedimento di opposizione, liquidate in Euro 662,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso forfettario spese generali come per legge, con attribuzione ai procuratori antistatari.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Napoli, il 1° dicembre 2022</p><p><br /></p><p>Depositata in Udienza il 1° dicembre 2022</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-76454517322803232232023-05-03T09:03:00.003+02:002023-05-03T09:03:37.903+02:00INPS e pluralità di contratti collettivi<p>sentenza Corte appello Torino sez. lav., 01/02/2023, (ud. 06/11/2022, dep. 01/02/2023), n.661</p><p>FATTO E DIRITTO</p><p>Con sentenza n. 191/2022 del 3 febbraio 2022 il tribunale di Torino ha accertato che la T. s.p.a. è debitrice nei confronti dell'INPS -a titolo di contributi omessi- dell'importo indicato nel verbale unico di accertamento n. (omissis)/DDL del 13.5.2021 con riferimento al CCNL Commercio Confesercenti per la determinazione del minimale contributivo oltre alle conseguenti somme aggiuntive da determinarsi ex art. 116 comma 10 L. 388/20.</p><p><br /></p><p>Avverso detta sentenza propone appello la T. s.p.a. chiedendone l'integrale riforma.</p><p><br /></p><p>Resiste l'INPS.</p><p><br /></p><p>All'udienza del 6 dicembre 2022 la causa è stata discussa oralmente e decisa come da dispositivo.</p><p><br /></p><p>Con il verbale di accertamento n. (omissis) gli ispettori territoriali del lavoro e gli ispettori INPS hanno contestato alla società Trade la violazione dell'<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/art-1-legge-del-07121989-n-389.html" target="_blank">art. 1 comma 1 della legge 389/89 </a>per avere detta società applicato ai dipendenti con mansioni di promoter e merchandiser il CCNL dipendenti esercenti attività di marketing sottoscritto da CISAL ed ANPIT e non invece il CCNL commercio Confesercenti. Gli ispettori hanno ritenuto che il contratto collettivo applicato dalla società quale parametro per la determinazione dei contributi non fosse idoneo ad individuare il minimale contributivo siccome sottoscritto da organizzazioni sindacali che non sono le più rappresentative su base nazionale.</p><p><br /></p><p>Il tribunale, richiamato l'<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/art-1-legge-del-07121989-n-389.html" target="_blank">art. 1 dl 338/89</a> come interpretato autenticamente dall'<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/art-2-legge-del-28121995-n-549.html" target="_blank">art. 2 comma 25 L. 549/95</a>, ha ritenuto che la documentazione versata in atti dimostrasse che nel settore terziario l'organizzazione datoriale comparativamente più rappresentativa fosse la CONFESERCENTI e che le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative fossero CGIL, CISL e UIL; conseguentemente ha affermato che il CCNL da prendere come riferimento per la determinazione del minimale contributivo è proprio quello individuato dagli ispettori verbalizzanti in quanto sottoscritto dalle organizzazioni dotate del requisito della maggior rappresentatività.</p><p><br /></p><p>Con il primo, articolato, motivo di appello la società T. censura la sentenza lamentando che il tribunale avrebbe omesso di considerare la assoluta specificità ed unicità del CCNL Cisal/Anpit omettendo la doverosa indagine sulla sussistenza o meno nel caso di specie di una effettiva pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, pluralità che a norma dell'<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/art-2-legge-del-28121995-n-549.html">art. 2 comma 25 L. 549/95</a> costituisce il presupposto per la comparazione tra ccnl.</p><p><br /></p><p>A sostegno dell'allegata inesistenza del requisito della pluralità di contratti collettivi per la medesima categoria l'appellante rileva che:</p><p><br /></p><p>- Il ccnl confesercenti si applica a tutte le categorie del terziario e solo marginalmente al marketing senza alcun riferimento al marketing operativo mentre il ccnl Cisal/Anpit trova espressa applicazione alla categoria del marketing operativo;</p><p><br /></p><p>- L'accordo quadro per la contrattazione di secondo livello 7.12.2012 non è un contratto collettivo strettamente inteso, appartiene ad un livello inferiore nelle fonti normative indicate dall'art. 1 dl 338/89 ed in ogni caso non è stato stipulato dalle organizzazioni maggiormente rappresentative ma esclusivamente da Anasfim che rappresenta solo 60 aziende;</p><p><br /></p><p>- L'attività di marketing operativo è diversa dal marketing comunemente inteso poiché consiste nell'erogazione di servizi di promozione operativa di prodotti tra i quali il servizio di posizionamento dei prodotti sugli scaffali, la realizzazione e l'allestimento di strutture espositive , la realizzazione di kit promozionali .</p><p><br /></p><p>La censura è fondata.</p><p><br /></p><p>Nel replicare al primo motivo di appello l'INPS premette di non avere mai messo in discussione né la genuinità né la legittimità né la corretta applicazione del CCNL CISAL/ANPIT ai dipendenti con mansioni di merchandiser e promoter ma afferma l'irrilevanza della questione ribadendo l'obbligo in capo all'ente previdenziale di ragguagliare la contribuzione dovuta alla retribuzione prevista dalla contrattazione di un settore affine sottoscritta dalle oo.ss. maggiormente rappresentative.</p><p><br /></p><p>L'INPS si limita ad invocare il rispetto del minimale contributivo senza confrontarsi con la censura svolta dalla Trade e senza contestare in alcun modo la sussistenza degli elementi di fatto allegati dall'appellante a sostegno della diversità del lavoro svolto dagli addetti al marketing operativo e della conseguente inesistenza del presupposto per l'applicabilità dell'art. 1 dl 338/89 come interpretato dall'<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/art-2-legge-del-28121995-n-549.html" target="_blank">art. 2 comma 25 l. 549/95</a> ( esistenza di una pluralità di contratti collettivi per la medesima categoria).</p><p><br /></p><p>L'art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 stabilisce infatti «L'articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base dei contributi previdenziali e assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria»; il criterio della maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali, previsto dall'<a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/05/art-2-legge-del-28121995-n-549.html" target="_blank">art. 2, comma 25, della l. n. 549 del 199</a>5, opera esclusivamente nelle ipotesi in cui vi sia una pluralità di contratti collettivi nazionali intervenuti per la medesima categoria.</p><p><br /></p><p>In considerazione della condotta processuale dell'INPS possono quindi ritenersi elementi di fatto pacifici ed incontestati tanto la specificità della professionalità dei promoters e dei merchandiser quanto la loro appartenenza ad una categoria diversa rispetto a quella degli addetti al marketing generico. Orbene, il preciso riferimento, per la determinazione dell'importo retributivo ai fini previdenziali, alla retribuzione dovuta ai lavoratori del settore marketing operativo, esclude che l'obbligo contributivo dell'imprenditore debba essere parametrato in base alla retribuzione dovuta in applicazione del contratto collettivo commercio.</p><p><br /></p><p>L'accertata inesistenza del presupposto della pluralità di contratti collettivi applicabili determina di per sé l'illegittimità della disapplicazione del contratto collettivo cui le parti, nell'esercizio del principio di libertà sindacale di cui all'art. 39 cost., hanno aderito.</p><p><br /></p><p>L'appello merita quindi accoglimento .</p><p><br /></p><p>Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo,</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>Visto l'art. 437 c.p.c.,</p><p><br /></p><p>In accoglimento dell'appello,</p><p><br /></p><p>Dichiara che la società appellante nulla deve all'INPS in base ai verbali di accertamento per cui è causa;</p><p><br /></p><p>Condanna l'INPS a rimborsare all'appellante le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate per il primo in euro 23.230,00 e per l'appello in euro 24.064,00 il tutto oltre rimborso forfettario, Iva e cpa.</p><p><br /></p><p>Così deciso all'udienza del 6 novembre 2022</p><p><br /></p><p>DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 1 FEB. 2023.</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-11675010125803684992023-05-03T09:01:00.006+02:002023-05-03T09:01:48.148+02:00 Art. 2 Legge del 28/12/1995 - N. 549 <p>Art. 2.</p><p><br /></p><p>COMMA 1.</p><p><br /></p><p>1. A decorrere dall'anno 1996 le quote di spettanza sul prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali collocate nelle classi a ) e b ) di cui all'art. 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sono fissate per i grossisti e per i farmacisti al 7 per cento ed al 26 per cento sul prezzo di vendita al pubblico al netto dell'imposta sul valore aggiunto (IVA). Il Servizio sanitario nazionale, nel procedere alla corresponsione alle farmacie di quanto dovuto, trattiene a titolo di sconto una quota pari al 3 per cento dell'importo al lordo dei ticket, fatta eccezione per le farmacie rurali che godono dell'indennità di residenza alle quali è trattenuta una quota pari all'1,5 per cento. L'importo dello sconto dovuto dalla farmacia non concorre alla determinazione della base imponibile nè ai fini dell'imposta nè dei contributi dovuti dalla farmacia.</p><p><br /></p><p>COMMA 2.</p><p><br /></p><p>[2. Le somme derivanti dalla partecipazione alla spesa per le prestazioni di pronto soccorso ospedaliero e day hospital diagnostico, facoltativamente disposte dalle regioni e dalle province autonome, non concorrono al finanziamento della quota capitaria rapportata ai livelli uniformi di assistenza di cui al Piano sanitario nazionale, approvato ai sensi dell'art. 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni. Conseguentemente per ciascun anno a decorrere dal 1996 la quota capitaria è rideterminata al netto delle predette somme.] (1)</p><p><br /></p><p>(1) Comma abrogato dall'articolo 2, comma 3, del D.Lgs. 29 aprile 1998, n. 124.</p><p><br /></p><p>COMMA 3.</p><p><br /></p><p>3. Le misure del concorso delle regioni Sicilia e Sardegna al finanziamento del Servizio sanitario nazionale previste dall'art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono elevate rispettivamente al 35 per cento e al 25 per cento. In ogni caso il maggior onere posto a carico delle regioni non può essere superiore alla differenza tra l'incremento annuo delle entrate tributarie regionali e delle devoluzioni di tributi erariali rilevato a consuntivo e quello convenzionalmente calcolato applicando un tasso annuo d'incremento pari al 2 per cento. Il Ministro del tesoro provvede all'eventuale rimborso spettante alle regioni. All'eventuale onere si provvede mediante l'aumento delle accise sui prodotti superalcolici in modo da determinare un incremento delle entrate di importo pari allo stesso onere.</p><p><br /></p><p>COMMA 4.</p><p><br /></p><p>4. Il rapporto tra le unità sanitarie locali e i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, convenzionati con il Servizio sanitario nazionale ai sensi dell'art. 8 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni, cessa al compimento del settantesimo anno di età.</p><p><br /></p><p>COMMA 5.</p><p><br /></p><p>5. Le regioni, entro il 31 dicembre 1996, con apposito atto programmatorio di carattere generale anche a stralcio del piano sanitario regionale, provvedono a ristrutturare la rete ospedaliera, prevedendo l'utilizzazione dei posti letto ad un tasso non inferiore al 75 per cento in media annua ed adottando lo standard di dotazione media di 5,5 posti letto per mille abitanti, di cui l'1 per mille riservato alla riabilitazione ed alla lungodegenza post-acuzie, con un tasso di spedalizzazione del 160 per mille. Le regioni procedono alla ristrutturazione della rete ospedaliera operando le trasformazioni di destinazione, gli accorpamenti, le riconversioni e le disattivazioni necessari, con criteri di economicità ed efficienza di gestione, anche utilizzando i finanziamenti di cui all'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, che devono essere prioritariamente finalizzati ai progetti funzionali al raggiungimento dei parametri indicati al primo periodo del presente comma. Le regioni completano la ristrutturazione della rete ospedaliera entro il 31 dicembre 1999. L'organizzazione interna degli ospedali deve osservare il modello dipartimentale al fine di consentire a servizi affini e complementari di operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo delle risorse finanziarie. Le regioni procedono ad attività di controllo e verifica sulla osservanza delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo, sul corretto utilizzo da parte degli erogatori di prestazioni sanitarie ospedaliere delle risorse impiegate nel trattamento dei pazienti e sulla qualità dell'assistenza (1).</p><p><br /></p><p>(1) Comma sostituito dall'articolo 1, comma 2-ter, del D.L. 17 maggio 1996, n. 280, convertito con modificazioni dalla Legge 18 luglio 1996, n. 382.</p><p><br /></p><p>COMMA 6.</p><p><br /></p><p>6. L'INAIL può destinare in via prioritaria una quota fino al 15 per cento dei fondi disponibili, su delibera del consiglio di amministrazione, per la realizzazione o per l'acquisto di immobili, anche tramite accensione di mutui, da destinare a strutture da locare al Servizio sanitario nazionale ovvero a centri per la riabilitazione, da destinare in via prioritaria agli infortunati sul lavoro e da gestire, previa intesa con le regioni, nei limiti dello standard di 5,5 posti letto per mille abitanti, di cui l'1 per mille riservato alla riabilitazione ed alla lungodegenza post-acuzie.</p><p><br /></p><p>COMMA 7.</p><p><br /></p><p>7. Il termine fissato dall'art. 8, comma 7, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni, per la cessazione dei rapporti convenzionali in atto tra il Servizio sanitario nazionale e la medicina specialistica, ambulatoriale, generale ivi compresa la diagnostica strumentale e di laboratorio, e l'instaurazione dei nuovi rapporti fondati sul criterio dell'accreditamento, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull'adozione del sistema di verifica e revisione della qualità delle attività svolte e delle prestazioni erogate, è prorogato a non oltre il 30 giugno 1996. Rimane confermata altresì agli assistiti la facoltà di libera scelta delle strutture sanitarie e dei professionisti a norma degli articoli 8 e 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni.</p><p><br /></p><p>COMMA 8.</p><p><br /></p><p>8. Analogamente a quanto già previsto per le aziende ed i presìdi ospedalieri dall'art. 4, commi 7, 7- bis e 7- ter , del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dall'art. 6, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nell'ambito dei nuovi rapporti instaurati ai sensi dell'art. 8, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni, ferma restando la facoltà di libera scelta, le regioni e le unità sanitarie locali, sulla base di indicazioni regionali, contrattano, sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, con le strutture pubbliche e private ed i professionisti eroganti prestazioni sanitarie un piano annuale preventivo che ne stabilisca quantità presunte e tipologia, anche ai fini degli oneri da sostenere.</p><p><br /></p><p>COMMA 9.</p><p><br /></p><p>9. In sede di prima applicazione del sistema di remunerazione delle prestazioni di cui all'art. 8, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni, le regioni fissano il livello massimo delle tariffe da corrispondere nel proprio territorio ai soggetti erogatori entro un intervallo di variazione compreso tra il valore delle tariffe individuate dal Ministro della sanità, con propri decreti, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed una riduzione di tale valore non superiore al 20 per cento, fatti salvi i livelli inferiori individuati in base alla puntuale applicazione dei criteri di cui all'art. 3 del decreto del Ministro della sanità 15 aprile 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 1994. Per l'assistenza specialistica ambulatoriale, ivi compresa la diagnostica strumentale e di laboratorio, il Ministro della sanità individua, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, oltre alle suddette tariffe, le prestazioni erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale.</p><p><br /></p><p>COMMA 10.</p><p><br /></p><p>10. Le disposizioni di cui all'art. 8, comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sui fondi di incentivazione previsti per il comparto della Sanità, si interpretano nel senso che sono applicabili anche al personale medico veterinario e ai dipendenti degli Istituti zooprofilattici sperimentali a decorrere dal 1° gennaio 1996.</p><p><br /></p><p>COMMA 11.</p><p><br /></p><p>11 . Fermo restando che le unità sanitarie locali devono assicurare i livelli uniformi di assistenza di cui al Piano sanitario nazionale approvato ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni, i limiti di spesa comunque stabiliti per le singole tipologie di prestazioni sanitarie non costituiscono vincolo per le regioni che certifichino al Ministero della sanità il previsto mantenimento, a fine esercizio, delle proprie occorrenze finanziarie nei limiti dello stanziamento determinato in ragione della quota capitaria, ragguagliata ai suddetti livelli, di cui all'art. 12, comma 3, del citato decreto legislativo. Le eventuali eccedenze che dovessero risultare rispetto al predetto stanziamento restano a carico dei bilanci regionali (1).</p><p><br /></p><p>(1) Comma sostituito dall'articolo 1, comma 6, del D.L. 20 giugno 1996, n. 323, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 1996, n. 425.</p><p><br /></p><p>COMMA 11-BIS.</p><p><br /></p><p>11-bis . In deroga alle disposizioni del comma 11, per il 1996 e per il 1997 l'onere a carico del Servizio sanitario nazionale per l'assistenza farmaceutica può registrare un incremento non superiore al 14 per cento rispetto a quanto previsto dal comma 5 dell'art. 7 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, fermo restando il mantenimento delle occorrenze finanziarie delle regioni nei limiti degli stanziamenti suddetti (1).</p><p><br /></p><p>(1) Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 6, del D.L. 20 giugno 1996, n. 323, convertito con modificazioni dalla Legge 8 agosto 1996, n. 425 e successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 2, del D.L. 21 ottobre 1996, n. 536, convertito con modificazioni dalla Legge 23 dicembre 1996, n. 648.</p><p><br /></p><p>COMMA 12.</p><p><br /></p><p>12. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano controllano la gestione delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere anche attraverso osservatori di spesa o altri strumenti di controllo appositamente individuati. Qualora al 30 giugno di ciascun anno risulti la tendenza al verificarsi di disavanzi, le regioni e le province autonome attivano le misure indicate dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni, riferendone in sede di presentazione della relazione prevista dall'art. 6 della legge 23 dicembre 1994, n. 724.</p><p><br /></p><p>COMMA 13.</p><p><br /></p><p>13. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, allo scopo di fronteggiare le esigenze dei rispettivi servizi sanitari, provvedono a predisporre un piano, da realizzare entro il 30 giugno 1997, per alienare, per affidare in gestione anche ad organismi specializzati ovvero per conferire, a titolo di garanzia per la contrazione di mutui o per l'accensione di altre forme di credito, gli immobili destinati ad usi sanitari sottoutilizzati o non ancora completati, o comunque non indispensabili al mantenimento dei livelli delle prestazioni sanitarie. Adottano altresì i provvedimenti di trasferimento dei beni alle unità sanitarie locali ed alle aziende ospedaliere di cui all'art. 5, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni e integrazioni, entro il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, avvalendosi, ove necessario, di organismi specializzati per la rilevazione e la valorizzazione dei patrimoni immobiliari. Scaduto tale termine, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della sanità, previa diffida, attiva il potere sostitutivo con la nomina di commissari ad acta per l'adozione dei conseguenti provvedimenti. Le norme del presente comma non si applicano alle regioni e alle province autonome che non beneficiano di trasferimenti a carico del Servizio sanitario nazionale.</p><p><br /></p><p>COMMA 14.</p><p><br /></p><p>14. Per l'accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994, le regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali ricomprese nell'ambito territoriale delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui all'art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono trasformate in gestioni liquidatorie. Le sopravvenienze attive e passive relative a dette gestioni, accertate successivamente al 31 dicembre 1994, sono registrate nella contabilità delle citate gestioni liquidatorie. I commissari entro il termine di tre mesi provvedono all'accertamento della situazione debitoria e presentano le risultanze ai competenti organi regionali.</p><p><br /></p><p>COMMA 15.</p><p><br /></p><p>15. Il secondo ed il terzo periodo del comma 16 dell'art. 8 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come modificato dal comma 3 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono sostituiti dai seguenti: "A decorrere dal 1° gennaio 1996 sono altresì esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria di cui ai commi 14 e 15 i portatori di patologie neoplastiche maligne, i pazienti in attesa di trapianti di organi, nonchè i titolari di pensioni sociali ed i familiari a carico di questi ultimi. A partire dalla stessa data sono inoltre esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria di cui ai commi 14 e 15 i disoccupati ed i loro familiari a carico, nonchè i titolari di pensioni al minimo di età superiore a sessant'anni ed i loro familiari a carico, purchè appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo, riferito all'anno precedente, inferiore a lire 16 milioni, incrementato fino a lire 22 milioni in presenza del coniuge ed in ragione di un ulteriore milione di lire per ogni figlio a carico".</p><p><br /></p><p>COMMA 16.</p><p><br /></p><p>16. Nell'art. 14, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, la disposizione di cui all'ultimo periodo continua a trovare applicazione limitatamente al settore agricolo.</p><p><br /></p><p>COMMA 17.</p><p><br /></p><p>17. Nel settore agricolo, ai soli fini del calcolo delle prestazioni temporanee, resta fermo il salario medio convenzionale rilevato nel 1995. Per quanto riguarda il trattamento concesso per intemperie stagionali nel settore edile, gli importi massimi della integrazione salariale sono pari a quelli vigenti in base al secondo comma dell'articolo unico della legge 13 agosto 1980, n. 427, come sostituito dall'art. 1, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, incrementati del 20 per cento e successivamente adeguati nelle misure ivi previste.</p><p><br /></p><p>COMMA 18.</p><p><br /></p><p>18. Ai fini dell'applicazione del comma 19, si considera lavoro straordinario per tutti i lavoratori, ad eccezione del personale che svolge funzioni direttive:</p><p><br /></p><p>a ) quello che eccede le quaranta ore nel caso di regime di orario settimanale;</p><p><br /></p><p>b ) quello che eccede la media di quaranta ore settimanali nel caso di regime di orario plurisettimanale previsto dai contratti collettivi nazionali ovvero, in applicazione di questi ultimi, dai contratti collettivi di livello inferiore. In tal caso, tuttavia, il periodo di riferimento non può essere superiore a dodici mesi.</p><p><br /></p><p>COMMA 19.</p><p><br /></p><p>19. L'esecuzione del lavoro straordinario comporta, a carico delle imprese con più di quindici dipendenti, il versamento, a favore del Fondo prestazioni temporanee dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), di un contributo pari al 5 per cento della retribuzione relativa alle ore di straordinario compiute. Per le imprese industriali tale misura è elevata al 10 per cento per le ore eccedenti le 44 ore e al 15 per cento, indipendentemente dal numero dei lavoratori occupati, per quelle eccedenti le 48 ore (1).</p><p><br /></p><p>(1) A norma dell'articolo 1, comma 71, della Legge 24 dicembre 2007, n. 247, a decorrere dal 1° gennaio 2008 il contributo di cui al presente comma, è soppresso.</p><p><br /></p><p>COMMA 20.</p><p><br /></p><p>20. La quota del gettito contributivo di cui al comma 19 eccedente la somma di lire 275 miliardi per l'anno 1996 e di lire 300 miliardi a decorrere dal 1997, è versata dall'INPS all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnata al capitolo 1176 dello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, concernente il Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236 e successive modificazioni, per finanziare misure di riduzione dell'orario di lavoro e di flessibilità dell'orario medesimo ivi incluse quelle previste dall'art. 7 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, che trovano applicazione anche successivamente al 31 dicembre 1995. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sono stabiliti criteri e modalità di attuazione delle disposizioni di cui al presente comma.</p><p><br /></p><p>COMMA 21.</p><p><br /></p><p>21. Il versamento di cui al comma 20 non è dovuto nei casi in cui lo svolgimento di lavoro straordinario crei in capo al lavoratore, secondo i criteri stabiliti dalla contrattazione collettiva, il diritto ad una corrispondente riduzione dell'orario normale di lavoro e tale riduzione venga effettivamente goduta. Il versamento non è altresì dovuto per specifiche attività individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di concerto con il Ministro del tesoro, in considerazione delle particolari caratteristiche di espletamento delle prestazioni lavorative.</p><p><br /></p><p>COMMA 22.</p><p><br /></p><p>22. L'accesso ai trattamenti straordinari di integrazione salariale e di mobilità a favore delle imprese esercenti attività commerciali, delle agenzie di viaggio e turismo e degli operatori turistici, nonchè delle imprese di spedizione e di trasporto con più di cinquanta addetti e delle imprese di vigilanza di cui, rispettivamente, all'art. 7, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e all'art. 5, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, è prorogato fino al 31 dicembre 1997, e per le imprese di spedizione e di trasporto fino al 31 dicembre 1996, nei limiti di una spesa complessiva non superiore a lire 40 miliardi annui. Per lo stesso periodo vige l'assoggettamento ai relativi obblighi contributivi. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, sono definiti i relativi criteri concessivi nei limiti delle predette risorse (1) (2).</p><p><br /></p><p>(1) Comma modificato dall'articolo 4, commi 15 e 36), del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni dalla Legge 28 novembre 1996, n. 608.</p><p><br /></p><p>(2) A norma dell'articolo 59, comma 59, della Legge 27 dicembre 1997, n. 449, come modificato dall'articolo 81, comma 3, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448, le disposizioni di cui al presente comma, continuano a trovare applicazione fino al 31 dicembre 1999.</p><p><br /></p><p>COMMA 23.</p><p><br /></p><p>23. A valere sulla disponibilità del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236 e successive modificazioni, una quota non superiore a lire 20 miliardi è destinata, per l'anno 1996, al finanziamento dei contratti di solidarietà nel settore artigiano.</p><p><br /></p><p>COMMA 24.</p><p><br /></p><p>24. A decorrere dal 1° gennaio 1996 le imprese comunicano ai sindaci dei comuni i nominativi dei lavoratori residenti, sospesi dal lavoro ed in favore dei quali sia riconosciuto il diritto al trattamento straordinario di integrazione salariale, non impegnati in attività formative o di orientamento. I predetti nominativi vengono altresì comunicati dalle imprese alla Commissione regionale per l'impiego. I comuni, gli enti locali ed i loro consorzi, ovvero i soggetti promotori di cui all'art. 14 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, possono provvedere ad avviare direttamente i predetti lavoratori in attività socialmente utili e di tutela dell'ambiente, anche in deroga all'art. 1 del decreto-legge 4 dicembre 1995, n. 515. I lavoratori che rifiutano di essere impegnati perdono il diritto al trattamento di integrazione salariale per un periodo di tempo pari a quello dell'attività ad essi offerta, ferme restando le eccezioni di cui all'art. 9, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e all'art. 6, comma 5, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Le imprese che fanno richiesta di concessione del trattamento di integrazione salariale sono tenute a darne contestuale informazione ai comuni di residenza (1).</p><p><br /></p><p>(1) Comma modificato dall'articolo 21, comma 4, della Legge 24 giugno 1997, n. 196.</p><p><br /></p><p>COMMA 25.</p><p><br /></p><p>25. L'art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria.</p><p><br /></p><p>COMMA 26.</p><p><br /></p><p>[26. A decorrere dal 1° gennaio 1996, alle imprese editrici di giornali quotidiani e periodici è concesso un rimborso di lire 200 per ogni copia delle pubblicazioni edite spedita in abbonamento postale, a condizione che le pubblicazioni stesse non contengano inserzioni pubblicitarie, anche di tipo redazionale, per un'area superiore al 45 per cento di quella dell'intero stampato su base annua e che i relativi abbonamenti siano stati stipulati a titolo oneroso dai destinatari. Dal rimborso sono esclusi i giornali di pubblicità, di promozione delle vendite di beni o servizi, di vendita per corrispondenza, i cataloghi, i giornali pornografici, i giornali non posti in vendita, quelli a carattere postulatorio, quelli editi da enti pubblici.] (1)</p><p><br /></p><p>(1) Comma abrogato dall'articolo 2, comma 19, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662.</p><p><br /></p><p>COMMA 27.</p><p><br /></p><p>[27. Alle pubblicazioni di qualsiasi natura, anche quelle non poste in vendita e quelle postulatorie, dei soggetti di cui ai capi II e III del titolo II del libro I del codice civile, sempre che questi non abbiano fini di lucro e che la loro attività persegua finalità sindacali, religiose o di interesse scientifico, sociale, sanitario, ambientale, assistenziale, politico o culturale, che siano editori di periodici, e sempre che le pubblicazioni stesse non contengano inserzioni pubblicitarie, anche di tipo redazionale, per un'area superiore al 40 per cento di quella dell'intero stampato su base annua in riferimento all'anno precedente, si applica una tariffa pari al 25 per cento di quelle previste dal comma 34.] (1)</p><p><br /></p><p>(1) Comma abrogato dall'articolo 2, comma 19, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662.</p><p><br /></p><p>COMMA 28.</p><p><br /></p><p>28. [L'Ente poste italiane provvede ad applicare una riduzione di lire 200, per ogni copia spedita in abbonamento postale, agli editori in regola con l'iscrizione al Registro nazionale della stampa o con gli altri adempimenti previsti dalla legge 5 agosto 1981, n. 416 e successive modificazioni, così come attestato dal Garante per la radiodiffusione e l'editoria. Il Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su parere della commissione tecnica consultiva di cui all'art. 54 della legge 5 agosto 1981, n. 416, provvede all'invio all'Ente poste italiane dell'elenco delle testate aventi diritto, nonchè, entro il 30 giugno dell'anno successivo, all'erogazione della somma relativa al minor introito complessivo verificatosi, sulla base dei dati relativi al numero delle copie spedite di ogni singola testata ammessa, comunicati dall'Ente poste italiane.] I giornali pornografici e i cataloghi, esclusi quelli di informazione libraria, sono soggetti all'aliquota IVA del 19 per cento e sono parimenti esclusi dalla resa forfettaria di cui all'art. 74, primo comma, lettera c ), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, nonchè dalle riduzioni tariffarie di cui all'art. 28 della legge 5 agosto 1981, n. 416 e successive modificazioni.</p><p><br /></p><p>(1) Comma modificato dall'articolo 2, comma 19, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662.</p><p><br /></p><p>COMMA 29.</p><p><br /></p><p>29. All'art. 3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 250, dopo le parole: "comma 8" sono inserite le seguenti: "e al comma 11, limitatamente alle imprese indicate nel presente periodo, con esclusione dell'applicazione dell'art. 2, comma 1, della legge 14 agosto 1991, n. 278,". Al medesimo art. 3, comma 2, della citata legge n. 250 del 1990, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "Per le cooperative di giornalisti editrici di quotidiani di cui al presente comma la testata deve essere editata da almeno tre anni". L'ammontare dei contributi previsti dai commi 8, 10 e 11 dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 250, e dall'art. 4, comma 2, della stessa legge, non può comunque superare il 50 per cento dei costi presi a base del calcolo dei contributi stessi (1).</p><p><br /></p><p>(1) A norma dell'articolo 2, comma 3, della Legge 11 luglio 1998, n. 224, l'ultimo periodo del presente comma, deve essere interpretato nel senso che il limite del 50 per cento ivi previsto è riferito unicamente all'ammontare dei contributi liquidabili ai sensi dell'articolo 3, commi 10 e 11, e dell'articolo 4, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 250, fatto salvo l'ulteriore aumento previsto dall'articolo 2 della legge 14 agosto 1991, n. 278, stabilito nel limite del 70 per cento dei costi per le imprese editrici di giornali dall'articolo 3, comma 12, della legge 7 agosto 1990, n. 250, come modificato dall'articolo 2, comma 2, della legge 14 agosto 1991, n. 278, e nell'80 per cento dei costi per le imprese radiofoniche dall'articolo 4, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 250.</p><p><br /></p><p>COMMA 30.</p><p><br /></p><p>30. Al comma 2 dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 250, dopo le parole: "Trentino-Alto Adige", sono aggiunte le seguenti: "e ai giornali quotidiani italiani editi e diffusi all'estero". Ai fini dell'applicazione dell'art. 3, comma 8, lettera a ), della legge 7 agosto 1990, n. 250, il comma 2 dello stesso art. 3 della medesima legge n. 250 del 1990, deve essere interpretato nel senso che per imprese editrici di quotidiani costituite come cooperative giornalistiche, devono intendersi anche le imprese, costituite in tale forma, editrici di agenzie di stampa quotidiane che trasmettano tramite canali in concessione esclusiva dell'Ente poste italiane.</p><p><br /></p><p>COMMA 31.</p><p><br /></p><p>31. All'art. 2, comma 1, della legge 15 novembre 1993, n. 466, dopo le parole: "31 dicembre 1980" sono inserite le seguenti: "ed alle cooperative di giornalisti".</p><p><br /></p><p>COMMA 32.</p><p><br /></p><p>32. E' autorizzata la spesa di 5 miliardi di lire per ciascuno degli anni finanziari dal 1996 al 2005 quale ulteriore contributo dello Stato al fondo di cui al sesto comma dell'art. 34 della legge 5 agosto 1981, n. 416. [Il 50 per cento di tale fondo è riservato alle imprese editoriali con fatturato inferiore ai 10 miliardi di lire.] (1)</p><p><br /></p><p>(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 38, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 545, convertito con modificazioni dalla Legge 23 dicembre 1996, n. 650.</p><p><br /></p><p>COMMA 33.</p><p><br /></p><p>33. Ai fini dell'ammissione alle provvidenze di cui ai commi 26 e 27 del presente articolo si applicano gli articoli 18 e 19, terzo comma, della legge 5 agosto 1981, n. 416.</p><p><br /></p><p>COMMA 34.</p><p><br /></p><p>34. E' abrogato l'art. 4 del decreto-legge 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243. Entro il 31 marzo 1996 l'Ente poste italiane determina le nuove tariffe per le spedizioni di stampe in abbonamento postale, secondo la procedura prevista dall'art. 8, comma 2, del decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 1994, n. 71, lasciando inalterato il costo sostenuto dalle imprese editrici ammesse ai benefici di cui ai commi 26 e 27 del presente articolo, fatto salvo il tasso di inflazione programmata. Per le testate non ammesse ai benefici di cui ai commi 26 e 27, l'aumento non può essere superiore al 20 per cento annuo del costo di spedizione in abbonamento postale.</p><p><br /></p><p>COMMA 35.</p><p><br /></p><p>35. Lo stanziamento iscritto sul capitolo 4646 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l'anno 1996, e corrispondenti capitoli per gli esercizi successivi, è ridotto di lire 300,4 miliardi annui.</p><p><br /></p><p>COMMA 36.</p><p><br /></p><p>36. A decorrere dal 1° gennaio 1995 la concessione delle provvidenze previste dagli articoli 4 , 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 250 e successive modificazioni, e dall'art. 7 del decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 1993, n. 422, è subordinata al regolare versamento per tutti i dipendenti dei contributi di legge ai rispettivi competenti enti previdenziali.</p><p><br /></p><p>COMMA 37.</p><p><br /></p><p>37. Con decreto del Presidente del Consiglio di Ministri, sentiti i Ministri competenti, sono trasferiti in proprietà ai comuni prioritariamente, o ad altri enti locali che ne facciano richiesta, i beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato che risultino non utilizzati alla data del 30 giugno 1995 o che, anche successivamente a tale data, risultino non più utili ai fini istituzionali delle Amministrazioni dello Stato. Il prezzo di cessione è fissato in misura pari ai due terzi del valore determinato dall'Ufficio tecnico erariale competente per territorio.</p><p><br /></p><p>COMMA 38.</p><p><br /></p><p>38. I beni trasferiti restano assoggettati ai vincoli urbanistici e a quelli a tutela di interessi ambientali, paesaggistici e storici. L'atto di cessione deve essere perfezionato entro un anno dalla data di richiesta.</p><p><br /></p><p>COMMA 39.</p><p><br /></p><p>39. Le partecipazioni azionarie delle aziende termali, già appartenenti al soppresso Ente autonomo gestione aziende termali (EAGAT) possono essere cedute a titolo oneroso alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano che ne facciano richiesta entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. A tal fine il Ministero del tesoro-Direzione generale del tesoro provvede alla dismissione della partecipazione, in deroga alle vigenti norme di legge e di regolamento sulla contabilità dello Stato, sulla base di una stima redatta dall'Ufficio tecnico erariale competente per territorio.</p><p><br /></p><p>COMMA 40.</p><p><br /></p><p>40. L'elenco dei crediti sorti prima del 18 luglio 1992 relativi a società di cui all'art. 5, comma 1, lettera b ), del decreto-legge 19 dicembre 1992, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1993, n. 33, poste in liquidazione coatta amministrativa, può essere aggiornato per tenere conto sia di eventuali variazioni di importo determinate dalla maturazione fino alla data di assoggettamento alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, ovvero dal pagamento in contanti, ove si tratti dei rapporti di cui all'art. 6, comma 4, del citato decreto-legge n. 487 del 1992, degli interessi corrispettivi ai tassi pattuiti e degli altri oneri relativi ai rapporti di cui al predetto art. 6, comma 4, ovvero degli interessi corrispettivi comunque non superiori a quelli legali per i crediti originati da rapporti diversi da quelli di cui al medesimo art. 6, comma 4, sia delle eventuali variazioni determinate da accordi transattivi, dalla correzione di errori materiali, ovvero da altri fatti o atti sopravvenuti. Le predette modifiche ed integrazioni vengono proposte dal commissario liquidatore ed approvate dal Ministro del tesoro, conformemente alle modalità e secondo le procedure di cui all'art. 5, comma 4- ter , del citato decreto-legge n. 487 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 1993 e successive modificazioni.</p><p><br /></p><p>COMMA 41.</p><p><br /></p><p>41. Entro la scadenza del 31 gennaio 1996, con decreto del Ministro del tesoro, su proposta del commissario liquidatore dell'Ente partecipazioni e finanziamento industria manifatturiera (EFIM), sono individuate le società controllate dal medesimo EFIM, possedute direttamente o controllate da società poste in liquidazione coatta amministrativa, che non devono essere assoggettate alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, alle quali continuano ad applicarsi le disposizioni del citato decreto-legge n. 487 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 1993 e successive modificazioni, fino alla data del 31 dicembre 1997, alla condizione che si tratti di imprese alle quali non vengano effettuate erogazioni che possano essere considerate aiuti di Stato, a norma del trattato di Roma (1).</p><p><br /></p><p>(1) Comma modificato dall'articolo 3, comma 1, del D.L. 28 settembre 1996, n. 504, convertito con modificazioni dalla Legge 27 novembre 1996, n. 602.</p><p><br /></p><p>COMMA 42.</p><p><br /></p><p>[42. Nell'ambito dei progetti strategici di cui all'art. 1, comma 8, del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488 e successive modificazioni, una quota parte, pari a lire 250 miliardi, è destinata dal CIPE alla realizzazione di interventi nel settore del commercio e del turismo e alla copertura della quota di finanziamento nazionale per la realizzazione di programmi regionali nelle aree di cui agli obiettivi 1, 2 e 5b del Regolamento (CEE) n. 2052/88 e successive modificazioni, e in quelle rientranti nella fattispecie di cui all'art. 92, paragrafo 3, lettera c ), del Trattato di Roma e per altri interventi, relativi ai predetti settori, previsti nel quadro comunitario di sostegno 1994-1999, ai sensi dell'art. 5, comma 3, del decreto-legge 23 giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341 (1).] (2)</p><p><br /></p><p>(1) A norma dell'articolo 54, comma 1, della Legge 23 dicembre 1998, n. 448, gli interventi di cui al presente comma, sono soppressi, fatti salvi quelli relativi all'approvazione dei progetti strategici di cui all'asse 3 della delibera CIPE dell'8 agosto 1996.</p><p><br /></p><p>(2) Comma abrogato dall'articolo 23, comma 7, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla Legge 7 agosto 2012, n. 134.</p><p><br /></p><p>COMMA 43.</p><p><br /></p><p>43. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo della Repubblica è delegato ad emanare un decreto legislativo inteso a consentire, per il periodo transitorio di tre anni, l'erogazione di un indennizzo, pari al trattamento pensionistico minimo, per la cessazione dell'attività a favore degli esercenti il commercio al minuto e loro coadiutori che abbiano superato i 62 anni d'età e non abbiano raggiunto i 65 anni, se uomini, e che abbiano superato i 57 e non raggiunto i 60 anni, se donne.</p><p><br /></p><p>COMMA 44.</p><p><br /></p><p>44. Nell'esercizio della delega di cui al comma 43, il Governo dovrà attenersi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:</p><p><br /></p><p>a ) incompatibilità dell'indennizzo con qualsiasi attività di lavoro autonomo o subordinato ed erogazione dello stesso fino al compimento dell'età pensionabile;</p><p><br /></p><p>b ) subordinazione dell'erogazione dell'indennizzo alla cessazione definitiva dell'attività, alla riconsegna delle autorizzazioni e dei permessi alle autorità competenti nonchè alla cancellazione dai rispettivi albi od elenchi e dal registro delle ditte presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura;</p><p><br /></p><p>c ) costituzione di un apposito fondo per l'erogazione degli indennizzi di cui al comma 43;</p><p><br /></p><p>d ) previsione, per il periodo 1996-2000, di un'aliquota contributiva aggiuntiva nella misura dello 0,09 per cento, a carico degli iscritti alla gestione pensionistica degli esercenti attività commerciali, con devoluzione dello 0,02 per cento alla gestione pensionistica di categoria;</p><p><br /></p><p>e ) previsione di criteri per il riutilizzo da parte della gestione pensionistica di categoria delle somme eventualmente non impegnate per l'erogazione degli indennizzi.</p><p><br /></p><p>COMMA 45.</p><p><br /></p><p>45. Lo schema di decreto legislativo di cui al comma 43 è trasmesso alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica almeno trenta giorni prima della scadenza prevista per l'esercizio della delega. Le Commissioni parlamentari competenti per materia esprimono il loro parere entro quindici giorni dalla data di trasmissione dello schema medesimo.</p><p><br /></p><p>COMMA 46.</p><p><br /></p><p>46. Il Governo è delegato ad emanare, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a:</p><p><br /></p><p>a ) trasferire alle regioni ulteriori funzioni amministrative, in particolare nelle materie di: turismo e industria alberghiera, agricoltura e foreste, edilizia residenziale pubblica, formazione professionale e artigianato; riordinare la composizione e le attribuzioni della Conferenza di cui all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ferme restando le attribuzioni di cui all'art. 6 del decreto-legge 23 giugno 1995, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1995, n. 341;</p><p><br /></p><p>b ) delegare alle regioni funzioni in materia di industria e commercio; di impiantistica sportiva; di trasporti di interesse regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati, ivi compresi i servizi ferroviari in concessione e gestione commissariale governativa nonchè i servizi locali svolti dalle "Ferrovie dello Stato Spa", fissando criteri omogenei allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto necessari ai fabbisogni di mobilità ai sensi del Regolamento (CEE) n. 1893/91 del Consiglio, del 20 giugno 1991, conferendo la relativa autonomia finanziaria e procedendo al risanamento finanziario del settore;</p><p><br /></p><p>c ) riclassificare, ai sensi del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni, la rete viaria statale e regolamentare il trasferimento, d'intesa con le regioni interessate, delle competenze e delle proprietà di tronchi di strade dall'ente ANAS alle regioni competenti, mantenendo alla competenza dell'ente ANAS le autostrade e le strade statali di cui alle lettere a ) e b ) del comma 6, lettera A , dell'art. 2 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni, individuando altresì le altre strade di cui alle lettere c ), d ) ed e ) del comma 6, lettera A , dell'art. 2 del succitato decreto legislativo, che per la loro natura rientrano nel novero di quelle, d'interesse primario e strategico per lo Stato, da mantenere alla competenza dell'ente ANAS;</p><p><br /></p><p>d ) delegare alle regioni ulteriori funzioni amministrative nelle materie di cui alla lettera a ), per gli aspetti e per i profili che restano nelle attribuzioni statali;</p><p><br /></p><p>e ) attribuire alle province, ai comuni e agli altri enti locali funzioni amministrative per le materie di interesse esclusivamente locale nei settori di cui alle lettere a ), b ), c ) e d );</p><p><br /></p><p>f ) prevedere, con particolare riguardo ai compiti di gestione, i settori prioritari per i quali opera la delega delle funzioni amministrative regionali agli enti locali, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione;</p><p><br /></p><p>g ) prevedere, con riguardo alle funzioni attinenti al sistema delle imprese, che le regioni, nell'ambito delle materie ad esse trasferite o delegate, ai sensi delle lettere a ) e b ), possano delegare le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.</p><p><br /></p><p>COMMA 47.</p><p><br /></p><p>47. Nell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 46, il Governo si atterrà ai seguenti princìpi e criteri direttivi nonchè a quelli contenuti nella legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, e nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni:</p><p><br /></p><p>a ) attribuzione alle amministrazioni centrali di prevalenti compiti di sviluppo e di programmazione nazionale, di indirizzo e di coordinamento, e alle amministrazioni periferiche di compiti di programmazione, di sviluppo nonchè compiti di utilizzazione, di coordinamento e di gestione di mezzi e strutture, con l'attribuzione ai dirigenti della responsabilità per budget di spesa, apportando le necessarie modificazioni alla normativa di bilancio, con connesso avvio del controllo di gestione per la verifica dei risultati;</p><p><br /></p><p>b ) trasferimento o delega di funzioni alle regioni, concentrando le responsabilità gestionali, organizzative e finanziarie, con contestuale soppressione dei capitoli dello stato di previsione della spesa, diretta e indiretta, del bilancio dello Stato e corrispondente incremento delle entrate spettanti alle regioni stesse; disciplina dell'esercizio degli interventi sostitutivi da parte del Governo in caso di persistente inattività delle regioni nell'esercizio delle funzioni delegate e per l'ottemperanza agli obblighi derivanti dall'adesione dell'Italia all'Unione europea; disciplina degli accordi di programma tra Stato e regione, anche al fine dell'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento dell'attività amministrativa regionale sulla base di criteri e princìpi da individuarsi nelle singole materie, qualora esistano esigenze di carattere unitario; trasferimento alle amministrazioni regionali e locali del personale e dei beni strumentali e delle relative risorse necessari all'esercizio delle funzioni attribuite ai sensi della presente legge e dei relativi decreti di attuazione;</p><p><br /></p><p>c ) attribuzione alla Conferenza di cui all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, dei compiti di monitoraggio dell'attività regionale trasferita e delegata, di promozione di intese ed adozione di atti qualora sia utile o necessario dettare discipline congiunte in materie di comune competenza tra Stato e regioni, ovvero determinare i livelli minimi di servizi, consentendo la partecipazione alla Conferenza dei Ministri finanziari, e provvedendo al riordino e soppressione degli organismi a composizione mista ancora esistenti;</p><p><br /></p><p>d ) valorizzazione dello strumento della mobilità anche volontaria; aumento della flessibilità dei poteri di organizzazione degli uffici.</p><p><br /></p><p>COMMA 48.</p><p><br /></p><p>48. Relativamente al Ministero dei trasporti e della navigazione, il Governo è delegato ad emanare, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a razionalizzare le strutture degli attuali organismi preposti al settore dell'aviazione civile, con particolare riferimento alla Direzione generale dell'aviazione civile ed al Registro aeronautico italiano (1).</p><p><br /></p><p>(1) A norma dell'articolo 11, comma 5, della Legge 15 marzo 1997, n. 59, il termine di cui al presente comma, è riaperto fino al 31 luglio 1997.</p><p><br /></p><p>COMMA 49.</p><p><br /></p><p>49. Nell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 48, il Governo dovrà provvedere all'istituzione di un'unica struttura, sottoposta nelle sue funzioni all'indirizzo e al controllo del Ministro dei trasporti e della navigazione, al fine di una più efficiente prestazione dei servizi, anche in attuazione dei princìpi e delle normative dell'Unione europea e degli accordi internazionali in materia, procedendo alle eventuali modifiche del codice della navigazione conseguenti alla suddetta riorganizzazione.</p><p><br /></p><p>COMMA 50.</p><p><br /></p><p>50. In fase di prima applicazione il personale conserva il trattamento giuridico ed economico previsto dai contratti vigenti nei settori di provenienza. All'unificazione giuridica ed economica del personale interessato si provvederà mediante la predisposizione, sentite le organizzazioni sindacali di categoria, di apposite tabelle di equiparazione, da predisporre entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.</p><p><br /></p><p>COMMA 51.</p><p><br /></p><p>51. In particolare per il settore dei trasporti pubblici regionali, nell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 46, il Governo si atterrà ai seguenti princìpi e criteri direttivi:</p><p><br /></p><p>a ) delegare alle regioni i compiti di programmazione e amministrazione in materia di servizi di trasporto pubblico di interesse locale e regionale con qualsiasi modo di trasporto esercitati, ivi compresi i servizi ferroviari in concessione e gestione governativa e i servizi locali svolti dalle "Ferrovie dello Stato Spa"; affidare l'esercizio dei servizi di trasporto pubblico attraverso concessioni regolate da contratti di servizio, aventi caratteristiche di certezza finanziaria e di copertura di bilancio da parte delle regioni o degli enti locali, stabilendo che il relativo costo è finanziato dai bilanci regionali e prevedendo che i servizi ulteriori, rispetto a quelli corrispondenti ai livelli minimi definiti dalle regioni, siano determinati dai contratti di servizio stipulati tra le aziende e/o società concessionarie e gli enti locali e che il corrispondente costo sia a carico dei bilanci dei medesimi enti locali; separare istituzionalmente i compiti di programmazione e amministrazione da quelli di produzione dei servizi; definire i criteri per l'istituzione, a livello regionale e locale, di specifici organismi preposti alla formazione e attuazione dei piani di trasporto e alla preparazione e gestione dei contratti di servizio pubblico;</p><p><br /></p><p>b ) delegare alle regioni il compito di stipulare contratti di servizio e di programma, con decorrenza dal 1° gennaio 1997, con le società concessionarie di servizi ferroviari di interesse regionale e locale, nonchè con le società di servizio ferroviario in regime di gestione commissariale governativa, indicando le modalità di trasferimento alle regioni delle corrispondenti risorse;</p><p><br /></p><p>c ) definire le procedure e i criteri per la ristrutturazione delle società di servizio ferroviario in regime di gestione commissariale governativa da attuarsi mediante affidamento di incarico alla società "Ferrovie dello Stato Spa" per la predisposizione del piano di ristrutturazione e successivo affidamento in concessione alla stessa società per non più di un triennio, esercitando il controllo sull'attuazione del piano;</p><p><br /></p><p>d ) consentire alle regioni di subentrare, non prima del 1° gennaio 1998, con propri autonomi contratti di servizio regionale al contratto di servizio pubblico tra Stato e "Ferrovie dello Stato Spa" e definire le procedure di subentro;</p><p><br /></p><p>e ) garantire il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi al netto dei costi di infrastruttura, fino a conseguire un rapporto di 0,35 a partire dal 1° gennaio 1999;</p><p><br /></p><p>f ) procedere all'individuazione di livelli minimi di servizio qualitativamente e quantitativamente sufficienti ad assicurare comunque l'esercizio del diritto alla mobilità dei cittadini.</p><p><br /></p><p>COMMA 52.</p><p><br /></p><p>52. Il Governo, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, trasmette alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica gli schemi di decreti legislativi di cui ai commi da 46 a 51 al fine dell'espressione del parere da parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali e delle altre competenti Commissioni parlamentari; il parere è espresso entro sessanta giorni dalla data di trasmissione.</p><p><br /></p><p>COMMA 53.</p><p><br /></p><p>53. Disposizioni correttive nell'ambito dei decreti legislativi di cui al comma 46, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi determinati dai commi 47 e 51 e previo parere delle Commissioni di cui al comma 52, potranno essere emanate, con uno o più decreti legislativi, fino al 31 dicembre 1997.</p><p><br /></p><p>COMMA 54.</p><p><br /></p><p>54. In considerazione dell'autofinanziamento del Servizio sanitario nazionale, introdotto dall'art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la Regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano possono organizzare servizi di guardia medica con proprie norme, nonchè autorizzare l'adozione, a titolo sperimentale, di modelli gestionali di tipo aziendalistico, nell'ambito dei servizi di emergenza, purchè finalizzati ad un risparmio di risorse.</p><p><br /></p><p>COMMA 55.</p><p><br /></p><p>55. A far data dal 1° giugno 1996 le funzioni in materia di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade statali insistenti sul territorio delle province autonome di Trento e di Bolzano sono delegate, con riferimento all'ambito territoriale di competenza, alle due province autonome medesime, secondo modalità determinate con decreti legislativi emanati ai sensi dell'art. 107 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, che disciplinano altresì i rapporti finanziari e patrimoniali.</p><p><br /></p><p>COMMA 56.</p><p><br /></p><p>56. Alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, con norme di attuazione, previo parere delle relative commissioni paritetiche, sono trasferite ulteriori funzioni per completare le competenze previste dai rispettivi statuti speciali; al fine di rendere possibile l'esercizio organico delle funzioni trasferite con le medesime norme di attuazione viene altresì delegato alle regioni e province autonome stesse, per il rispettivo territorio, l'esercizio di funzioni legislative nonchè di quelle amministrative che, esercitate dagli uffici statali soppressi, residuano alle competenze dello Stato; al finanziamento degli oneri necessari per l'esercizio delle funzioni trasferite o delegate provvedono gli enti interessati, avvalendosi a tal fine delle risorse che sono determinate d'intesa con il Governo in modo da assicurare risparmi di spesa per il bilancio dello Stato e a condizione che il trasferimento effettivo venga completato entro il 30 giugno del rispettivo anno.</p><p><br /></p><p>COMMA 57.</p><p><br /></p><p>57. Il Governo è delegato ad emanare entro il 30 giugno 1996 uno o più decreti legislativi per disciplinare la trasformazione in fondazioni di diritto privato degli enti di prioritario interesse nazionale che operino nel settore musicale.</p><p><br /></p><p>COMMA 58.</p><p><br /></p><p>58. Nell'emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 57, il Governo si atterrà ai seguenti princìpi e criteri direttivi:</p><p><br /></p><p>a ) identificazione degli enti di cui al comma 57 comprendendo nella categoria: gli enti, associazioni o istituzioni, pubbliche o private, che svolgano attività di rilevanza nazionale per dimensione anche finanziaria, tradizione e bacino di utenza, nonchè quelli che costituiscono anche di fatto un circuito di distribuzione di manifestazioni nazionali od internazionali; in ogni caso, gli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche ad essi assimilate, disciplinati dalla legge 14 agosto 1967, n. 800 e successive modificazioni;</p><p><br /></p><p>b ) determinazione delle condizioni della trasformazione, comprendendovi: situazione economico-finanziaria di equilibrio; gestione improntata ad imprenditorialità ed efficienza;</p><p><br /></p><p>c ) individuazione dei soggetti pubblici che concorrono alla fondazione. Tra questi dovranno comunque essere presenti lo Stato, la regione e il comune nei quali gli enti hanno sede;</p><p><br /></p><p>d ) determinazione delle modalità e degli strumenti con i quali lo Stato, la regione e il comune promuovono d'intesa l'intervento di altri enti o soggetti pubblici e privati nelle fondazioni;</p><p><br /></p><p>e ) individuazione degli indirizzi ai quali dovranno uniformarsi le decisioni attribuite alla autonomia statutaria di ciascun ente, con particolare riferimento alla formazione degli organi, alla gestione e al controllo dell'attività istituzionale, nonchè alla partecipazione di privati finanziatori nel rispetto dell'autonomia e delle finalità culturali dell'ente. Per il perseguimento dei fini sociali la fondazione potrà disporre, tra le sue fonti di finanziamento, anche delle seguenti: 1) contributi di gestione a carico del bilancio dello Stato, della regione e del comune; 2) altri contributi pubblici ed erogazioni liberali dei privati; 3) rendite del suo patrimonio e proventi delle sue attività; 4) altre somme erogate alla fondazione a qualsiasi titolo non destinate a patrimonio; 5) contributi versati dai fondatori e dai sostenitori delle fondazioni; 6) somme derivanti da eventuali alienazioni patrimoniali non destinate ad incremento del patrimonio per delibera del consiglio di amministrazione. Lo statuto della fondazione deliberato dai soci fondatori è approvato con decreto dell'Autorità di Governo competente in materia di attività culturali;</p><p><br /></p><p>f ) adeguata vigilanza sulla gestione economico-finanziaria dell'ente;</p><p><br /></p><p>g ) incentivazione, anche attraverso la rimozione di ostacoli normativi, del miglioramento dei risultati della gestione;</p><p><br /></p><p>h ) previsioni di incentivi per la costituzione in forme organizzative autonome dei corpi artistici e delle altre unità operative, senza pregiudizio per il regolare svolgimento dell'attività della fondazione;</p><p><br /></p><p>i ) applicazione alle erogazioni liberali a favore dell'ente, anche in forma di partecipazione al fondo di dotazione, della disciplina prevista dagli articoli 13- bis , comma 1, lettera i ), 65, comma 2, lettera c-quinquies ), e 110- bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e successive modificazioni;</p><p><br /></p><p>l ) previsione di una disciplina transitoria delle liberalità più favorevole di quella descritta alla lettera i ), limitata alla fase di avvio e senza oneri per il bilancio dello Stato;</p><p><br /></p><p>m ) conservazione da parte delle fondazioni dei diritti e delle prerogative riconosciute dalla legge agli enti originari.</p><p><br /></p><p>COMMA 59.</p><p><br /></p><p>59. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 57 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri di concerto con il Ministro del tesoro. Essi sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Decorsi i termini previsti dal presente comma, il procedimento di emanazione dei decreti legislativi prosegue anche in mancanza dei pareri richiesti.</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-82622004958330757592023-05-03T08:59:00.004+02:002023-05-03T08:59:52.117+02:00 Art. 1 Legge del 07/12/1989 - N. 389<p>Art. 1.</p><p><br /></p><p>1. Il decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, recante disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.</p><p><br /></p><p>2. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 30 dicembre 1988, n. 548, 28 marzo 1989, n. 110, 29 maggio 1989, n. 196, e5 agosto 1989, n. 279.</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-41028312617479674902023-05-02T12:27:00.004+02:002023-05-02T12:27:46.283+02:00sottrazione di Merce dal datore di lavoro<p> Sentenza Corte appello Catanzaro sez. lav., 01/03/2023, (ud. 23/02/2023, dep. 01/03/2023), n.329</p><p><br /></p><p><br /></p><p>FATTO E DIRITTO</p><p>Con ricorso ai sensi dell'art. 1 comma 47 legge 92/12, depositato l'11.12.2017, Pa. An. conveniva in giudizio G. s.r.l., esponendo: di esser stato assunto alle dipendenze della G. s.r.l. in data 1.12.2012, con qualifica di operaio e mansioni di commesso; di aver ricevuto, in data 22.4.2017, una contestazione disciplinare con la quale gli è stata addebitata una serie di episodi di sottrazione di alimenti di proprietà dell'Azienda avvenuti nelle giornate del 15, 16, 18 e 19 marzo 2017; di aver formulato le proprie controdeduzioni, dapprima in forma scritta e, successivamente, all'incontro del 12.5.2017; di essere stato licenziato con lettera del 16.5.2017, ricevuta il 18.5.2017; di aver impugnato il licenziamento con lettera del 23.6.2017, ricevuta il 29.6.2017; che il licenziamento impugnato è illegittimo per insussistenza della giusta causa e/o nullo perché dettato da motivo ritorsivo.</p><p><br /></p><p>Il Tribunale, nel contraddittorio con la società convenuta, dopo l'interrogatorio libero del ricorrente e l'escussione dei testimoni Lu. Ca. e Da. Va., con ordinanza del 19/03/2019, ha respinto il ricorso, con condanna del sig. Pa. al pagamento delle spese di lite, perché: <<dagli elementi emersi nel corso del giudizio - il riferimento è alle immagini del servizio di videosorveglianza attivato dal datore di lavoro nel Marzo 2017, la cui conformità all'articolo 4 legge 20 maggio 1970, n. 300, non è oggetto di contestazione da parte del ricorrente (Cassazione n. 10.636/2017) - è dimostrato che:</p><p><br /></p><p>- Il giorno 15 marzo 2017 (ore 10:58 e minuti seguenti) il ricorrente si è introdotto nei locali destinati alla refrigerazione della merce e, dopo aver prelevato alcuni prodotti dallo scaffale premurandosi di sottrarsi allo sguardo del collega presente, li ha occultati nella borsa indossata per poi allontanarsi. Si evidenzia altresì la circostanza non contestata per cui ricorrente non è stato di turno quel giorno;</p><p><br /></p><p>- Il giorno 16 marzo 2017 (07:40) il ricorrente ha maneggiato della merce. Tuttavia, dall'immagine non è possibile evincere l'azione di prelevamento e tanto non consente di individuare l'oggetto del puro evidente occultamento;</p><p><br /></p><p>- Il giorno 18 marzo 2017 (10:05), il ricorrente si è introdotto nei locali destinati alla refrigerazione della merce e, dopo essersi sottratto allo sguardo del collega presente, ha occultato un prodotto nella borsa indossata per poi allontanarsi;</p><p><br /></p><p>- Il giorno 19 marzo 2017 il ricorrente ha maneggiato della merce e tuttavia non è possibile evincere l'azione di prelevamento. È invece evidente alle 17:42 che il ricorrente ha prelevato della merce dallo scaffale dei locali destinati alla refrigerazione della merce per occultarla sotto il proprio camice.</p><p><br /></p><p>La sottrazione della merce del datore di lavoro configura una giusta causa di licenziamento in grado di negare l'elemento fiduciario.</p><p><br /></p><p>L'abusivo impossessamento di beni aziendali è in grado di porre in giustificato dubbio la futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa, poiché sintomatico di un certo atteggiarsi nel prestatore rispetto agli obblighi lavorativi (Cassazione, n. 5633/2001).</p><p><br /></p><p>Nel caso di specie l'inadempimento grave del ricorrente è massimizzato dalla circostanza che lo stesso ha occupato una posizione lavorativa con diretta disponibilità della merce in cui l'elemento fiduciario, soprattutto in una prospettiva prognostica, riveste una speciale rilevanza e una particolare fragilità che non è in grado di resistere a ripetuti episodi di sottrazione, per di più consumati nell'arco di giorni consecutivi. Da ultimo va precisato con la doglianza in merito alla ritorsività del licenziamento è infondata perché priva della necessaria allegazione fattuale >>. Con ricorso ex artt. 414 c.p.c. e 1 commi 51 e ss. legge n. 92/2012, depositato il 18/09/2019, il sig. Pa. proponeva opposizione avverso la menzionata ordinanza, deducendo: 1) illegittimità del licenziamento per insussistenza del fatto contestato; 2) illegittimità del licenziamento per inutilizzabilità dei filmati; 3) sproporzione tra fatti contestati e sanzione applicata.</p><p><br /></p><p>La società G.S.R. s.r.l., costituitasi in giudizio, ribadiva quanto dedotto nel corso della fase sommaria e concludeva chiedendo la conferma dell'ordinanza impugnata. A seguito dell'escussione dei testi, Te. Da., Co. Gi. e Ma. Ma. Sp., il giudice del lavoro, con sentenza n. 526/2022, resa il 6 luglio 2022, respingeva l'opposizione, alla luce delle seguenti argomentazioni:</p><p><br /></p><p><<5. ...oggetto dell'odierna controversia è l'impugnazione, proposta da An. Pa., del licenziamento disciplinare intimatogli con nota datata 16.5.2017.</p><p><br /></p><p>6. Più in particolare, al ricorrente, dipendente della resistente a far data dal 1.12.2012 con la qualifica di operaio di 5° livello e mansioni di commesso, veniva mossa la seguente contestazione: “Il giorno 15 marzo 2017, alle ore 10:58, Lei si è recato all'interno della cella frigo, prelevando della merce che ha inserito all'interno di un marsupio non di proprietà aziendale, facente parte del suo corredo personale. Il giorno 16 marzo 2017, alle ore 7:27, prima dell'apertura del punto vendita, Lei ha proceduto ad affettare dei prodotti esposti, occultandoli sotto il camice, dopo averli avvolti in una pellicola, e riponendoli successivamente nell'armadietto personale, assegnatole in esclusiva dall'azienda. Successivamente, alle ore 13:15, Lei ha estratto il medesimo involucro dal suddetto armadietto, occultandolo sotto il suo maglione. Il giorno 18 marzo 2017, alle ore 10:04, Lei si è recato nuovamente all'interno della cella frigo, sottraendo ed occultando altra merce di proprietà aziendale nel suo marsupio. Il giorno 19 marzo 2017, alle ore 9:15, Lei ha proceduto ad affettare del prodotto fresco di salumeria, confezionandolo sottovuoto e portandolo nella cella frigo. Ha, quindi, occultato il suddetto prodotto sotto il camice e lo ha riposto successivamente nell'armadietto personale. Alle ore 17:00, ha rimosso il medesimo involucro occultandolo nel suo marsupio” (cfr. contestazione disciplinare del 22.4.2017).</p><p><br /></p><p>7. Come ricostruito nella prima fase di giudizio, dall'esame dei filmati estrapolati dalle telecamere di sorveglianza poste all'interno dei locali aziendali, le cui risultanze sono state genericamente contestate nella presente fase di opposizione, è possibile evincere, in relazione a ciascuno degli episodi contestati, che: il giorno 15 marzo 2017 (ore 10:58 e minuti seguenti) il ricorrente si è introdotto nei locali destinati alla refrigerazione della merce e, dopo aver prelevato alcuni prodotti dallo scaffale, premurandosi di sottrarsi allo sguardo del collega presente, li ha occultati nella borsa indossata per poi allontanarsi. Si evidenzia altresì la circostanza, non contestata, per cui il ricorrente non è stato di turno quel giorno; il giorno 16 marzo 2017 (ore 7:40) il ricorrente ha maneggiato della merce. Tuttavia dall'immagine non è possibile evincere l'azione di prelevamento e tanto non consente di individuare l'oggetto del pur evidente occultamento; il giorno 18 marzo 2017 (ore 10:05) il ricorrente si è introdotto nei locali destinati alla refrigerazione della merce e, dopo essersi sottratto allo sguardo del collega presente, ha occultato un prodotto nella borsa indossata per poi allontanarsi; il giorno 19 marzo 2017 il ricorrente ha maneggiato della merce e tuttavia, non è possibile evincere l'azione di prelevamento. È invece evidente alle ore 17:42 che il ricorrente ha prelevato della merce dallo scaffale dei locali destinati alla refrigerazione della merce per occultarla sotto il proprio camice.</p><p><br /></p><p>8. Le condotte contestate al ricorrente, dunque, hanno trovato pieno riscontro documentale. E, d'altro canto, lo stesso lavoratore, in merito alle risultanze dei filmati delle telecamere di videosorveglianza, non ha saputo offrire una univoca ricostruzione alternativa rispetto a quanto si evince dalle immagini: in particolare, nella fase sommaria, ha affermato: “in merito ai video, forse mi stringo il laccio dei pantaloni o mi sistemo l'intimo poiché ho un neo carnoso che mi reca disturbo” (cfr. dichiarazioni rese all'udienza del 9.1.2019); mentre, nella odierna fase di opposizione, ha dichiarato: “In relazione alle immagini delle telecamere di videosorveglianza, non c'è una che mi ritrae in mano una bottiglia di liquore o un pacco di pasta. Addirittura, in un frammento sono ripreso mentre esco dal bagno con la sigaretta in bocca e l'altra mano infilata nel camice, per cui stavo sistemando le sigarette” (cfr. verbale d'udienza del 4.3.2022).</p><p><br /></p><p>9. Occorre, a questo punto, affrontare tre distinte questioni: a) l'utilizzabilità dei filmati di videosorveglianza, contestata da parte ricorrente; b) l'esistenza, a giustificazione della condotta della dipendente, di una prassi aziendale che consentiva ai lavoratori di confezionare, su richiesta di terzi clienti o di altri colleghi, prodotti alimentari da consegnare ai richiedenti in un momento successivo;</p><p><br /></p><p>c) la ricorrenza, negli episodi verificatisi, degli estremi della giusta causa.</p><p><br /></p><p>10. Quanto al primo profilo, inerente all'utilizzabilità dei filmati di videosorveglianza, deve essere premesso che, in tema di controlli a distanza, esulano dall'ambito di applicazione dell'art. 4, comma 2, Stat. lav. (nel testo anteriore alle modifiche di cui all'art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 151 del 2015) e non richiedono l'osservanza delle garanzie ivi previste, i controlli difensivi da parte del datore se diretti ad accertare comportamenti illeciti e lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale, tanto più se disposti "ex post", ossia dopo l'attuazione del comportamento in addebito, così da prescindere dalla mera sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa (Cassazione civile, sez. lav., 28/05/2018, n. 13266).</p><p><br /></p><p>11. In altri termini, i controlli difensivi occulti sono tendenzialmente ammissibili, anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in quanto diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l'interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale. Non è soggetta alla disciplina dell'art. 4, comma 2, St. Lav. l'installazione di impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori (Cassazione civile, sez. lav., 02/05/2017, n. 10636).</p><p><br /></p><p>12. Residua, dunque, un'area di controlli difensivi leciti non soggetti alle condizioni dell'art. 4, 1° c. 1. 300/70. Tale ambito è determinato dall'acquisizione di indizi del compimento di condotte illecite a carico di singoli dipendenti, in danno del datore di lavoro o per le quali possa essere chiamata a risedere il datore di lavoro. Ovviamente, tali indici devono ricavarsi aliunde e devono essere specifici; essi non possono desumersi dagli stessi controlli a distanza, perché in tal modo si confermerebbe quella circolarità della giustificazione, in forza della quale l'emergere a posteriori della condotta vietata giustifica il controllo a priori, che quindi risulta sempre lecito (Tribunale Padova, sez. lav., 22/01/2018).</p><p><br /></p><p>13. La giurisprudenza ritiene, peraltro, che sono consentiti, anche dopo la modifica dell'art. 4 Stat .lav. ad opera dell'art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto (Cassazione civile sez. lav., 12/11/2021, n. 34092).</p><p><br /></p><p>14. Ciò posto, nel caso di specie, dall'esame dei testi escussi in sede di istruttoria, è emerso che, dal 2016, nel punto vendita “CRAI” di Catanzaro, ove era addetto il ricorrente, si era registrata una sottrazione di prodotti alimentari, anche di quelli non esposti al pubblico. La resistente, pertanto, decideva di intensificare i controlli sui prodotti esposti al pubblico e di avvalersi, a fronte del ripetersi di episodi di sottrazione di merce, di una agenzia investigativa facente capo al sig. Da. Te., il quale procedeva ad installare le videocamere non sonore, dalle quali sono stati estrapolati i filmati allegati agli atti del presente giudizio (cfr. dichiarazioni rese da Da. Te. all'udienza del 14.7.2021; da Gi. Co. - direttore del punto vendita CRAI sito in viale Crotone a Catanzaro Lido - sempre all'udienza del 14.7.2021; da Ma. Ma. Sp. - direttore commerciale della Regina s.r.l., società del cui gruppo fa parte la G. - all'udienza del 5.11.2021).</p><p><br /></p><p>15. I controlli attuati dal datore, pertanto, si inscrivono a pieno titolo nell'ambito di quei controlli difensivi che, avendo come oggetto non l'adempimento della prestazione lavorativa, bensì l'accertamento di condotte illecite poste in essere dai dipendenti (condotte di cui sussistono indizi ricavabili aliunde), esulano dall'ambito di operatività della disposizione di cui all'art. 4 St. Lav. e, come tali, sono pienamente legittimi.</p><p><br /></p><p>16. Gli stessi sono stati, peraltro, attuati con modalità tali da non ledere la dignità e la riservatezza dei lavoratori.</p><p><br /></p><p>17. Come dichiarato dal teste Te., le telecamere non sonore, infatti, in una prima fase, occultate, “sono state posizionate all'interno dei locali, ma con visuale rivolta all'uscita. In tali circostanze, tuttavia, non era stato notato nulla di anomalo. Abbiamo, allora, analizzato dove si verificavano i predetti ammanchi e abbiamo notato che la maggior parte degli stessi avveniva nel reparto salumeria. Così, abbiamo posizionato delle telecamere: una parte rivolta verso il banco salumeria, che riprendeva solo i prodotti e le due affettatrici e non la clientela; una parte invece è stata posta nell'anticamera della salumeria, ove c'era la cella frigorifera ed un banco di lavoro... alcune telecamere erano posizionate nell'anticamera che precede i bagni: si tratta di una sala aperta ove sono situati gli armadietti personali dei dipendenti e non vi è distinzione tra reparto maschile e femminile. Poi vi è una stanza successiva, ove invece vi è divisione tra uomini e donne, dedicata a spogliatoio e poi ci sono i bagni. Negli armadietti, i dipendenti depositano i loro effetti personali e li chiudono a chiave. All'interno degli stessi, vi è anche il camice da lavoro, che loro indossano all'inizio del turno e lasciano nell'armadietto alla fine del turno” (cfr. verbale d'udienza del 14.7.2021).</p><p><br /></p><p>18. Ne discende l'utilizzabilità dei filmati acquisti in giudizio.</p><p><br /></p><p>19. Con riferimento alla seconda questione, la deduzione dell'esistenza di una prassi aziendale che consentiva ai lavoratori di confezionare, su richiesta di terzi clienti o di altri colleghi, prodotti alimentari da consegnare ai richiedenti in un momento successivo, oltre che estremamente generica (non essendo stato indicato neppure un nominativo di un cliente o di un collega della ricorrente che ebbe a richiedere il confezionamento di un prodotto da ritirare in un secondo momento), è rimasta indimostrata all'esito dell'audizione degli informatori addotti dalle parti nella prima fase del giudizio.</p><p><br /></p><p>20. Nello specifico, è rimasto indimostrato che di detta prassi fosse a conoscenza anche il datore di lavoro (cfr. dichiarazioni rese dagli informatori Va. e Ca. all'udienza del 14.11.2018).</p><p><br /></p><p>21. In ogni caso, in sede di interrogatorio libero, il legale rappresentante della G., Ma. To., ha affermato che “In ordine alla prassi aziendale relativa al confezionamento dei prodotti per un successivo ritiro da parte dei clienti, contesto che questa prassi sia esistente in azienda, essendo peraltro presente un disciplinare che detta regole di comportamento diverse, cui i dipendenti si devono conformare. Ad esempio, in questo disciplinare si prevede che se io devo affettare un prodotto di salumeria per mio uso personale, lo devo fare in presenza del direttore. Oppure se sono parente di una cassiera o di un salumiere non posso farmi servire da loro” (cfr. verbale d'udienza del 4.3.2022).</p><p><br /></p><p>22. Tirando le fila del discorso sin qui condotto: a) è emerso che la resistente impartì delle prescrizioni ai propri dipendenti, al fine di far sì che, qualora i lavoratori avessero dovuto affettare prodotti di salumeria per uso personale, gli stessi avrebbero dovuto operare alla presenza del direttore; b) per quel che riguarda il caso specifico, è rimasta generica ed indimostrata la deduzione che il ricorrente abbia affettato i salumi ed i formaggi a seguito di esplicita richiesta di un cliente o di un collega che li avrebbe ritirati o a cui li avrebbe consegnati in un successivo momento: in primo luogo, come già accennato, non è stato fornito neppure un nominativo del cliente o del collega che avrebbe effettuato la suddetta richiesta; in secondo luogo, la versione del ricorrente contrasta col dato documentale rappresentato dai filmati delle telecamere di videosorveglianza, che dimostrano che il Pa. non ripose i prodotti alimentari in una parte del banco frigo, bensì nella propria borsa e, in una occasione, nel camice indossato; c) non è, comunque, emerso che della prassi in questione il datore ne fosse a conoscenza.</p><p><br /></p><p>23. Terza e ultima questione da affrontare, concerne la riconducibilità dei fatti addebitati al ricorrente e accertati nel presente giudizio nell'ambito della nozione di giusta causa.</p><p><br /></p><p>24. Ritiene il Giudicante che i fatti contestati costituiscano giusta causa di licenziamento.</p><p><br /></p><p>25. Per giustificare un licenziamento disciplinare, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l'elemento fiduciario; la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo (cfr., per tutte, Cass. n. 13149 del 24/06/2016, Cass. n. 25608 del 03/12/2014).</p><p><br /></p><p>26. Tale valutazione rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice e non è vincolata dalle previsioni contenute nel codice disciplinare del contratto collettivo. Anche quando la condotta sia astrattamente corrispondente alla fattispecie tipizzata contrattualmente, infatti, occorre pur sempre che essa sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo (v. da ultimo Cass. n. 8826 del 05/4/2017, Cass. n. 1595 del 18/1/2016 ed i precedenti conformi ivi richiamati).</p><p><br /></p><p>27. Pur non essendo vincolante la tipizzazione delle fattispecie previste dal contratto collettivo nell'individuazione delle condotte costituenti giusta causa di recesso, la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c. (Cass. n. 18715 del 23/09/2016, Cass. n. 9396 del 16/04/2018).</p><p><br /></p><p>28. Per quel che riguarda il caso di specie, la sottrazione di beni aziendali, ripetuta nel tempo, mina in radice l'affidamento del datore di lavoro, in quanto oltre a rilevare sul piano degli obblighi fondamentali del rapporto si riflette negativamente sull'immagine del datore di lavoro (Cassazione civile, sez. lav., 12/09/2016, n. 17914).</p><p><br /></p><p>29. Nel caso in esame, dunque, ricorrono tutti gli estremi della giusta causa, avendo il ricorrente sottratto, nello svolgimento dell'attività lavorativa, prodotti alimentari di cui aveva la disponibilità in ragione delle mansioni espletate, con ciò ledendo irrimediabilmente il vincolo fiduciario che deve legare lavoratore e datore di lavoro.</p><p><br /></p><p>30. Ne deriva la legittimità del licenziamento intimato e la sua proporzionalità rispetto ai fatti contestati.</p><p><br /></p><p>31. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.</p><p><br /></p><p>32. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo>>.</p><p><br /></p><p>Con atto depositato il 28.7.2022, Pa. An. ha proposto reclamo avverso la sentenza suddetta, lamentandone l'erroneità per i seguenti motivi:</p><p><br /></p><p>1) Violazione dell'art. 4 stat. Lav., per come modificato dal D. LGS. 151/2015 e dal D. LGS. 185/2016, applicabile, ratione temporis, al caso di specie: <<...il controllo attuato dalla società datrice - che ha lamentato, senza neppure provarlo, di aver verificato, in sede di inventario, differenze tra le giacenze reali e le giacenze virtuali</p><p><br /></p><p>- ha sicuramente riguardato l'attività lavorativa della generalità dei dipendenti (le telecamere occulte sono state, infatti, posizionate all'interno del supermercato, sulle uscite, nel reparto salumeria e negli spogliatoi); il controllo è stato attuato ex ante, ossia senza che vi fossero sospetti riguardanti il singolo o alcuni lavoratori e il controllo a distanza è stato utilizzato per contestare ex post ad un dipendente una presunta sottrazione di beni aziendali....La sentenza del Tribunale di Catanzaro è...errata e ... carente sul piano motivazionale poiché non fa alcuna distinzione tra controllo in senso stretto e controllo in senso lato, limitandosi ad affermare apoditticamente che “i controlli (tutti?) attuati dal datore si inscrivono a pieno titolo nell'ambito di quei controlli difensivi che, avendo come oggetto non l'adempimento della prestazione lavorativa, bensì l'accertamento di condotte illecite poste in essere dai dipendenti”, esulano dall'ambito di operatività della disposizione di cui all'art. 4 St. lav. e, come tali, sono pienamente legittimi”. Senonché la sentenza impugnata non riconduce affatto l'utilizzabilità dei filmati prodotti dalla datrice all'esistenza di un fondato sospetto del compimento di attività illecita da parte del lavoratore licenziato e nulla riferisce sul fatto che i dati siano stati raccolti prima dell'insorgere del sospetto stesso. La sentenza omette, infatti, di riferire che l'azienda datrice aveva affidato da tempo ad un'agenzia investigativa l'attività di sorveglianza (cosiddetta “accoglienza della clientela”), sorveglianza che si è, poi, intensificata con l'installazione, senza autorizzazione, di telecamere occulte. La pronuncia omette, altresì, di rilevare che solo dopo l'esame dei filmati che controllavano l'operato dei dipendenti (i filmati risalgono infatti al mese di marzo nel mentre la contestazione è del 22 aprile 2017), la datrice ha creduto di rinvenire comportamenti illeciti di un lavoratore. Ed è allora evidente che il controllo era assolutamente illegittimo perché effettuato in assenza delle necessarie autorizzazioni. Nella presente fattispecie, infatti, a riprova dell'assenza di qualsiasi indizio di colpevolezza del lavoratore poi incriminato, le telecamere venivano posizionate in modo da poter controllare l'attività di tutti i dipendenti. Le stesse sono state, difatti, installate nel supermercato, nella vicinanza delle uscite e del banco salumeria e freschi, nella cella frigorifero e finanche negli spogliatoi (cfr. testimonianza resa dal titolare dell'agenzia investigativa Da. Te.). Dalla dichiarazione del teste Te. risulta, quindi, che i controlli sono stati eseguiti indifferentemente su tutti i lavoratori presenti in azienda per controllarne l'attività. Solo il successivo esame dei filmati ha determinato, pur in assenza di prova, la contestazione disciplinare. Senonché, tale tipo di controllo, esteso a tutti i dipendenti, deve essere, giusto quanto previsto dall'art. 4 St. Lav., preventivamente concordato con le OO.SS. o autorizzato dall'autorità amministrativa e deve essere data, ai lavoratori, un'adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti di effettuazione dei controlli e del rispetto delle norme sulla privacy...Il controllo difensivo per la tutela del patrimonio aziendale attuato su tutti i dipendenti può...essere considerato legittimo solo se realizzato nel rispetto delle previsioni di cui all'art. 4 St. lav. ossia quando sia stata ottenuta l'autorizzazione delle OO.SS. o dell'ITL e sia stata data preventiva informativa al lavoratore; quando il controllo muova da un fondato sospetto; quando attenga a dati raccolti dopo l'insorgenza del sospetto stesso. Nel caso che qui ci occupa, la società datoriale non ha assolto all'obbligo di preventiva informazione, non ha dimostrato l'esistenza di pregressi concreti indizi di colpevolezza del dipendente, non ha neppure provato in giudizio l'esistenza dei denunciati ammanchi e non ha ottenuto (e neppure chiesto) le dovute autorizzazioni. I filmati prodotti erano quindi inutilizzabili e la sentenza di primo grado ha errato nel ritenerli adoperabili. >>;</p><p><br /></p><p>2) Carenza di prova dell'illecito: <<...I filmati prodotti dalla datrice non forniscono... la prova della sottrazione di beni aziendali. La società, peraltro, non ha neppure fornito la prova, attraverso la produzione di bilanci e/o inventari, dei denunciati ammanchi...le telecamere non solo non evidenziano nulla di anomalo ma non mostrano neppure un oggetto o un bene che, in ipotesi, potrebbe essere di proprietà dell'azienda>>;</p><p><br /></p><p>3) Sproporzione tra sanzione applicata e contestazione, posto che l'infrazione non è stata né accertata né tanto meno provata;</p><p><br /></p><p>4) nella parte in cui ha ritenuto non provata la prassi aziendale che consentiva ai lavoratori di confezionare anche sottovuoto, su richiesta di terzi clienti o di colleghi, prodotti alimentari da consegnare in un momento successivo, senza ammettere le prove che, sul punto aveva articolato; laddove ha omesso di valorizzare quanto già dichiarato, nella fase sommaria, dagli informatori Lu. Ca. e Da. Va., che, interrogati sulla circostanza, avevano confermato che, per prassi e pur senza una precisa indicazione del datore di lavoro, che comunque non lo aveva vietato, per cortesia ai clienti, confezionavano i prodotti, anche sottovuoto, e li riponevano nella cella frigo in attesa di consegnarli: “Risultava, quindi, provato che gli addetti al reparto salumeria confezionavano gli affettati (anche sottovuoto), li riponevano nella cella in attesa di consegnarli e che tale prassi è stata tollerata dal datore di lavoro che non ha mai adottato sanzioni. E perciò evidente che il ricorrente ha chiesto di dimostrare, anche nella fase di merito, l'esistenza di tale prassi aziendale, prova che il Giudice di primo grado non ha ammesso e ha dichiarato indimostrata”. Si è costituita in giudizio la G. s.r.l., la quale, dopo avere contestato la fondatezza del reclamo spiegato dal lavoratore, ha formulato le conclusioni sopra riportate. Acquisito il fascicolo di primo grado, il Collegio, all'udienza del 23 febbraio 2023, sentiti i procuratori delle parti, riservava la decisione.</p><p><br /></p><p>Il reclamo non si presta ad essere accolto.</p><p><br /></p><p>Prendendo le mosse dal primo motivo, occorre premettere che <<In tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto; non ricorrendo le condizioni suddette la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell'art. 4 st.lav. novellato, in particolare dei suoi commi 2 e 3>> (Cass., sez. lav., sentenza n. 25732 del 22/09/2021); nello stesso senso, Cass., sez. lav. Sentenza n. 34092 del 12/11/2021: <<In tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti, anche dopo la modifica dell'art. 4 st.lav. ad opera dell'art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto. (Nella specie, la S.C., in accoglimento del motivo di ricorso incentrato sulla violazione dell'art. 4 st.lav., ha cassato la pronunzia del giudice del gravame, sul rilievo che quest'ultimo, nel ritenere utilizzabili determinate informazioni poste a base della contestazione disciplinare ed acquisite tramite "file di log" in conseguenza di un "alert" proveniente dal sistema informatico, aveva omesso di indagare sull'esistenza di un fondato sospetto generato dall'"alert" in questione, di verificare se i dati informatici fossero stati raccolti prima o dopo l'insorgere del fondato sospetto, nonché di esprimere la necessaria valutazione circa il corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore)>>.</p><p><br /></p><p>In sostanza, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, i controlli tecnologici finalizzati ad evitare comportamenti illeciti sono autorizzati a prescindere dal rispetto delle procedure previste dai commi 2 e 3 dell'art. 4 stat. Lav., nuova formulazione - e dunque le risultanze relative sono pienamente utilizzabili -, purché: 1) sia assicurato il bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali e il rispetto della dignità e riservatezza del lavoratore; 2) il controllo riguardi dati acquisiti dopo l'insorgere del sospetto.</p><p><br /></p><p>La sentenza gravata, invero, contrariamente a quanto affermato dal reclamante, ha fatto corretta applicazione dei principi enucleati nelle pronunce della Cassazione sopra richiamate.</p><p><br /></p><p>Infatti, per come emerso dall'istruttoria effettuata in primo grado: la società, dopo aver registrato, durante le operazioni di inventario, la sottrazione di prodotti alimentari, anche di quelli non alla portata della clientela, ha in un primo momento intensificato i controlli sulla merce esposta al pubblico e, successivamente, a causa del persistere del fenomeno, sospettando che i furti fossero da ascrivere a qualche dipendente, ha incaricato un'agenzia investigativa di installare delle telecamere per scoprirne gli autori; i controlli sono stati realizzati con modalità non invasive e pienamente rispettose della libertà e della dignità dei lavoratori, perché, in un primo momento, sono state posizionate all'interno dei locali ma con visuale rivolta all'uscita - al fine di verificare se la sottrazione di merci fosse da ascriversi al comportamento della clientela - e, in un secondo momento, una volta appurata la presenza di ammanchi di merce nel reparto salumeria, sono state poste, in parte, verso il banco salumeria, che riprendeva solo i prodotti e le due affettatrici ed in parte nell'anticamera della salumeria, ove era posta la cella frigorifera ed un banco di lavoro. Tanto è evincibile dalle deposizioni:</p><p><br /></p><p>- del teste Da. Te. (cfr. verbale udienza 14.7.2021), titolare dell'agenzia investigativa D.G.M. cui si è rivolta la G. s.r.l., il quale ha dichiarato: “in una prima fase, le telecamere, occultate, sono state posizionate all'interno dei locali, ma con visuale rivolta all'uscita. In tali circostanze, tuttavia, non era stato notato nulla di anomalo. Abbiamo, allora, analizzato dove si verificavano i predetti ammanchi e abbiamo notato che la maggior parte degli stessi avveniva nel reparto salumeria. Così abbiamo posizionato delle telecamere: una parte rivolta verso il banco salumeria, che riprendeva solo i prodotti e le due affettatrici e non la clientela; una parte invece è stata posta nell'anticamera della salumeria, ove c'era la cella frigorifera ed un banco di lavoro. La cella frigorifera era frequentemente utilizzata dai salumieri... alcune telecamere erano posizionate nell'anticamera che precede i bagni: si tratta di una sala aperta ove sono situati gli armadietti personali dei dipendenti e non vi è distinzione tra reparto maschile e femminile. Poi vi è una stanza successiva, ove invece vi è divisione tra uomini e donne, dedicata a spogliatoio e poi ci sono i bagni. Negli armadietti, i dipendenti depositano i loro effetti personali e li chiudono a chiave. All'interno degli stessi, vi è anche il camice da lavoro, che loro indossano all'inizio del turno e lasciano nell'armadietto alla fine del turno”:</p><p><br /></p><p>- del teste Gi. Co. (cfr. verbale udienza del 14 luglio 2021), direttore del punto vendita “CRAI” all'epoca dei fatti di causa, il quale ha riferito: “ricordo che settimanalmente ci venivano fatti fare gli inventari e che, nella redazione degli stessi, vi erano sempre differenze in diminuzione, perché ad ogni inventario risultava la mancanza di merce . . . ricordo che vi erano sempre differenze nell'inventario”;</p><p><br /></p><p>- del teste Ma. Ma. Sp. (cfr. verbale udienza del 5 novembre 2021), il quale, dopo avere puntualizzato di essere “direttore commerciale della Reggina s.r.l., la G. è una società del gruppo Reggina. Sono da circa dieci anni direttore commerciale della Reggina s.r.l” e, in tale veste, di essere a conoscenza dei fatti di causa, in particolare delle vicende relative agli ammanchi ed agli inventari, ha confermato le circostanze capitolate ai suddetti punti (da 2.5. a 2.9.) precisando:</p><p><br /></p><p><<sul capitolo 2.5) della memoria costitutiva: confermo la circostanza. Periodicamente, circa una volta al mese, il controllo di gestione, affidato ad un consulente della società, fa effettuare una verifica sugli inventari, per vedere se ci sono differenze tra la giacenza “fisica” e quella “virtuale”, risultante appunto dagli inventari. Io, in particolare, mi occupo di controllare questi numeri. Quando le differenze sono importanti rimangono impresse e quella verificatasi presso il centro “Crai” di Catanzaro era importante come differenza. ADR sul capitolo 2.6): confermo la circostanza. Sono a conoscenza che i controlli sono stati intensificati in quanto mi interfaccio con la proprietà, alla quale ho segnalato gli ammanchi di merce. ADR sul capitolo 2.7): confermo la circostanza. Questo emergeva sempre dai riscontri numerici che venivano effettuati. ADR sul capitolo 2.8): confermo la circostanza. La proprietà ha incaricato l'agenzia investigativa e, poi, io stesso mi interfacciavo con la suddetta agenzia>>.</p><p><br /></p><p>Risulta dunque accertato che la scoperta degli ammanchi sia avvenuta in epoca antecedente al conferimento dell'incarico all'agenzia investigativa; la circostanza dell'esistenza degli ammanchi, peraltro, oltre ad essere confermata dalle risultanze della prova testimoniale dianzi analizzata, trova conforto nella documentazione depositata dalla società in allegato alla memoria di costituzione in appello - che la Corte ritiene di acquisire ai sensi dell'art. 437, comma 2, c.p.c., per la sua idoneità a completare il quadro probatorio già definito in primo grado; - ossia le risultanze inventariali del 30.01.2017 e del 20.02.2017 (antecedenti ai fatti contestati) da cui emerge un ammanco rispettivamente per € 7.898,00 e per € 3.610,00 (cfr. doc. 1).</p><p><br /></p><p>Quanto al secondo motivo, è sufficiente evidenziare che, nonostante le evidenti risultanze dei filmati, il lavoratore, dapprima nella fase sommaria e poi nel giudizio di opposizione, fornisce delle spiegazioni non univoche e comunque non supportate da quanto visibile nelle immagini; è palese, infatti, a fronte degli atti di prelevamento e occultamento di merce nelle immagini relative ai fatti contestati, la pretestuosità delle ragioni addotte dal lavoratore: “in merito ai video, forse mi stringo il laccio dei pantaloni o mi sistemo l'intimo poiché ho un neo carnoso che mi reca disturbo” (cfr. dichiarazioni rese, in fase sommaria, all'udienza del 9.1.2019); “In relazione alle immagini delle telecamere di videosorveglianza, non c'è una che mi ritrae in mano una bottiglia di liquore o un pacco di pasta. Addirittura, in un frammento sono ripreso mentre esco dal bagno con la sigaretta in bocca e l'altra mano infilata nel camice, per cui stavo sistemando le sigarette” (cfr. verbale d'udienza del 4.3.2022). Del resto, è del tutto chiaro che i beni che, per come emerge dai filmati, risultano prelevati e occultati dall'odierno reclamante - pur se non perfettamente individuabili -, fossero di proprietà della parte datoriale, visto che si trovavano in luogo (cella frigorifera), per sua natura destinato alla conservazione degli stessi; né il lavoratore ha mai dedotto di avere ivi riposto beni propri e che i filmati lo hanno ripreso nell'atto di riprenderseli; né peraltro giova il riferimento a beni quali “bottiglia di liquore” o “pacco di pasta”, che, invero, non vengono conservati nella cella frogorifera.</p><p><br /></p><p>Il terzo motivo - con cui si eccepisce la sproporzione tra sanzione applicata e contestazione per il solo fatto che l'infrazione non è stata né accertata né tanto meno provata; - rimane assorbito dal rigetto dei primi due, che attengono, invece, alla prova degli illeciti oggetto di contestazione.</p><p><br /></p><p>Con riferimento al quarto motivo, ritiene il Collegio l'irrilevanza dell'accertamento dell'esistenza della prassi aziendale dedotta dal reclamante. Ed invero, come condivisibilmente evidenziato dal giudicante, “..è rimasta generica ed indimostrata la deduzione che il ricorrente abbia affettato i salumi ed i formaggi a seguito di esplicita richiesta di un cliente o di un collega che li avrebbe ritirati o a cui li avrebbe consegnati in un successivo momento: ...non è stato fornito neppure un nominativo del cliente o del collega che avrebbe effettuato la suddetta richiesta; ... la versione del ricorrente contrasta col dato documentale rappresentato dai filmati delle telecamere di videosorveglianza, che dimostrano che il Pa. non ripose i prodotti alimentari in una parte del banco frigo, bensì nella propria borsa e, in una occasione, nel camice indossato”. In altri termini, anche a ritenere provata tale prassi aziendale, il lavoratore, al fine di contrastare i dati indiziari evincibili dalla visione dei filmati, avrebbe dovuto indicare quando e quale cliente o collega gli avesse affidato il compito di confezionare i prodotti per il successivo ritiro, perché, nel prelevarli con tali finalità, abbia riposto tali prodotti nella propria borsa (in un caso) e nel camice (nell'altro); a ciò si aggiunga che, in un'occasione, addirittura il lavoratore non era di turno, sicché non è plausibile che egli sia entrato nella cella frigorifera per prelevare i beni e consegnarli a terzi, ché tale operazione attiene allo svolgimento della prestazione lavorativa in un momento in cui, invece, non era richiesta.</p><p><br /></p><p>Alla luce delle considerazioni che precedono, il reclamo va respinto, con conseguente rigetto dell'opposizione e conferma della sentenza gravata.</p><p><br /></p><p>Le spese del grado di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>P.Q.M.</p><p>la Corte, definitivamente decidendo sul reclamo proposto da Pa. An. nei confronti di G. s.r.l., con atto depositato il 28 luglio 2022, avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 526 del 6 luglio 2022, che ha deciso, rigettandola, l'opposizione spiegata dal medesimo Pa. An. ai sensi dell'art. 1 comma 51^ legge 92/2012, così provvede:</p><p>1) Rigetta il reclamo;</p><p>2) Condanna l'appellante alla rifusione delle spese del grado di lite, che liquida in euro 3000,00, oltre accessori come per legge dovuti;</p><p><br /></p><p>3) dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato dovuto, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, introdotto dall'art. 1 comma 17 L. n. 228/2012, salva verifica del requisito soggettivo di esenzione.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio della Corte di appello, Sezione lavoro, 23 febbraio 2023</p><p><br /></p><p>DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 1 MAR. 2023.</p><p><br /></p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-69685647279715895062023-05-02T12:26:00.002+02:002023-05-02T12:26:14.919+02:00equo indennizzo per illegittima durata del processo davanti a Giudice di Pace<p>Sentenza Corte appello Napoli sez. VII, 02/03/2023</p><p>Fatto</p><p>Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 2 e 3 della L. n. 89/2001, depositato in data 26/7/2022, (omissis) chiedeva alla Corte di Appello di Napoli il riconoscimento di un equo indennizzo per l'eccessiva durata del procedimento svoltosi dinnanzi al Giudice di Pace di Napoli, iniziato con la notifica dell'atto di citazione in data 12/6/2017 e terminato il 14/7/2021, data di deposito della sentenza.</p><p><br /></p><p>L'istanza di indennizzo per equa riparazione da irragionevole durata del giudizio è stata dichiarata inammissibile dal Consigliere delegato della Corte d'Appello di Napoli con decreto n. cronol. 2672/2022 depositato il 27.9.2022, per mancato esperimento del rimedio preventivo consistente nella proposizione dell'istanza di decisione ex art. 281 sexies c.p.c.</p><p><br /></p><p>Parte opponente ha censurato il decreto de quo contestando, sotto vari profili, l'applicabilità della disciplina dell'art. 281 sexies c.p.c. ai giudizi dinnanzi al giudice di pace e, di conseguenza, la necessità del rimedio preventivo suddetto, previsto dall'art. 1 ter, comma 1, L. 24/3/2001 n. 89, come inserito dall'art. 1, comma 777, lett. a), L. 28/12/2015 n. 208, al giudizio presupposto svoltosi innanzi al Giudice di Pace.</p><p>Vi sono, sul punto, due possibili interpretazioni, presenti in divergenti orientamenti giurisprudenziali, per risolvere la questione controversa.</p><p>a) Secondo una prima interpretazione, sostenuta dalla difesa di parte opponente, lo schema di decisione a seguito di trattazione orale ex art. 281 sexties c.p.c. è esclusivo del procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica, come confermato dal "capo III bis - del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica". Inoltre, il legislatore, nel delineare il procedimento innanzi al giudice di pace ex artt. 311 e ss. c.p.c., avrebbe dettato una disciplina autonoma e del tutto peculiare in ragione della diversità ontologica di tale rito rispetto a quello ordinario svolgentesi innanzi al Tribunale ed anche al soppresso Pretore. In particolare, l'art. 321 c.p.c. già prevede la discussione orale come forma unica di trattazione della causa prevista nella fase decisionale. Dunque, negli artt. 319, 320, 321 e 322 sono dettate una serie di disposizioni in tema di costituzione delle parti, trattazione e decisione della causa e conciliazione non contenziosa, che delineano appunto un procedimento speciale ispirato agli obiettivi di concentrazione e celerità della trattazione, che rendono incompatibili i rimedi acceleratori previsti per il Tribunale.</p><p><br /></p><p>Questa interpretazione troverebbe il suo fondamento sia nella sentenza della Corte costituzionale n. 154/1997 secondo la quale "è evidente l'erroneità ... nel ritenere applicabile anche al procedimento innanzi al giudice di pace quel citato regime di preclusioni e decadenze, che è invece incompatibile con la struttura semplificata del rito in esame, la cui disciplina è stata volutamente e non irragionevolmente differenziata da quella del procedimento ordinario", sia nella sentenza della Corte di Cassazione n. 16741 del 24.5.2022 secondo la quale "In tema di equa riparazione, l'art. 1 ter. c. 1 della l. n. 89 del 2001, deve interpretarsi - anche in ossequio al canone che impone di attribuire alla legge, nei limiti in cui ciò sia permesso dal suo testo, un significato conforme alla CEDU - nel senso che non si riferisce al rito del lavoro in quanto l'art. 429 c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. n. 112 del 2008, art. 53, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 133 del 2008 – applicabile ratione temporis - già prevede che il giudice all'udienza di discussione decida la causa e proceda alla lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, in analogia con lo schema dell'art. 281 sexies c.p.c. ".</p><p><br /></p><p>Da ciò conseguirebbe l'inapplicabilità non solo degli artt. 702 bis e ss. c.p.c. innanzi al Giudice di Pace ma anche del rimedio preventivo di cui all'art. 281 sexies c.p.c.</p><p><br /></p><p>b) Secondo l'opposta interpretazione, accolta dal giudice che ha emesso il provvedimento qui opposto, il procedimento ex art. 281 sexies c.p.c. non è previsto soltanto per i procedimenti dinnanzi al Tribunale in composizione monocratica in quanto l'art. 311 c.p.c. contiene un rinvio proprio a quelle norme "relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili"'. L'inserimento dell'art. 281 sexies nel capo III bis intitolato "Del procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica" non può, invero, significare che tali disposizioni siano applicabili esclusivamente in questi ultimi giudizi, dal momento che lo stesso art. 311 citato contiene un rinvio a questo gruppo di norme ed ha, quindi, espressamente previsto la possibilità della loro applicazione ai giudizi davanti al giudice di pace. Le regole relative al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica non sono di per sé incompatibili con la struttura e la funzione tipica del procedimento davanti al giudice di pace. Né potrebbe ritenersi che la previsione di una modalità decisoria, quale quella dell'art. 321 c.p.c., non consenta di estendere il rinvio sopra indicato anche alle norme del giudizio dinnanzi al Tribunale che contemplano forme di decisione diverse. In effetti, l'art. 321 c.p.c. disciplina solo la modalità decisionale generale per i processi di competenza del giudice di pace ma non esclude che siano possibili altre modalità decisorie particolari ed alternative, come quella dell'art. 281 sexies c.p.c. Non può, cioè, configurarsi un conflitto o una qualche incompatibilità tra la regolamentazione contenuta nell'art. 321 c.p.c. e quella disciplinata dall'art. 281 sexies c.p.c., posto che quest'ultimo introduce una modalità decisoria speciale che va ad aggiungersi a quella specifica prevista in via ordinaria per il giudice di pace, offrendo a quest'ultimo altri schemi di definizione del giudizio potenzialmente più utili ed efficaci. Questo orientamento trova fondamento nella sentenza n. 13794/2012 della Cassazione a Sez. Unite, alla luce della quale "alla decisione del giudice di pace si applicano (art. 311 cod. proc. civ.) le norme stabilite per la decisione del Tribunale in composizione monocratica capo terzo - bis, inserito, con efficacia dal 2 giugno 1999, dal D.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, art. 68, che può avvenire a seguito di trattazione scritta o mista - art. 281 quinquies c.p.c., analogo all'art. 275 c.p.c., per la deliberazione collegiale del Tribunale - o a seguito di discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. ".</p><p><br /></p><p>Seguendo questa tesi, vi sarebbe spazio per l'applicazione del rimedio preventivo della richiesta di trattazione ex art. 281 sexies c.p.c. nei giudizi innanzi al giudice di pace, anche se è già prevista per essi la discussione orale come regola della fase decisionale. Mentre nello schema decisorio dell'art. 281 sexies c.p.c. la sentenza viene emessa nella stessa udienza di discussione mediante lettura del dispositivo e della motivazione al termine della discussione orale, al contrario il deposito della sentenza ai sensi dell'art. 321 c.p.c. non è contestuale ma deve essere effettuato in cancelleria nel termine di 15 giorni dalla discussione, con consequenziale applicazione dell'art. 133 c.p.c. sulla pubblicazione e comunicazione della sentenza, anche ai fini della decorrenza del termine lungo per l'impugnazione ai sensi dell'art. 327 c.p.c.</p><p><br /></p><p>La differenza tra i due modelli decisori si apprezza, infatti, nella previsione nei procedimenti davanti al giudice di pace di un termine per la decisione, peraltro di natura meramente ordinatoria, e nella diversa modalità di redazione e di deposito della sentenza, che si riflette anche sul decorso del termine lungo di impugnazione.</p><p><br /></p><p>Il richiamo, poi, dell'opponente alla sentenza della Corte di Cassazione n. 16741 del 24.5.2022 non sarebbe risolutivo ma finirebbe per confermare la soluzione interpretativa qui esposta. Significativo, infatti, è che la Cassazione da un lato ha precisato che solo per effetto della nuova formulazione lo schema procedurale dell'art. 429 c.p.c. è sostanzialmente identico a quello dell'art. 281 sexies c.p.c. e non vi sarebbe, quindi, alcuna possibilità né utilità di una istanza sollecitatoria della parte, ma dall'altro ha anche ricordato, nel contempo, che l'applicabilità di quest'ultimo al rito del lavoro si affermava per la vecchia formulazione dell'art. 429 c.p.c., perché non era qui prevista la lettura della motivazione in udienza contestualmente alla lettura del dispositivo. Un'analogia, dunque, la si può rinvenire, non tra la forma decisoria dell'art. 321 c.p.c. e quella del nuovo art. 429 c.p.c., ritenuta quest'ultima equivalente a quella dell'art. 281 sexies c.p.c. dalla Suprema Corte nella sentenza sopra esaminata, ma tra il modello decisorio del giudice di pace ex art. 321 c.p.c. e quello del previgente art. 429 c.p.c., ritenuto invece, nella stessa sentenza, compatibile con l'art. 281 sexies c.p.c.</p><p><br /></p><p>L'elemento strutturale e caratterizzante della sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. non è tanto la discussione orale bensì la contestualità tra l'esito della stessa ed il deposito della sentenza, con effetti anche sul dies a quo del termine lungo per l'impugnazione, e proprio tale elemento per un verso la differenzia rispetto al modello decisorio dell'art. 321 c.p.c., e per altro verso l'accomuna a quello attuale del rito del lavoro.</p><p><br /></p><p>Con la conseguenza che solo per il primo e non anche per il secondo persiste la necessità di ricorrere al rimedio preventivo in esame.</p><p><br /></p><p>Ciò posto, sussistono, allora, i presupposti necessari per disporre il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c., richiesto anche dall'opponente, per la risoluzione della questione di solo diritto sopra richiamata:</p><p><br /></p><p>1) la questione controversa è essenziale ai fini della definizione del presente giudizio in quanto aderendo alla seconda soluzione interpretativa l'opposizione verrebbe interamente rigettata, mentre avallando la prima deriverebbe la fondatezza, quantomeno parziale, della opposizione e della pretesa di parte ricorrente. Non risulta, poi, alcun precedente giurisprudenziale della Suprema Corte al riguardo.</p><p><br /></p><p>2) vi sono, come sopra evidenziato, gravi difficoltà interpretative;</p><p><br /></p><p>3) la questione è stata già affrontata in numerosi giudizi innanzi alla presente Corte d'Appello, con difformità interpretative, ed è sicuramente suscettibile di porsi in numerosi altri giudizi anche in considerazione del crescente numero di ricorsi ex L. 89/2001 per procedimenti dinnanzi al giudice di pace ora temporalmente rientranti nell'ambito di applicazione dell'l-ter, ovvero giudizi che alla data del 31.10.2016 non avevano superato la ragionevole durata di cui all'articolo 2 o, in ogni caso, processi iniziati in una data successiva.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p><br /></p><p>La Corte di Appello di Napoli, settima sezione civile, ai sensi dell'art. 363 bis c.p.c.:</p><p><br /></p><p>dispone il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione della rilevata questione di diritto.</p><p><br /></p><p>Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte di Cassazione e sospende contestualmente il giudizio in corso.</p><p><br /></p><p>Manda alla Cancelleria per la comunicazione della presente ordinanza alle parti.</p><p><br /></p><p>Così deciso in Napoli in camera di consiglio il 02/03/2023.</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-29179204828818459312023-05-02T12:24:00.001+02:002023-05-02T12:24:02.382+02:00sentenza sull'ammissione delle istanze istruttorie<p> Sentenza Corte appello Milano sez. lav., 03/03/2023, (ud. 27/02/2023, dep. 03/03/2023), n.252</p><p><br /></p><p><br /></p><p>Fatto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>Con sentenza pubblicata il 10 ottobre 2022, il Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nelle cause riunite n. 1819/2022 R.G. e n. 1906 /2022 R.G., ha respinto le opposizioni proposte da A. S.p.a. e da A.M.D.G. avverso l'ordinanza resa inter partes in data 3 febbraio 2022, all'esito della fase sommaria del procedimento ex art. 1, comma 48 e ss., legge 28 giugno 2012 n. 92.</p><p><br /></p><p>Ha trovato così conferma l'ordinanza sommaria che, in parziale accoglimento delle domande proposte da A.M.D.G., aveva dichiarato l'illegittimità del provvedimento di destituzione adottato nei confronti di quest'ultimo da A. S.p.a. ed ordinato alla società di provvedere all'immediata reintegrazione in servizio del lavoratore, nelle mansioni precedentemente ricoperte, ed alla corresponsione di un'indennità risarcitoria dal giorno della destituzione all'effettiva reintegrazione nel massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto al tallone mensile di € 2.510,03, oltre alla regolarizzazione contributiva ed assicurativa ed ai relativi interessi, dedotto quanto nel frattempo eventualmente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative.</p><p><br /></p><p>L'ordinanza (anche sul punto confermata dalla sentenza conclusiva del giudizio a cognizione piena) aveva, invece, respinto la domanda di corresponsione della retribuzione per i mesi in cui il lavoratore era stato sospeso dallo stipendio e dal servizio ai sensi dell'art. 46 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 (dal 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020), come pure la domanda, svolta in via subordinata, di erogazione per tale periodo dell'assegno alimentare.</p><p><br /></p><p>Nel ricorso introduttivo del giudizio A.M.D.G. aveva dedotto che:</p><p><br /></p><p>- quale dipendente di A. S.p.a. dal 23 giugno 1999, da ultimo addetto alla security aziendale, sin dal 2012 aveva inviato ai propri superiori P. e B., quindi il 10 novembre 2017 al Sindaco di Milano G. S., a seguire all'organismo interno di vigilanza del gruppo A. e, infine, ai Carabinieri di Milano, plurime segnalazioni, con le quali aveva denunciato irregolarità ed illeciti commessi dagli addetti all'ufficio A. Point, relativi alla clonazione di biglietti e abbonamenti di viaggio, emessi senza essere contabilizzati;</p><p><br /></p><p>- nonostante le reiterate segnalazioni, i destinatari delle stesse non avevano assunto alcuna valida iniziativa, limitandosi, in un secondo momento, a destituire i dipendenti di grado inferiore e preservando i vertici (quadri e dirigenti), pur parimenti coinvolti negli illeciti;</p><p><br /></p><p>- se, da un lato, l'azienda non aveva dato adeguato seguito alle segnalazioni del ricorrente, dall'altro lato aveva iniziato a renderlo destinatario di alcune contestazioni disciplinari culminate nell'atto di destituzione di cui è causa;</p><p><br /></p><p>- in particolare, con procedimento disciplinare n. 60657 dell'1 giugno 2018, gli era stata contestata la sostituzione di persona, sull'assunto che avesse sottoscritto, con il nome del dott. B. e del sig. S., due esposti presentati alla Procura della Repubblica di Milano;</p><p><br /></p><p>- il procedimento penale avviato per i medesimi fatti si era però concluso con sentenza di assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste", non essendovi prova dell'attribuibilità dei predetti scritti alla mano del ricorrente;</p><p><br /></p><p>- con successivo procedimento disciplinare n. (omissis) avviato con lettera di contestazione del 22 giugno 2018, gli erano stati contestati fatti avvenuti la mattina del 13 giugno 2018 presso gli uffici del terzo piano della sede della società in Milano, viale S.;</p><p><br /></p><p>- secondo quanto riportato nella lettera di contestazione, il 13 giugno 2018 al ricorrente era stata consegnata una busta dal sig. C.; aperta la busta, A.M.D.G. si era reso responsabile di insulti e minacce di morte nei confronti del funzionario dr. M. B. e del sig. M.; il ricorrente era stato poi colto da malore ed era stato, perciò, richiesto l'intervento del 118; il lavoratore, tuttavia, si era rifiutato di sottoporsi agli accertamenti medici; erano altresì giunti sul posto i Carabinieri, ai quali A.M.D.G. aveva fornito informazioni e chiarimenti in tono più pacato; successivamente aveva affermato dinanzi al superiore gerarchico ing. Z.: "non mi calmo finché non vedo B. sotto terra";</p><p><br /></p><p>- nonostante le giustificazioni rese dal dipendente in data 5 luglio 2018, il 12 luglio 2018 A. S.p.a. aveva sospeso il procedimento disciplinare, per poi riattivarlo in data 8 febbraio 2019, formulando contestualmente, nei confronti del lavoratore, l'opinamento della destituzione dal servizio;</p><p><br /></p><p>- con lettera prot. (omissis) del 21 febbraio 2019 la società aveva respinto integralmente le giustificazioni di A.M.D.G., confermando l'opinamento della destituzione dal servizio e procedendo anche alla sospensione preventiva del dipendente dal servizio e dalla paga;</p><p><br /></p><p>- la decisione era stata impugnata avanti al Consiglio di disciplina, che si era riunito solo 18 mesi dopo la presentazione del ricorso e si era pronunciato con provvedimento prot. 2539 del 2 gennaio 2020, rigettando il ricorso e confermando la destituzione;</p><p><br /></p><p>- nelle more il ricorrente non aveva ricevuto la retribuzione, né l'assegno alimentare;</p><p><br /></p><p>- A. S.p.a., nel frattempo, aveva avviato nei suoi confronti altri due procedimenti disciplinari;</p><p><br /></p><p>- il provvedimento di destituzione era viziato sotto plurimi profili: era affetto da nullità in quanto intervenuto ben 19 mesi dopo la lettera di contestazione, con conseguente violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, nonché per violazione dell'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, per omessa redazione della relazione scritta; era altresì affetto da nullità, al pari degli atti prodromici, per violazione dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, in quanto successivo alle plurime denunce e segnalazioni presentate dal ricorrente nella sua veste di whistleblower; le condotte contestate erano del tutto insussistenti e, comunque, non tali da integrare la giusta causa di licenziamento, ma, semmai, l'adozione di una sanzione conservativa.</p><p><br /></p><p>Il Tribunale ha espletato, nella fase sommaria del giudizio, istruttoria testimoniale in relazione ai fatti del 13 giugno 2018, oggetto del procedimento disciplinare n. (omissis), contestati con lettera del 22 giugno 2018.</p><p><br /></p><p>Ha disatteso, in via preliminare, le eccezioni concernenti l'asserita omissione della relazione scritta ex art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 e l'eccessiva durata del procedimento (pari a complessivi 19 mesi) tra la contestazione disciplinare e la pronuncia del Consiglio di disciplina.</p><p><br /></p><p>Ha poi respinto le doglianze relative alla presunta violazione dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, in quanto i fatti segnalati da A.M.D.G. (emissione di biglietti e abbonamenti non contabilizzati) erano diversi ed estranei ai fatti addebitati con il procedimento disciplinare sfociato nella destituzione dal servizio, sussistendo tra i due al più un mero collegamento temporale, il che – ad avviso del primo giudice - escluderebbe parimenti la lamentata ritorsività e pretestuosità della contestazione disciplinare.</p><p><br /></p><p>Ha ritenuto, invece, fondata la censura inerente l'insussistenza dei fatti contestati che, all'esito dell'istruttoria svolta, ha ritenuto non essere stati adeguatamente provati, anche in ragione delle divergenze tra le deposizioni testimoniali.</p><p><br /></p><p>Avverso la sentenza, integralmente confermativa dell'ordinanza resa all'esito della fase sommaria, ha proposto reclamo A. S.p.a., rubricato al n. 1231/2022 R.G..</p><p><br /></p><p>Con un unico articolato motivo, la società lamenta illogicità e contraddittorietà della motivazione per omessa attività istruttoria nella fase di opposizione.</p><p><br /></p><p>Nell'ottica del gravame il Tribunale avrebbe dovuto ammettere le istanze istruttorie formulate dalla società in detta fase, al fine di chiarire le numerose contraddizioni tra le dichiarazioni acquisite in sede di istruttoria interna, le sommarie informazioni testimoniali rese nel procedimento penale e le testimonianze assunte nella fase sommaria del procedimento ex art. 1, commi 48 e ss., legge 28 giugno 2012 n. 92.</p><p><br /></p><p>Ad avviso della reclamante il Tribunale, ove non avesse ritenuto raggiunta la prova dei fatti contestati, avrebbe dovuto procedere al confronto ex art. 254 c.p.c. tra i testi C., S., L. V. e C. e tra i testi C. e Z., nonché all'assunzione di ulteriori testimonianze di lavoratori presenti sul posto (quali L. A. e S. M.), le cui dichiarazioni erano state raccolte da A. S.p.a. in occasione dell'istruttoria interna e versate in atti.</p><p><br /></p><p>Parte reclamante giudica contraddittoria la pronuncia in quanto il primo giudice, pur avendo reputato che nella fase sommaria A. S.p.a. non avesse fornito una prova sufficientemente certa dei fatti, inspiegabilmente nella fase a cognizione piena aveva ritenuto di poter decidere allo stato degli atti, affermando che l'istruttoria della prima fase aveva fornito "utili e significativi elementi per la decisione, senza necessità di mutuarli altrove", in tal modo precludendo ingiustamente alla società la possibilità di raggiungere la prova piena dei fatti.</p><p><br /></p><p>Il reclamo ripercorre analiticamente i passaggi della contestazione disciplinare e gli addebiti ivi enucleati, lamentando un sostanziale malgoverno delle prove da parte del Tribunale, con conseguente errata ricostruzione dei fatti.</p><p><br /></p><p>In particolare, evidenza che ben quattro testi presenti (S., C., C. e C.) avevano confermato che l'intervento dei Carabinieri era stato determinato dalle minacce di A.M.D.G. nei confronti del dott. B..</p><p><br /></p><p>Si duole dell'omessa pronuncia in relazione agli epiteti offensivi e agli insulti proferiti da A.M.D.G. nei confronti dei propri superiori gerarchici (segnatamente del dott. B.), con condotta da ritenersi in contrasto anche con i precetti imposti dal Codice Etico.</p><p><br /></p><p>Da ultimo, lamenta l'omessa pronuncia in merito al denunciato l'errore materiale dell'ordinanza circa la data della destituzione dal servizio (erroneamente indicata nel giorno 2 gennaio 2020, in luogo del 20 gennaio 2020), che chiede di emendare in questa sede.</p><p><br /></p><p>Sulla base delle argomentazioni esposte A. S.p.a. ha chiesto la riforma della sentenza impugnata e l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte.</p><p><br /></p><p>Costituendosi ritualmente in giudizio, A.M.D.G. ha contestato il gravame avversario, di cui ha chiesto il rigetto.</p><p><br /></p><p>Il lavoratore ha altresì proposto autonomo reclamo avverso la sentenza (rubricato al n. 1237/2022 R.G.), affidandosi a tre motivi.</p><p><br /></p><p>Con il primo motivo lamenta errata interpretazione della legge 30 novembre 2017 n. 179, dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e dell'art. 21 della Direttiva n. 1937/2019/UE.</p><p><br /></p><p>Critica la sentenza laddove ha ritenuto che, per potersi definire ritorsivo, il provvedimento datoriale successivo alla segnalazione del whistleblower deve avere ad oggetto gli stessi fatti della segnalazione, giacché – si sostiene – ciò equivarrebbe ad un'abrogazione in via giurisprudenziale della disciplina di legge.</p><p><br /></p><p>Ribadisce come a partire dall'1 giugno 2018 si siano susseguiti contestazioni disciplinari, denunce penali, demansionamenti, provvedimenti di sospensione ai suoi danni, sino ad arrivare all'impugnata destituzione dal servizio, in un'incessante sequenza anche cronologicamente successiva alla maggior parte delle segnalazioni presentate dal lavoratore.</p><p><br /></p><p>Ad avviso di A.M.D.G., in un'ottica di tutela piena ed effettiva del c.d. whistleblower gli atti datoriali sono da ritenersi nulli per il semplice fatto di essere successivi alle segnalazioni di illeciti ex art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, salvo prova contraria, come si ricaverebbe anche dall'art. 21 della Direttiva n. 1937/2019/UE.</p><p><br /></p><p>Dalla denunciata nullità della destituzione dal servizio discenderebbe l'applicazione delle tutele di cui all'art. 18, comma 1, legge 20 maggio 1970 n. 300 o dell'art. 2 d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23.</p><p><br /></p><p>Con il secondo motivo impugna il capo di sentenza che ha respinto le censure avverso il provvedimento di destituzione per omessa redazione della relazione disciplinare scritta prevista dall'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, nonché per violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, in relazione alla tardività e/o rinuncia e/o decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare, desumibile dal lungo lasso di tempo intercorso tra la data di contestazione dell'addebito e la data di comunicazione del provvedimento di destituzione dal servizio.</p><p><br /></p><p>Richiama gli argomenti svolti nel giudizio di primo grado, evidenziando come la relazione disciplinare scritta prevista dall'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 sia stata esibita da A. S.p.a. per la prima volta in sede di costituzione in giudizio, con un documento contestato dalla difesa del lavoratore.</p><p><br /></p><p>Ribadisce che le fasi del procedimento non possono essere omesse o concentrate, pena la violazione dell'iter legislativo previsto per l'irrogazione della sanzione disciplinare.</p><p><br /></p><p>In quest'ottica, ove l'anteriorità della relazione di servizio rispetto all'opinamento della destituzione dal servizio sia incerta o risulti provato addirittura il contrario, il giudice, in applicazione rigorosa dell'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 in combinato disposto con l'art. 2697 c.c., considerata l'incombenza dell'onere probatorio tutto a carico del datore di lavoro, dovrebbe dichiarare la nullità del procedimento disciplinare.</p><p><br /></p><p>Secondo la difesa del lavoratore, dalla deposizione del teste G. emergerebbe la concentrazione delle due fasi (redazione della relazione di servizio e formazione dell'opinamento).</p><p><br /></p><p>Inoltre, nessuna data risulta apposta all'asserita relazione di servizio prodotta in atti dalla società, nonostante la legge ne richieda la forma scritta ad substantiam.</p><p><br /></p><p>Reitera l'istanza, già formulata nel giudizio di primo grado, di acquisire presso i sistemi informatici di A. S.p.a. i tabulati indicanti la data e l'ora di creazione e di stampa del file relativo alla relazione di servizio, al fine di accertare la data di redazione della stessa.</p><p><br /></p><p>Anche dai vizi suindicati, secondo la tesi del lavoratore, deriverebbe l'applicazione delle tutele di cui all'art. 18, comma 1, legge 20 maggio 1970 n. 300.</p><p><br /></p><p>Con il terzo motivo censura la sentenza laddove ha respinto la richiesta di pagamento della retribuzione maturata nel periodo 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020, lamentando errata applicazione dell'art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 in relazione al provvedimento di sospensione preventiva dal servizio e dalla paga, disposto dalla datrice di lavoro con missiva prot. (omissis) del 21 febbraio 2019.</p><p><br /></p><p>Deduce che la sentenza, avendo accertato l'insussistenza dei fatti disciplinarmente contestati, avrebbe dovuto per logica conseguenza accogliere l'istanza di restituzione delle retribuzioni indebitamente trattenute per l'intero periodo di sospensione.</p><p><br /></p><p>Ciò a maggior ragione alla luce dell'assoluzione con formula piena del lavoratore per i medesimi fatti, oggetto del parallelo processo penale dinanzi al Tribunale di Milano.</p><p><br /></p><p>Sulla base dei motivi esposti A.M.D.G. ha chiesto la parziale riforma della sentenza di primo grado e l'accoglimento delle conclusioni sopra richiamate.</p><p><br /></p><p>A. S.p.a. si è costituita ritualmente in giudizio, insistendo per il rigetto del gravame avversario.</p><p><br /></p><p>All'udienza del 16 febbraio 2023, dichiarata la contumacia del Consiglio di disciplina A. S.p.a., disposta la riunione dei procedimenti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., il Collegio, all'esito della discussione orale, ha trattenuto la causa in decisione, riservando il deposito della sentenza nei termini di legge.</p><p><br /></p><p>Il reclamo proposto da A. S.p.a. non può accoglimento.</p><p><br /></p><p>Il reclamo proposto da A.M. D.A. è fondato e merita accoglimento limitatamente al terzo motivo, inerente il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dal 19 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020 ai sensi dell'art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.</p><p><br /></p><p>Prendendo le mosse dal reclamo di A. S.p.a., è opportuno richiamare preliminarmente il contenuto della contestazione disciplinare in data 22 giugno 2018, avente il seguente tenore: "Il giorno 13.6.2018, alle ore 9.00 circa, nel suo ufficio sito al terzo piano della sede di Viale S., Le veniva consegnata dal sig. C. una busta a Lei indirizzata, pervenuta tramite posta interna al Settore Security presso il quale lei opera.</p><p><br /></p><p>Tale busta era collocata nella apposita borsa del servizio di posta interna che, in tale giornata è stata eccezionalmente stata fatta rinvenire nell'ufficio del sig. C., diversamente dalla prassi consolidata per la quale normalmente viene depositata presso la portineria perché un incaricato dell'ufficio provveda direttamente al ritiro.</p><p><br /></p><p>Una volta aperta la busta consegnata a sue mani, Lei affermava "guarda cosa hanno fatto questi, cosa hanno scritto, ora gli faccia vedere io… chiamo i Carabinieri…", ed effettivamente effettuava una chiamata agli stessi. Presa conoscenza del fatto che i militari non sarebbero intervenuti, Lei iniziava ad inveire con voce alta e tono via via più minaccioso contro il Funzionario dr. M. B. utilizzando reiteratamente, espressioni di esplicita minaccia quali "ora esco dall'ufficio e vado presso l'abitazione di B. e gliela faccio pagare, vado e lo ammazzo", "non vado io di persona ma mando un mio conoscente", sottolineando sempre la finalità di uccidere il Dr. B..</p><p><br /></p><p>Successivamente, con stato di ira crescente, Lei veniva colto da malore e pertanto veniva richiesto l'intervento del 118.</p><p><br /></p><p>All'arrivo dei soccorritori, rifiutava ogni intervento sanitario e nonostante l'insistenza di questi, rifiutava anche la rilevazione dei parametri medici (es. pressione sanguigna).</p><p><br /></p><p>Nella stessa circostanza, rivolto ai presenti, pronunciava frasi del tipo: "guarda questi cosa mi hanno fatto, mi hanno voluto rovinare…" oltre ad insulti quali "..".</p><p><br /></p><p>Sopraggiunto nel Suo ufficio il Dr. C., allarmato dalle urla e dall'arrivo dei paramedici, Lei si rivolgeva a quest'ultimo, agitando un plico cartaceo, dichiarando "guarda con che gente di merda lavoravi" evidentemente riferendosi ai colleghi della Direzione del Personale della quale il dr. C. ha fatto lungamente parte. Affermava altresì: "adesso prendo il fucile ed ammazzo M. e B.". Il Dr. C. si allontanava senza risponderLe.</p><p><br /></p><p>In ragione delle reiterate minacce di cui sopra formulate anche attraverso espressioni quali "esco di qua e lo uccido" rivolte sempre al dr. B., i sanitari del 118 ritenevano necessario richiedere l'intervento delle Forze dell'ordine, che in pochi minuti giungevano sul posto.</p><p><br /></p><p>Alla vista dei Carabinieri, Lei si calmava e, lucidamente e con eloquio pacato, forniva informazioni e chiarimenti ai militari.</p><p><br /></p><p>A seguire, giungeva il suo superiore gerarchico ing. Z., precedentemente impegnato presso altra sede aziendale, che si avvicinava a Lei per accertarsi delle sue condizioni ed alle sue domande su cosa stesse succedendo, Lei rispondeva "se vogliono giocare pesante anche io posso giocare pesante".</p><p><br /></p><p>Successivamente, il Dr. C. la raggiungeva nuovamente presso la Sua postazione di lavoro, ove si trovava seduto, e Le chiedeva cosa fosse accaduto.</p><p><br /></p><p>Lei, con atteggiamento più calmo rispetto a pochi minuti prima, rispondeva, ripetendo più volte: "sono dei delinquenti", "ho una lettera arrivata per posta interna … ci sono i suoi documenti e le lettere del capo di imputazione …", "… quella roba della Procura l'ha fatta tutta lui", riferendosi al Dr. B., del quale Lei mostrava una copia a colori della carta di identità. Continuava inoltre dicendo: "è lui che ha organizzato tutto, che mi ha fatto fare il rinvio a giudizio, questo coglione". Alla domanda di che cosa fosse la documentazione che mostrava, rispondeva "è roba che hanno trovato sulla sua scrivania, sono i suoi documenti di identità che qualcuno ha preso dalla sua scrivania e me li hanno mandati".</p><p><br /></p><p>Dopo di che Lei si allontanava dalla sua postazione per recarci ai servizi igienici.</p><p><br /></p><p>Più tardi, il Suo superiore, ing. Z., dopo aver congedato i sanitari e i carabinieri, rientrava nel Suo ufficio per sincerarsi personalmente del suo stato, anche se oramai appariva visibilmente tranquillo e privo dei sintomi manifestati precedentemente. Alla richiesta se si fosse oramai calmato, lei replicava testualmente "io non mi calmo finché non vedo B. sottoterra".</p><p><br /></p><p>Alla luce di quanto sopra Le contestiamo quindi di essersi reso responsabile, anche in violazione delle norme del Codice Etico, dei comportamenti sopra descritti e in particolare di aver proferito ingiurie e gravi minacce nei confronti di colleghi e superiori ponendo in essere condotte anche di possibile rilevanza penale" (cfr. doc. 19 fascicolo A.M.D.G. di primo grado).</p><p><br /></p><p>La disamina del materiale probatorio in atti, frutto di ampia ed approfondita attività istruttoria, porta il Collegio a ritenere, in accordo con la valutazione espressa dal Tribunale, che i fatti oggetto di contestazione disciplinare non risultino sufficientemente dimostrati.</p><p><br /></p><p>A sostegno del primo addebito oggetto di contestazione ("Lei iniziava ad inveire con voce alta e tono via via più minaccioso contro il Funzionario dr. M. B. utilizzando reiteratamente, espressioni di esplicita minaccia quali "ora esco dall'ufficio e vado presso l'abitazione di B. e gliela faccio pagare, vado e lo ammazzo", "non vado io di persona ma mando un mio conoscente", sottolineando sempre la finalità di uccidere il Dr. B."), vi è la sola deposizione testimoniale di M. C. (dipendente di A. S.p.a. dal 2006 con mansioni di impiegato), il quale ha peraltro riferito di non aver sentito A.M.D.G. proferire il nome di B., ma di averlo sentito pronunciare solo la seguente frase: "vado presso l'abitazione e lo ammazzo, anzi non vado io personalmente, ma mando qualcun altro".</p><p><br /></p><p>La testimonianza, dunque, non conferma che A.M.D.G. formulò una "esplicita minaccia" "contro il Funzionario dr. M. B.", come riportato nella lettera di contestazione: secondo M. C., infatti, il destinatario della minaccia non venne nominato ed il teste lo individuò in M. B. perché, in quel momento, A.M.D.G. aveva in mano la copia di un documento di identità di quest'ultimo (cfr. verbale della testimonianza assunta all'udienza del 9 febbraio 2021).</p><p><br /></p><p>Al di là di tale aspetto, ciò che più rileva è che la testimonianza di M. C. è contraddetta – nella parte in cui il teste riferisce che A.M.D.G. avrebbe pronunciato le frasi "vado presso l'abitazione e lo ammazzo, anzi non vado io personalmente, ma mando qualcun altro" – dalla testimonianza di P. L. V. (all'epoca dei fatti dipendente della società, in pensione dall'1 marzo 2019), il quale, presente nello stesso momento all'interno dell'ufficio in cui si trovavano C. e A.M.D.G., ha escluso che quest'ultimo abbia pronunciato le frasi in questione (cfr. deposizione di L. V. assunta all'udienza del 9 febbraio 2021: "dopo aver aperto la busta, il ricorrente ricordo abbia detto: guarda cosa hanno fatto questi, cosa hanno scritto, ora gliela faccio vedere io, chiamo i Carabinieri"; escluso, invece, che abbia detta l'ulteriore frase: "ora esco e vado presso l'abitazione di B., gliela faccio pagare, vado e l'ammazzo, anzi non vado di persona, ma mando un mio conoscente […] Mi viene detto quanto riferito dal teste C. che ha riportato la frase detta da A.M.D.G. al momento in cui ha ricevuto la lettera, io non l'ho sentita").</p><p><br /></p><p>In relazione all'episodio in questione, ossia alla contestata pronuncia delle frasi "ora esco dall'ufficio e vado presso l'abitazione di B. e gliela faccio pagare, vado e l'ammazzo", "non vado io di persona ma mando un mio conoscente" (astrattamente integranti il reato di minaccia previsto e punito dall'art. 612 c.p.), A.M.D.G. è stato, inoltre, assolto in sede penale "perché il fatto non sussiste", con sentenza del Tribunale di Milano n. 8496/2021, pronunciata a seguito di dibattimento e divenuta irrevocabile il 23 dicembre 2021 (cfr. doc. 66 fascicolo A.M.D.G. di primo grado).</p><p><br /></p><p>Anche per l'ulteriore episodio di minacce, indicato nella contestazione disciplinare come avvenuto nella mattina del 13 giugno 2018 alla presenza del dr. C. ("Sopraggiunto nel Suo ufficio il Dr. C., allarmato dalle urla e dall'arrivo dei paramedici, Lei si rivolgeva a quest'ultimo, agitando un plico cartaceo, dichiarando "guarda con che gente di merda lavoravi" evidentemente riferendosi ai colleghi della Direzione del Personale della quale il dr. C. ha fatto lungamente parte. Affermava altresì: "adesso prendo il fucile ed ammazzo M. e B.". Il Dr. C. si allontanava senza risponderLe"), A.M.D.G. è stato assolto in sede penale dal Tribunale di Milano (anche in tal caso con la formula "perché il fatto non sussiste"), sempre con sentenza n. 8496/2021, passata in giudicato.</p><p><br /></p><p>In relazione ad entrambi gli episodi richiamati la sentenza penale di assoluzione ha valorizzato le dichiarazioni dei testimoni oculari S. e L.V., che hanno escluso la pronuncia di frasi minatorie, "secondo una narrazione che perfettamente si attaglia alle risultanze dell'annotazione di P.G. sull'intervento del 13 giugno 2018 nonché alle affermazioni dei paramedici acquisite sull'accordo delle parti (atti tutti privi di riferimento a contegni minacciosi)".</p><p><br /></p><p>Ed in effetti, anche dall'istruttoria svolta nel primo grado del presente giudizio emerge che gli operanti di polizia giudiziaria, intervenuti sul posto, non riscontrarono alcun episodio di minacce. Come riferito dall'appuntato scelto V. F. nel corso dell'esame testimoniale, ove vengano riferite minacce gli operanti sono tenuti a darne evidenza nell'annotazione di servizio; nel caso di specie l'annotazione di servizio non dà conto di alcuna minaccia (cfr. deposizione di V. F., escusso come teste all'udienza del 27 luglio 2021: "in mia presenza non ho sentito minacce, noi abbiamo l'obbligo di verbalizzare nell'annotazione di servizio quanto non solo sentiamo con le nostre orecchie, ma anche quanto ci viene riferito. Nel caso specifico non abbiamo verbalizzato di minacce").</p><p><br /></p><p>Significativa è anche la deposizione del vice brigadiere C. T. (intervenuto il 13 giugno 2018 insieme al collega F. ed escusso come teste all'udienza del 18 ottobre 2021), il quale ha riferito: "C. mi spiegò la ragione della richiesta del nostro intervento, ovvero lo stato di agitazione ed il timore che si buttasse dalla finestra, non mi dissero né C. né Z., che il A.M.D.G. aveva proferito, prima del mio intervento, minacce.</p><p><br /></p><p>Mentre ero presso A. ho poi parlato con A.M.D.G. il quale mi ha riferito quello che era successo, era calmo, non ha mai proferito minacce, non ha mai fatto nomi di persone".</p><p><br /></p><p>A fronte di tale compendio probatorio, dato atto dell'evidenziata divergenza tra le deposizioni dei testi C. e L.V., merita di essere pienamente condiviso il giudizio del Tribunale, che ha ritenuto non raggiunta la prova dei due episodi esaminati.</p><p><br /></p><p>Né a diverse conclusioni può giungersi, con riguardo al secondo episodio di minacce contestato, in forza delle sole dichiarazioni del teste L. C. ("confermo che, bandendo in mano delle carte, il ricorrente, guardandomi in faccia, mi disse: "guarda con che gente di merda lavoravi, adesso prendo il fucile e ammazzo M. e B.", cfr. testimonianza assunta all'udienza del 9 febbraio 2021).</p><p><br /></p><p>Tali dichiarazioni, infatti, confliggono con le opposte risultanze del dibattimento penale e risultano incompatibili con le richiamate deposizioni degli operanti di P.G., secondo cui nessuno dei presenti riferì loro episodi di minacce.</p><p><br /></p><p>Non solo, infatti, L. C. non riferì agli operanti l'episodio in esame, ma neppure lo fecero gli operatori del 118 in presenza dei quali, secondo lo stesso C., A.M.D.G. avrebbe pronunciato le frasi in questione. Di tali frasi, tra l'altro, l'operatrice del 118 sentita come teste (C. L. B.) risulta non aver serbato alcun ricordo (cfr. verbale della testimonianza assunta all'udienza del 26 luglio 2021).</p><p><br /></p><p>Non è emersa poi alcuna prova del fatto che, secondo quanto affermato nella contestazione disciplinare, "in ragione delle reiterate minacce di cui sopra formulate anche attraverso espressioni quali "esco di qua e lo uccido" rivolte sempre al dr. B., i sanitari del 118 ritenevano necessario richiedere l'intervento delle Forze dell'ordine, che in pochi minuti giungevano sul posto".</p><p><br /></p><p>Ed infatti, la teste C. L. B. ha dichiarato di non ricordare per quale ragione avesse chiesto l'intervento delle forze dell'ordine (che, come riferito dalla stessa teste, di solito vengono chiamate "per timore di atti autolesionistici o per possibili atti pericolosi verso terzi, oppure per entrambe le ragioni"), ed ha precisato che "quando chiediamo l'intervento delle forze dell'ordine dobbiamo spiegare i motivi".</p><p><br /></p><p>Dal momento che, come già evidenziato, gli operanti di P.G. intervenuti hanno dichiarato che, se fossero stati riferiti loro episodi di minacce, questi risulterebbero dall'annotazione di servizio (che invece non ne fa menzione), deve conseguentemente escludersi che gli operatori del 118 abbiano richiesto l'intervento delle forze dell'ordine "in ragione delle reiterate minacce" di A.M.D.G., come invece dedotto nella contestazione disciplinare.</p><p><br /></p><p>In forza di quanto precede il Collegio reputa superflua l'escussione a teste di L. A. (di cui A. S.p.a. lamenta la mancata escussione da parte del primo giudice), atteso che, stando alla dichiarazione raccolta dalla società nel corso dell'indagine interna, la testimonianza dovrebbe vertere su quanto L. A. avrebbe sentito dire dall'operatrice del 118 al dr. S. in ordine ai motivi della richiesta di intervento delle forze dell'ordine (cfr. dichiarazione di L. A. allegata sub doc. 33 fascicolo A. di primo grado: "sentivo e vedevo l'operatrice del 118 davanti all'ufficio del Sig. A.M.D.G., che avvisava il dott. S. che era stata costretta a chiamare le forze dell'ordine in quanto il Sig. A.M.D.G. proferiva minacce pesanti, minacce di morte", senza peraltro precisare nei confronti di chi), ossia su una questione di fatto su cui hanno già testimoniato i soggetti direttamente coinvolti e rispetto alla quale appaiono dirimenti le dichiarazioni degli operatori di P.G. e le risultanze dell'annotazione di servizio, sopra richiamate.</p><p><br /></p><p>Per quanto riguarda l'ultimo addebito enucleato nella lettera di contestazione disciplinare ("Più tardi, il Suo superiore, ing. Z., dopo aver congedato i sanitari e i carabinieri, rientrava nel Suo ufficio per sincerarsi personalmente del suo stato, anche se oramai appariva visibilmente tranquillo e privo dei sintomi manifestati precedentemente. Alla richiesta se si fosse oramai calmato, lei replicava testualmente "io non mi calmo finché non vedo B. sottoterra""), si osserva in primo luogo che la frase attribuita a A.M.D.G. non integra una vera e propria minaccia.</p><p><br /></p><p>Al di là di tale aspetto, il fatto oggetto di addebito è stato confermato nel corso dell'esame testimoniale da F. Z. (cfr. verbale di udienza del 9 febbraio 2021), la cui deposizione, tuttavia, è frontalmente contraddetta da quella della teste A. C., la quale ha riferito di essere stata presente durante l'intero colloquio tra Z. e A.M.D.G. e di non aver udito quest'ultimo pronunciare le frasi in contestazione (cfr. testimonianza resa all'udienza del 26 luglio 2021).</p><p><br /></p><p>In considerazione dell'insanabile contrasto tra le testimonianze di Z. e C., deve ritenersi, in accordo con il giudice di prime cure, che A. S.p.a. non abbia assolto l'onere della prova in ordine al verificarsi della descritta condotta addebitata a A.M.D.G., al pari di quanto già osservato in relazione agli altri fatti oggetto di contestazione.</p><p><br /></p><p>La non univocità delle risultanze istruttorie e la conseguente insufficienza dell'impianto probatorio a sostegno delle contestazioni disciplinari non possono essere colmate attraverso il supplemento di istruttoria richiesto da A. S.p.a., sia perché l'attività istruttoria svolta dal Tribunale è stata oltremodo ampia ed approfondita, sia perché i testi di cui la società invoca l'escussione (..) risultano avere una conoscenza solo indiretta, appresa de relato da terzi e limitata a pochi fatti di rilievo marginale, secondo quanto si ricava dalle dichiarazioni rese dagli stessi nel corso delle indagini interne (cfr. dichiarazioni allegate sub docc. 33 e 36 fascicolo A.), sicché le relative deposizioni non potrebbero in alcun modo colmare in via risolutiva le lacune del compendio probatorio.</p><p><br /></p><p>Superfluo si ritiene pure il confronto tra i testi escussi, sollecitato da A. S.p.a. (in particolare tra C., S., L.V. e C., nonché tra C. e Z.).</p><p><br /></p><p>Infatti, come emerge dai verbali di causa, il Tribunale ha già rappresentato ai testi, nel corso dei rispettivi esami, le divergenze tra le loro dichiarazioni e quelle rese da altri testi, sicché il ricorso allo strumento del confronto ex art. 254 c.p.c. si risolverebbe in una mera duplicazione di incombenti già svolti, priva di sostanziale utilità e comportante un ritardo ingiustificato nella decisione della causa.</p><p><br /></p><p>Per tutte le ragioni esposte il reclamo proposto da A. S.p.a. deve essere respinto.</p><p><br /></p><p>Passando all'esame del reclamo proposto da A.M.D.G., il Collegio reputa infondato il primo motivo, inerente la dedotta violazione dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165.</p><p><br /></p><p>Detta norma, per quanto qui interessa, dispone al comma 1 che "il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorita' giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui e' venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo' essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante e' comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. […]".</p><p><br /></p><p>Il comma 2 precisa che "ai fini del presente articolo, per dipendente pubblico si intende il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all'articolo 3, il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica".</p><p><br /></p><p>Contrariamente alla tesi di A.M.D.G., ad avviso del Collegio l'art. 54 bis, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 non consente di ritenere nulli gli atti datoriali aventi effetti negativi per il dipendente, per il semplice fatto di essere successivi alle segnalazioni di illeciti da parte di quest'ultimo, salvo prova contraria a carico del datore di lavoro.</p><p><br /></p><p>La norma, infatti, non modifica le regole di riparto dell'onere della prova, né introduce una presunzione relativa di correlazione causale tra segnalazione e adozione di misure aventi effetti negativi per il dipendente. Essa dispone la nullità di ogni misura datoriale che sia "determinata dalla segnalazione", ossia che trovi la propria ragione fondante nell'avere il lavoratore effettuato la segnalazione.</p><p><br /></p><p>L'onere della prova in ordine al nesso di derivazione tra segnalazione e misura pregiudizievole grava interamente sulla parte che lo allega, alla stregua della regola generale di riparto dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., non derogata dalla disposizione speciale in esame.</p><p><br /></p><p>Poste queste premesse di carattere generale, si ritiene che, nel caso concreto, A.M.D.G. non abbia offerto idonea prova del fatto che il provvedimento di destituzione adottato da A. S.p.a. sia stato determinato dalle segnalazioni del medesimo inerenti la sussistenza di gravi illeciti relativi alla duplicazione di biglietti, abbonamenti e tagliandi della sosta.</p><p><br /></p><p>La prospettazione del lavoratore al riguardo appare carente già sotto il profilo assertivo, così come non risulta puntuale la confutazione degli argomenti esposti dal giudice di prime cure a fondamento del rigetto della domanda.</p><p><br /></p><p>Oltre a doversi condividere il rilievo del Tribunale circa l'insufficienza del mero collegamento temporale tra le denunce di cui il lavoratore si è reso autore ed il procedimento disciplinare di cui è causa, si osserva altresì che anche il dedotto collegamento temporale appare quanto mai debole, atteso che, pacificamente, le prime segnalazioni di A.M.D.G. risalgono al 2014.</p><p><br /></p><p>E' documentalmente provato che A. S.p.a. abbia dato costante riscontro alle segnalazioni del dipendente (cfr. docc. 44, 47, 60 e 61 fascicolo A. di primo grado), si sia attivata al fine di approfondire e verificare gli illeciti dallo stesso denunciati ed abbia adottato misure sanzionatorie nei confronti del personale di cui è stata accertata la responsabilità (cfr. docc. da 49 a 58 fascicolo A. di primo grado).</p><p><br /></p><p>Per contro, il lavoratore non ha allegato, né offerto di provare, fatti idonei a comporre un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti, dai quali possa fondatamente evincersi, quanto meno in via presuntiva ex art. 2729 c.c., l'esistenza di un nesso tra le segnalazioni effettuate ed il procedimento disciplinare di cui è causa.</p><p><br /></p><p>Da tutto ciò deriva l'infondatezza dell'esaminato motivo di gravame.</p><p><br /></p><p>Infondato si ritiene anche il secondo motivo, inerente l'asserita nullità del licenziamento per mancanza della relazione disciplinare scritta ex art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 e per tardività e/o rinuncia e/o decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare e comunque per violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.</p><p><br /></p><p>Quanto al primo profilo, A. S.p.a. ha tempestivamente prodotto in atti, sin dalla costituzione nella fase sommaria del giudizio di primo grado, la relazione ex art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 a firma del responsabile gestione personale, L. G. (cfr. doc. 11 fascicolo A. di primo grado).</p><p><br /></p><p>Come evidenziato dal giudice di prime cure, stralci della relazione sono riportati nell'atto di opinamento della destituzione dal servizio dell'8 febbraio 2019 (cfr. doc. 32 fascicolo A.M.D.G. di primo grado)</p><p><br /></p><p>Alla luce di ciò, nonché della testimonianza resa da L. G. avanti il Tribunale (cfr. verbale di udienza in data 5 ottobre 2020), non vi sono elementi che inducano a dubitare che la predisposizione della relazione sia avvenuta in un momento antecedente rispetto all'adozione del provvedimento di opinamento della destituzione dal servizio, in conformità al modello procedimentale delineato dall'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.</p><p><br /></p><p>E' poi pacifico e documentalmente provato che A.M.D.G. abbia preso visione degli allegati alla relazione in data 29 marzo 2019 (cfr. doc. 25 fascicolo A. di primo grado), come da facoltà riconosciuta dall'art. 56 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, il che esclude qualsivoglia compromissione delle garanzie di difesa del lavoratore ed esclude pertanto la nullità del procedimento e del provvedimento conclusivo.</p><p><br /></p><p>Si richiama al riguardo la pronuncia resa da questa Corte in fattispecie analoga (sentenza n. 625/2022, pres. Ravazzoni, est. Cuomo, allegata sub doc. B5 fascicolo A.), le cui motivazioni sono integralmente condivise dal Collegio e devono intendersi qui integralmente richiamate ai sensi e per gli effetti dell'art. 118 disp. att. c.p.c..</p><p><br /></p><p>Detta pronuncia ha statuito quanto segue: "ciò che garantisce ulteriormente la tutela del lavoratore è proprio la consultazione degli atti su cui si fonda la contestazione e quindi l'opinamento di destituzione dal servizio.</p><p><br /></p><p>Ebbene, è incontestato che il lavoratore, dopo aver investito il Consiglio di Disciplina, abbia avuto piena visione della documentazione sulla quale si fonda il provvedimento espulsivo.</p><p><br /></p><p>L'eventuale assenza della relazione in contestazione non inficia la legittimità della procedura disciplinare come delineata dall'art. 53, non scaturendo da detta assenza alcuna compromissione delle garanzie del lavoratore.</p><p><br /></p><p>Del resto lo stesso lavoratore non ha spiegato in che termini l'eventuale assenza della relazione nel fascicolo disciplinare abbia inciso negativamente sulle sue garanzie.</p><p><br /></p><p>Detta conclusione trova conforto nella stessa giurisprudenza di legittimità in materia.</p><p><br /></p><p>Ed infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13804/2017, ha ritenuto la nullità del procedimento disciplinare non tanto per l'assenza pacifica della relazione ma piuttosto per l'assenza della documentazione delle indagini svolte in relazione alle quali, dopo la notifica dell'opinamento, possono essere presentate dall'incolpato nuove giustificazioni".</p><p><br /></p><p>Quanto all'asserita violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, le difese del lavoratore si limitano ad un mero rinvio "a quanto già dedotto in sede di introduzione della prima fase, da intendersi quivi richiamato e ritrascritto" (cfr. pagina 73 del reclamo), senza svolgere alcuna argomentazione che confuti e contrasti le ragioni addotte dal giudice di prime cure a fondamento della pronuncia di rigetto di tale censura.</p><p><br /></p><p>Il motivo è dunque, per questa parte, inammissibile, giacché esso non enuncia neppure le ragioni di dissenso rispetto al percorso motivazionale adottato dal primo giudice.</p><p><br /></p><p>Per completezza si osserva che la pronuncia del Tribunale sul punto appare del tutto condivisibile e merita di essere confermata.</p><p><br /></p><p>Il lasso di tempo intercorso tra la contestazione dell'addebito disciplinare e la comunicazione del provvedimento di destituzione dal servizio adottato dal Consiglio di disciplina non è in alcun modo sintomatico di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare da parte della società, né comporta alcuna decadenza o violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, che peraltro attiene al funzionamento del Consiglio di disciplina e comunque non stabilisce termini perentori.</p><p><br /></p><p>Come ritenuto anche dal giudice di prime cure, il tempo intercorso tra il ricorso proposto dal lavoratore al Consiglio di disciplina (22 febbraio 2019, cfr. doc. 18 fascicolo A. di primo grado) e la pronuncia da parte di quest'ultimo (20 gennaio 2020, cfr. doc. 46 fascicolo A.M.D.G. di primo grado) non è addebitabile ad A. S.p.a., che nessun ruolo aveva nella costituzione dell'organismo e che, al riguardo, aveva avvertito il lavoratore, con lettera del 13 marzo 2019, "che al momento il suddetto Organo è in fase di rinnovo da parte dei competenti Enti Esterni, ai quali peraltro la Società ha già evidenziato la necessità di provvedere in tempi celeri.</p><p><br /></p><p>Tuttavia, allo stato, la Società scrivente non è in grado di fornirLe indicazioni circa la tempistica della nomina del nuovo Consiglio di Disciplina (non dipendendo in alcun modo dalla stessa) e, conseguentemente, non è dato di conoscere quando il Suo ricorso potrà essere oggetto di trattazione e di conseguente valutazione" (cfr. doc. 22 fascicolo A. di primo grado).</p><p><br /></p><p>Quanto al periodo compreso tra la contestazione disciplinare (22 giugno 2018) e l'adozione dell'opinamento della destituzione dal servizio (8 febbraio 2019), A. S.p.a. ha disposto la sospensione del procedimento disciplinare dal 12 luglio 2018 (cfr. doc. 6 fascicolo A. di primo grado) al 7 febbraio 2019, in attesa degli sviluppi del procedimento penale.</p><p><br /></p><p>Il lavoratore non ha allegato alcun pregiudizio conseguente alla sospensione della procedura disciplinare, sicché va condivisa la valutazione del Tribunale – in alcun modo censurata in sede di reclamo - secondo cui l'anzidetta sospensione non integra, in ogni caso, un vizio di gravità tale da determinare la nullità del licenziamento.</p><p><br /></p><p>L'esaminato motivo di gravame deve essere, dunque, respinto.</p><p><br /></p><p>Merita invece accoglimento il terzo motivo, inerente la sospensione dal servizio e dalla retribuzione disposta da A. S.p.a. ai sensi dell'art. 46 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, con richiesta di pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo dal 21 febbraio 2019 (data in cui è stata comunicata l'anzidetta sospensione, unitamente alla conferma dell'opinamento della destituzione dal servizio, cfr. doc. 16 fascicolo A. di primo grado) al 2 gennaio 2020.</p><p><br /></p><p>L'art. 46 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 stabilisce che "Gli agenti sottoposti a procedimento penale per uno dei reati che dànno luogo alla destituzione o che comunque trovinsi in istato d'arresto, o siano implicati in fatti che possano dar luogo alla retrocessione od alla destituzione, possono, a giudizio insindacabile di chi ne ha la facoltà a termini dell'alinea seguente, essere sospesi in via preventiva dal soldo e dal servizio. La sospensione preventiva è di massima disposta dal direttore.</p><p><br /></p><p>La sospensione preventiva dura, di regola, finché sia cessata o risolta la causa che la motivò.</p><p><br /></p><p>Però gli agenti sospesi in via preventiva possono in ogni tempo e a giudizio dell'azienda essere destinati temporaneamente, dietro loro domanda o consenso, finché dura il relativo procedimento disciplinare, ad attribuzioni diverse od anche inferiori a quelle inerenti al proprio grado, conservando in tal caso lo stipendio o paga, sempre che l'agente non risulti tassativamente e scientemente colpevole.</p><p><br /></p><p>Alla famiglia dell'agente sospeso dallo stipendio o paga in via preventiva spetta un assegno alimentare corrispondente alla metà dello stipendio o della paga per la durata della sospensione, comprese le indennità fisse. La concessione dell'assegno alimentare è facoltativa per l'azienda, in caso di arresto non dovuto a causa di servizio.</p><p><br /></p><p>Nel caso di sospensione disposta per procedimento disciplinare o per arresto dovuto a cause di servizio, l'agente ha diritto all'indennizzo di quanto ha perduto per effetto della sospensione, sempreché sia assolto per non aver commesso il fatto, per inesistenza di reato o perché il fatto non costituisce reato".</p><p><br /></p><p>Il giudice di prime cure ha ritenuto legittima la sospensione dal servizio e dalla retribuzione di A.M.D.G. poiché, in allora, il lavoratore era sottoposto a procedimento penale per il reato di minacce, ossia per un fatto che poteva dar luogo alla destituzione o alla retrocessione.</p><p><br /></p><p>L'assunto si ritiene corretto.</p><p><br /></p><p>Nondimeno, occorre considerare che il provvedimento di destituzione dal servizio, in funzione del quale era stata disposta la sospensione preventiva ex art. 46 cit., è risultato illegittimo (come accertato dallo stesso Tribunale) e che per i medesimi fatti il lavoratore è stato anche assolto in sede penale "perché il fatto non sussiste", con la richiamata sentenza del Tribunale di Milano n. 8496/2021, divenuta irrevocabile il 23 dicembre 2021.</p><p><br /></p><p>Entrambe le circostanze, ad avviso del Collegio, fondano il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate nel periodo di sospensione.</p><p><br /></p><p>Ciò discende in primo luogo dall'applicazione dell'art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, sopra richiamato: dal momento che A.M.D.G. è stato assolto in sede penale perché il fatto non sussiste, egli, in forza di tale norma, "ha diritto all'indennizzo di quanto ha perduto per effetto della sospensione", ossia alle retribuzioni non percepite durante il periodo di sospensione.</p><p><br /></p><p>Alle medesime conclusioni si perviene anche considerando che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (che il Collegio condivide), la sospensione preventiva ex art. 46 cit. costituisce una misura cautelare di carattere provvisorio, che può essere adottata in presenza di cause tipizzate (cfr., ex multis, Cass. 16 gennaio 2017 n. 855 e precedenti ivi richiamati).</p><p><br /></p><p>La natura cautelare ed interinale della misura ne evidenzia la strumentalità rispetto alla sanzione disciplinare della retrocessione o della destituzione, sicché, quando quest'ultima – come nel presente caso – risulti illegittima e sia annullata, viene meno anche la causa che ha fondato la sospensione, con conseguente diritto del lavoratore di percepire le retribuzioni medio tempore maturate.</p><p><br /></p><p>In conclusione, alla luce delle considerazioni tutte che precedono, dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione, in parziale riforma della sentenza di primo grado A. S.p.a. va condannata a corrispondere ad A.M.D.G. le retribuzioni maturate dal 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020 ex art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.</p><p><br /></p><p>Vanno confermate le restanti statuizioni di merito contenute nella sentenza gravata, con la precisazione che il provvedimento di destituzione dal servizio di A.M.D.G. è stato adottato da A. S.p.a. in data 20 gennaio 2020 (cfr. doc. 46 fascicolo A.M.D.G. di primo grado) e non in data 2 gennaio 2020 come indicato, per errore materiale, nella parte dispositiva dell'ordinanza resa all'esito della fase sommaria del procedimento ex art. 1, comma 47 e ss., legge 28 giugno 2012 n. 92.</p><p><br /></p><p>Il regolamento delle spese di lite segue il criterio della soccombenza e, considerato il valore della causa e rilevata l'assenza di attività istruttoria nel presente grado di giudizio, le stesse si liquidano come da dispositivo, in applicazione del d.m. 10 marzo 2014 n. 55, come modificato dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147 (€ 7.000,00 per il primo grado, comprensivo della fase sommaria, ed € 4.000,00 per il secondo grado) con distrazione in favore del difensore ex art. 93 c.p.c..</p><p><br /></p><p>In ragione dell'integrale rigetto del reclamo proposto da A. S.p.a., si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della società, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228.</p><p><br /></p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>- in parziale riforma della sentenza n. 2305/2022 del Tribunale di Milano, condanna A. S.p.a. a corrispondere ad A.M.D.G. ex art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 le retribuzioni maturate dal 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020, con interessi legali e rivalutazione monetaria dalle scadenze al saldo;</p><p><br /></p><p>- conferma le restanti statuizioni di merito contenute nella sentenza gravata;</p><p><br /></p><p>- condanna A. S.p.a. a rifondere ad A.M.D.G. le spese di lite di ogni fase e grado del giudizio, che liquida in complessivi € 11.000,00 oltre rimborso forfettario per spese generali (15%) ed oneri accessori di legge, con distrazione in favore del difensore ex art. 93 c.p.c.;</p><p><br /></p><p>- ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di A. S.p.a., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.</p><p><br /></p><p>Milano, 27 febbraio 2023</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-215929376181760142023-05-02T12:22:00.001+02:002023-05-02T12:22:04.393+02:00rimborso delle somme versate per l'edificazione dell'immobile<p>Corte appello Firenze sentenza sez. III, 06/03/2023, (ud. 08/02/2023, dep. 06/03/2023), n.451</p><p>Fatto</p><p>RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE</p><p>1.Con atto di citazione, regolarmente notificato, C. M. (di seguito anche APPELLANTE) ha convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di Appello I. S. (di seguito anche APPELLATO) proponendo gravame avverso la sentenza n. 409/2019 pubblicata il 13/05/2019, con la quale il Tribunale di Pisa ha così deciso:' Respinge la domanda di parte attrice sig.ra M. C. perché infondata in fatto e in diritto, per le ragioni (di rito e di merito) di cui in motivazione.</p><p><br /></p><p>Condanna la stessa alla refusione delle spese legali al convenuto Sig., S. I. che liquida in complessive E.3.300,00 per compensi, euro 28,21 per spese vive documentate, oltre Iva (se non detraibile) e Cap come per legge e rimborso forfetario del 15%.'</p><p><br /></p><p>2. M. C., aveva convenuto in giudizio S. I. (ex coniuge), richiedendo il rimborso della somma di euro 50.000,00 o comunque di quella somma dovuta in base alle risultanze processuali.</p><p><br /></p><p>L'attrice sosteneva di aver diritto al rimborso delle somme versate per l'edificazione dell'immobile adibito a casa familiare, al pari del coniuge, avendo ella messo a disposizione anche i suoi personali proventi, oltre ad aver mantenuto contatti con ditte, operai, concertando con il marito spese lavori, materiali e rilevando inoltre che lo scioglimento della comunione legale fra i coniugi, era avvenuto assai dopo l'ultimazione della casa familiare, dovendosi far rientrare nella comunione fino a tale data tutte le somme versate dai coniugi.</p><p><br /></p><p>Si costituiva in giudizio il S., eccependo:</p><p><br /></p><p>- la prescrizione dei pretesi diritti di credito azionati;</p><p><br /></p><p>- l'infondatezza della domanda attrice di restituzione di somme ex art.192 c.c. per essere stati sostenuti i costi di costruzione quasi integralmente dal S. G. (padre del convenuto) e dalla di lui sorella S. I.;</p><p><br /></p><p>- i denari impiegati nella costruzione erano beni personali di S. I., dato che la M. non aveva mai percepito alcun reddito proprio;</p><p><br /></p><p>- irrilevanza della cointestazione del C/C da cui venivano tratti i pagamenti per la costruzione;</p><p><br /></p><p>- i denari personali di S. I. erano stati utilizzati in adempimento dell'obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia ex art. 143 c.c.;</p><p><br /></p><p>- inammissibilità e/o infondatezza della domanda di arricchimento senza causa per mancanza del requisito della sussidiarietà dell'azione;</p><p><br /></p><p>- infondatezza della domanda di ripetizione di indebito in quanto nessun esborso era stato effettuato dalla M. provenendo i pagamenti tutti da denari personali di S. I..</p><p><br /></p><p>3.La causa veniva istruita solo documentalmente e il Tribunale decideva in base alle considerazioni che seguono.</p><p><br /></p><p>Preliminarmente il Tribunale rilevava la fondatezza dell'eccezione di avvenuta prescrizione dei pretesi diritti di credito azionati dalla M. con l'atto di citazione, perché i presunti crediti risalivano ad oltre 10 anni prima e non esistevano atti interruttivi della prescrizione medio tempore notificati e comunque ex art. art.191 c.c. la comunione tra i coniugi si doveva ritenere sciolta nel momento in cui il Presidente del Tribunale aveva autorizzato i coniugi a vivere separati (e nella fattispecie tale autorizzazione vi era stata già all'udienza del 26.6.1998 ) e peraltro l'attrice non aveva provato nessun passaggio in giudicato né della sentenza di separazione né di quella di divorzio (a sostegno della propria tesi di mancata maturazione del termine di prescrizione eccepito).</p><p><br /></p><p>Nel merito, le risultanze istruttorie non consentivano di configurare nessun diritto di credito a vantaggio dell'attrice.</p><p><br /></p><p>Il coniuge non proprietario del terreno né dell'opera sullo stesso costruita aveva diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme sborsate per la realizzazione del manufatto, solo se forniva la prova che tali somme erano state attinte da risorse patrimoniali personali o comuni, non essendo sufficiente un apporto consistente nella assistenza e nel sostegno morale, affettivo e manageriale.</p><p><br /></p><p>In proposito, l'attrice, data la genericità delle allegazioni sugli elementi costitutivi del diritto azionato, non aveva assolto all'onere di provare che la costruzione era stata realizzata anche col suo contributo economico personale, essendo risultato pacifico che la stessa, durante la comunione, non aveva mai percepito propri redditi o apportato patrimoni personali e pertanto la prova offerta in ordine a tale apporto di denaro per la costruzione era risultata contraddittoria e poco credibile, ovvero proveniente dalla comunione legale (non essendo stati dalla stessa specificati la natura dei miglioramenti, l'epoca della loro realizzazione, le modalità ed i mezzi di pagamento), non potendo supplire a tale carenza il mero richiamo a documentazione (contestata e generica) che non era stata oggetto di tempestiva e rituale argomentazione difensiva, tanto più considerando che l'invocata Ctu si sarebbe dovuta espletare a distanza di 30 anni.</p><p><br /></p><p>Nessuna valenza probatoria ai fini invocati dall'attrice avevano i documenti prodotti, rivelatisi totalmente inidonei per genericità ed indeterminatezza a dimostrare ogni e qualsiasi pagamento della M. con denari propri personali o comuni, in quanto si trattava di documenti in copia (peraltro tempestivamente disconosciuti) non sottoscritti da alcuno, contenenti stralci di contabilità, di conteggi lavori in parte scritti a mano in parte a macchina; di una sola fattura (di cui non è dato sapere se e quando pagata e da chi); di un rendiconto non sottoscritto e disconosciuto, di una commissione e di buoni al dettaglio privi di sottoscrizione e di riferibilità all'immobile in oggetto; di alcune 'considerazioni' scritte sulla costruzione dell'edificio, rilasciate a distanza di 30 anni dalla fine lavori, dal tecnico di fiducia della famiglia; di due copie di contratti di appalto non sottoscritti dai committenti per lavori di cui non era dato sapere l'ammontare, né l'effettiva conclusione né chi aveva provveduto ai relativi pagamenti e in quali percentuali, nel in caso di ultimazione degli stessi.</p><p><br /></p><p>Inoltre, nel caso in esame, mancava la prova degli esborsi effettivamente sostenuti (e non meramente presunti) per la realizzazione dei manufatti, nonché la prova dell'aumento di valore del fondo.</p><p><br /></p><p>Pertanto non avendo il coniuge fornito prova dei parametri di quantificazione dell'indennità ex art. 936 c.c., comma 2, non poteva comunque lo stesso, sia pur in considerazione dell'incremento patrimoniale derivante dall'utilità dell'opera nei limiti dell'altrui depauperamento, legittimamente esperire l'azione di arricchimento senza causa di cui agli artt. 2041 e 2042 c.c., avendo questa natura residuale e sussidiaria e non potendo perciò essere utilizzata, dato che il danneggiato aveva la facoltà di esercitare proficuamente un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito.</p><p><br /></p><p>4.Avverso la predetta sentenza interponeva gravame l'APPELLANTE per i seguenti motivi:</p><p><br /></p><p>1) il Tribunale aveva errato nel ritenere che i crediti risalissero ad oltre 10 anni decorrenti dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Tribunale (1998), in quanto il primo Giudice aveva fatto erroneo riferimento all'ipotesi contemplata dall'art. 191 cc novellato dall'art. 2, L. 06.05.2015, n. 55 con decorrenza dal 26.05.2015,mentre l'art. 191 c.c. previgente e applicabile nella fattispecie portava ad identificare il dies a quo della prescrizione dal passaggio in giudicato della sentenza del 22 ottobre 2005, ossia l'8 Dicembre 2006 ( e posto che con la raccomandata di diffida al pagamento dell'indennizzo del 29 Giugno 2015 aveva certamente interrotto il termine prescrizionale decennale, il Tribunale avrebbe dovuto respingere e non accogliere l'eccezione di prescrizione);</p><p><br /></p><p>2) il Tribunale aveva inoltre errato in quanto negli anni della costruzione (dal 1981 al 1986), tutti i proventi dell'Impresa individuale del S. erano di competenza di entrambi i coniugi al 50 per cento, e quindi il Tribunale aveva errato a ritenere :</p><p><br /></p><p>a) che la M. non avesse redditi propri, ignorando la costituzione di Impresa familiare a decorrere dal 1 Gennaio 1982 ;</p><p><br /></p><p>b) che tutti i denari versati sul conto corrente comune fossero da attribuire esclusivamente al S., mentre erano di competenza al 50 per cento dei coniugi, nonostante la prova documentale dell'atto costitutivo dell'Impresa familiare ex art. 230 bis c.c. sottoscritto dal S. dinanzi al Notaio, per cui tutto quanto guadagnava il S. a partire dal 1 Gennaio 1982 e per tutte le annualità successive era per metà della M. in quanto socia al 50% c) sull'erroneo convincimento che competesse alla M. la dimostrazione dei costi e non del valore della manodopera e dei materiali impiegati e sul convincimento del pari errato che la dettagliata contabilità lavori redatta dal Geom M. Direttore dei Lavori fosse un semplice 'brogliaccio';</p><p><br /></p><p>d) sulla mancata ammissione della CTU e delle altre istanze istruttorie al fine della determinazione del valore del credito,</p><p><br /></p><p>3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 936 e 1150 c.c. in quanto, essendo pacifico che i manufatti erano stati costruiti con il denaro proveniente dalla Impresa Familiare, era indispensabile l'ammissione della CTU richiesta in I grado (sulla stima del valore della manodopera e dei materiali);</p><p><br /></p><p>4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. nonché 2033 cc.</p><p><br /></p><p>Per tali ragioni è stata pertanto formulata dall'APPELLANTE richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.</p><p><br /></p><p>5.Radicatosi il contraddittorio, I. S. nel costituirsi in giudizio, ha contestato, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.</p><p><br /></p><p>6.La causa è stata trattenuta in decisione in data 11/05/2022, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta, con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.</p><p><br /></p><p>7.L'appello è infondato e va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata, sia pure con diversa motivazione.</p><p><br /></p><p>7.1.La critica contenuta nel primo motivo di gravame è astrattamente fondata ma alla fine inammissibile, in quanto irrilevante per difetto di decisività.</p><p><br /></p><p>Occorre premettere che, ai sensi dell'art.191 c.c. nella sua formulazione antecedente alla riforma operata dalla 1. n. 55 del 2015 e applicabile al caso di specie ratione temporis lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica ex nunc, con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, mentre non spiega effetti al riguardo il precedente provvedimento, con cui il Presidente del Tribunale, ai sensi dell'art. 708 c.p.c. abbia autorizzato i coniugi ad interrompere la convivenza</p><p><br /></p><p>Risulta quindi vero che il Tribunale ha assunto erroneamente che la novella de qua sarebbe applicabile anche alla vicenda in esame. In effetti, nella fattispecie, atteso che il procedimento di separazione era stato definito già in epoca anteriore all'entrata in vigore della novella non è possibile invocare la disciplina novellata, dovendosi quindi correttamente far risalire gli effetti della cessazione della comunione legale al passaggio in giudicato della sentenza di separazione (cfr. ex multis Cass. n. 3808/2014).</p><p><br /></p><p>Quanto alla prova del giudicato, è noto che essa di regola avviene con la produzione della sentenza definitiva, munita dell'attestazione di cui all'art. 124 disp. att. c.p.c..</p><p><br /></p><p>La giurisprudenza di legittimità ha nel tempo reiteratamente affermato che 'affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria ai sensi dell'art. 124 att. c.p.c. (Cfr. Cass. 9 marzo 2017, n. 6024Cass. 19 settembre 2013, n. 21469; 8 maggio 2009, n. 10623; 24 novembre 2008, n. 27881; 2 aprile 2008, n. 8478; 2 dicembre 2004, n. 22644.).</p><p><br /></p><p>Pertanto, alla luce di tale orientamento, l'attestazione del Cancelliere diventa pertanto mezzo di prova indispensabile del giudicato, e ciò anche in caso di mancata contestazione da parte del contro interessato.</p><p><br /></p><p>A tal fine, il collegio ritiene 'ammissibile' il deposito in grado di appello- del documento relativo alla sentenza con attestazione del Cancelliere, in quanto si trattava di un documento sicuramente non nuovo, perché già prodotto in primo grado, sia pure privo della relativa attestazione.</p><p><br /></p><p>Si può quindi ritenere che almeno sotto tale profilo la M. abbia assolto alla prova del giudicato in base al principio per cui : "La parte che eccepisce il giudicato esterno ha l'onere di fornirne la prova, non soltanto producendo la sentenza emessa in altro procedimento, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la stessa non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull'affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l'impugnabilità della sentenza." (Cass. sez. 1^ civ. ord. 2.3.2022 n. 6868</p><p><br /></p><p>Si deve dunque concludere che il diritto vantato non sia prescritto ( il che assorbe anche l'ulteriore questione prospettata sotto il profilo della sospensione ex art. 2941 cc) , ma dato che la domanda non è fondata ( come emergerà dal vaglio degli altri motivi) alla fine il primo motivo non è decisivo e si rivela inammissibile, in quanto inidoneo di per sé a ribaltare la decisione.</p><p><br /></p><p>7.2.La seconda, la terza e la quarta censura possono essere trattate congiuntamente e sono infondate.</p><p><br /></p><p>L'attrice ha proposto una domanda volta a ottenere il rimborso delle somme asseritamente versate per l'edificazione dell'immobile adibito a casa familiare, su terreno di proprietà del coniuge.</p><p><br /></p><p>Sotto tale profilo M. sostiene che il Tribunale ha negato che ella avesse redditi propri, ignorando del tutto la costituzione di Impresa familiare e giungendo all'erroneo convincimento che tutti i denari versati sul conto corrente comune fossero da attribuire esclusivamente al S., mentre erano di competenza al 50 per cento dei coniugi, stante la prova documentale dell'atto costitutivo dell'Impresa familiare ex art. 230 bis c.c. sottoscritto dal S. dinanzi al Notaio, per cui tutto quanto guadagnava il S. a partire dal 1 Gennaio 1982 e per tutte le annualità successive era per meta` della M. in quanto socia al 50% .</p><p><br /></p><p>Nel doc. 38 si trova in effetti prova dell'esistenza della citata impresa familiare di cui alla attività di' autotrasporto merci conto terzi' (il 22.12.1981 viene 'costituita nella forma di impresa familiare secondo le norme di cui all'art. 230 bis cc alla quale collabora la moglie M. C. (nata ....) alla quale è attribuita la quota di utile nella misura del 50%. La quota suddetta vale per l'anno 1982 e successivi salva diversa contraria attribuzione').</p><p><br /></p><p>Tuttavia si trattava di doc. inammissibilmente introdotto in causa, depositato tardivamente solo con la memoria ex art. 183 co. 6 n. 3 cpc del 2.12.2016 e di cui la M. cercò di giustificare la produzione tardiva ( subito eccepita dalla controparte) , come doc. a ' controprova'.</p><p><br /></p><p>Inoltre si trattava di fatto 'costitutivo' nemmeno tempestivamente allegato nell'atto di citazione di primo grado.</p><p><br /></p><p>Ma anche a voler prescindere per un attimo da questi profili di palese inammissibilità e a voler considerare comunque il documento, la situazione non cambia neanche ad un vaglio di merito.</p><p><br /></p><p>L'APPPELLANTE vorrebbe sostenere l'omessa valutazione dei redditi 'legittimamente percepiti ed impiegati nella costruzione dalla M., come comprova il documento di costituzione dell'Impresa familiare', pretendendo di inferire l'esistenza di questi redditi solo sulla base della mera esistenza dell'Impresa di cui non dimostra nient'altro.</p><p><br /></p><p>Sostiene la M. che 'nello stesso periodo siamo nel 1981 I. S. dando atto della collaborazione del coniuge alla attività individuale di autotrasportatore le destina con la scrittura ex art. 230 bis c.c,. la metà degli utili (all 2 a memoria 183, 3), nonostante che negli atti dichiari che era l'unico a lavorare.' e aggiunge : ' sarebbe stato sufficiente accertare nell'an che tutte le somme e gli importi versati dal Sig. I. S. per la costruzione del bene venivano tratte dal patrimonio comune, sia in forza della comunione dei beni che della costituzione dell'Impresa familiare, sino alla ultimazione del fabbricato avvenuta pacificamente nel 1986, data di richiesta di sanatoria delle unità immobiliari (cfr. all. 4 al fascicolo del convenuto).</p><p><br /></p><p>Tuttavia:</p><p><br /></p><p>a) la partecipazione agli utili e agli incrementi del familiare va determinata, sulla base della quantità e qualità del lavoro svolto dal predetto (Cass. civ. ord., sez. lav., 22.01.2021, n. 1401);</p><p><br /></p><p>b) la partecipazione agli utili per la collaborazione nell'impresa familiare, ai sensi dell'art. 230 bis c.c., va determinata sulla base degli utili non ripartiti al momento della sua cessazione o di quella del singolo partecipante, nonché dell'accrescimento, a tale data, della produttività dell'impresa comunque in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato ed è, quindi, condizionata dai risultati raggiunti dall'azienda, atteso che i proventi in assenza di un patto di distribuzione periodica non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti, ma al reimpiego nell'azienda o in acquisti di beni (Cass. civ., sez. lav., 16-03-2016, n. 5224).</p><p><br /></p><p>Ciò premesso, il primo elemento che emerge è che manca in toto la prova della ' quantità e qualità del lavoro prestato' dalla M. di cui nemmeno viene allegata la natura o la tipologia di attività prestata.</p><p><br /></p><p>Manca anche la prova dei risultati raggiunti dall'azienda, che la M. vorrebbe ottenere solo sulla base di una ctu esplorativa.</p><p><br /></p><p>Inalterati a carico della M. restano quindi tutti gli oneri probatori, nel senso: a) che era l'attrice a dover dimostrare i presupposti della sua pretesa in quanto non è configurabile alcuna presunzione che l'immobile acquistato da parte di un familiare partecipante, in nome proprio, durante il periodo di esistenza dell'impresa, configuri bene acquistato con gli utili dell'attività familiare, dato che colui che affermi che detto acquisto sia stato effettuato con gli utili aziendali è tenuto a fornire la prova del proprio assunto ( Cass. civ. ord., sez. lav., 18-12-2018, n. 32698 'In tema di impresa familiare, non è configurabile alcuna presunzione che l'immobile acquistato da parte di un familiare partecipante, in nome proprio, durante il periodo di esistenza dell'impresa, configuri bene acquistato con gli utili dell'attività familiare, con la conseguenza che, in applicazione dei principi generali sull'onere probatorio, colui che affermi che detto acquisto sia stato effettuato con gli utili aziendali è tenuto a fornire la prova del proprio assunto'); b) che il partecipante che agisca per ottenere la propria quota di utili ha l'onere di provare la consistenza del patrimonio aziendale Cass. civ. [ord.], sez. lav., 31.10.2018, n. 27966.).Inoltre quanto agli immobili e alla prova della provenienza del denaro, Cassazione civile 20/12/2019, n.34222 ha ritenuto che 'nell'impresa familiare non è configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l'acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio provenga dai proventi dell'attività economica comune, sicché colui che afferma che detto acquisto è stato effettuato con denaro comune è tenuto a fornire la prova del proprio assunto'.</p><p><br /></p><p>Di tutto questo non vi è prova e la M. è rimasta al livello di mera enunciazione.</p><p><br /></p><p>7.3.Anche in relazione all'aspetto della 'comunione dei beni ' l'APPELLANTE sostiene che 'appariva provato e non contestato che tutte le somme versate dal S. sul conto corrente cointestato non erano sic et simpliciter frutto di attività personale, ma erano per metà di competenza della appellante, avendo il medesimo attribuito al coniuge il 50% per cento degli utili dell'Impresa a fronte di tutte le attività di collaborazione prestate. ' e mai allegate e tantomeno provate.</p><p><br /></p><p>Ciò consente di vagliare il terzo e quarto motivo pure infondati.</p><p><br /></p><p>In primo luogo è pacifico che l'immobile sia stato costruito su un suolo donato dal padre del S. ai due figli, tra cui l'odierno APPELLATO.</p><p><br /></p><p>Inoltre la stessa attrice qui appellante ricorda che in forza di Sez. U, Sentenza n. 651 del 27/01/1996 'Nel regime di comunione legale, la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione e pertanto non costituisce oggetto della comunione legale, ai sensi dell'art. 177 primo comma lett. b) cod. civ. In siffatta ipotesi, la tutela del coniuge non proprietario del suolo, opera non sul piano del diritto reale (nel senso che in mancanza di un titolo o di una norma non può vantare alcun diritto di comproprietà, anche superficiaria, sulla costruzione), ma sul piano obbligatorio, nel senso che a costui compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione.'</p><p><br /></p><p>Ne consegue che il principio dell'accessione non viene derogato dalla comunione tra i coniugi e che l'eventuale diritto di ripetizione presuppone la prova delle somme spese dall'altro coniuge (Sez. 2, Sentenza n. 8585 del 11/08/1999 'Il principio generale dell'accessione posto dall'art. 934 cod. civ., in base al quale il proprietario del suolo acquista "ipso iure" al momento dell'incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata e la cui operatività può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l'acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un'apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l'art. 177, primo comma, cod. civ., hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario che abbia contribuito all'onere della costruzione, spetta ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese.' (conformi Sez. 1, Sentenza n. 7060 del 14/04/2004; Sez. 2, Ordinanza n. 27412 del 29/10/2018 e le ancor più chiare Sez. 1, Sentenza n. 20508 del 30/09/2010 e Sez. 1, Ordinanza n. 28258 del 04/11/2019 che ribadiscono come 'al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all'onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell'onere della prova d'aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese a tal fine.')</p><p><br /></p><p>Nel caso di specie 'l'altro coniuge', odierna APPELLANTE, onerata della prova d'aver prestato il suo personale sostegno economico, in realtà non ha ne' allegato né dimostrato una sua prestazione economica ; il suo diritto alla tutela obbligatoria, consistente come rilevato nel riconoscimento del diritto di credito pari alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione, postulava la dimostrazione del suo contributo reale agli esborsi sostenuti per la costruzione dell'immobile, proveniente da risorse personali ovvero ricadenti in comunione, che la predetta non ha dedotto, né tanto meno ha tentato di fornire.</p><p><br /></p><p>Dunque del tutto esattamente il decidente del primo grado ha respinto la domanda della M., perché essendo essa gravata del relativo onere probatorio, non vi ha dato alcun seguito, dovendo invece ribadirsi il concetto che il coniuge non proprietario, onde veder riconosciuto il proprio diritto di credito, deve darne prova in conformità ai principi regolanti l'onere della prova.</p><p><br /></p><p>A tal fine certamente non basta un indecifrabile estratto conto dell'anno 1980 e tantomeno dalla documentazione che il Tribunale mostra di aver adeguatamente esaminato e che consta effettivamente solo di stralci di contabilità, di conteggi lavori; di un rendiconto non sottoscritto e disconosciuto.</p><p><br /></p><p>Del pari anche l'asserita violazione dell'art. 936 cc è insussistente.</p><p><br /></p><p>L'acquisto del diritto all'indennità ex art. 936 c.c. del coniuge in regime di comunione patrimoniale dei beni, non discende automaticamente dal fatto che la costruzione sia stata effettuata in costanza di matrimonio e in regime di comunione ed invece esige la prova che la costruzione sia stata eseguita con l'apporto di risorse del coniuge richiedente o con l'apporto di risorse comuni ai due coniugi, che tuttavia non può essere presunto automaticamente in dipendenza del regime di comunione legale.</p><p><br /></p><p>7.4.Anche la doglianza in ordine alla mancata applicazione dell'art. 2041 cc non ha pregio.</p><p><br /></p><p>Da un lato è vero che l'azione ex art. 2041 c.c. ha natura sussidiaria e complementare. Dall'altro è anche vero che l'azione possa essere proposta se risulta infondata la domanda principale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 13/09/2018, n. 22292): 'che l'azione ex art. 2041 c.c. possa essere proposta anche in via subordinata è pacificamente ammesso quando, come nel caso di specie, l'azione o le azioni proposte congiuntamente e in via principale non possano essere accolte per carenza ab origine del titolo posto a loro fondamento.... laddove risulti infondata l'azione proposta in via principale, e ve ne siano gli altri presupposti: a) arricchimento senza causa di un soggetto; b) ingiustificato depauperamento di un altro; c) rapporto di causalità diretta ed immediata tra le due situazioni, di modo che lo spostamento risulti determinato da un unico fatto costitutivo essa può essere accolta anche se proposta in via subordinata (Cass. 2/08/2013, n. 18502; Cass. 31/01/2017, n. 2350; Cass. civ., Sez. I, 15/10/2015, n. 20871; Cass. civ., Sez. I, 10/08/2007, n. 17647).</p><p><br /></p><p>Tanto si dice perché se comunque l'azione ex art. 2041 c.c. era astrattamente proponibile, tuttavia non emerge dagli atti alcuna prova né dell'arricchimento del S. né del depauperamento della M. e tantomeno di uno spostamento patrimoniale che si ponga in relazione di causa effetto tanto dell'impoverimento che dell'arricchimento (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 24772 del 08/10/2008; id. Sez. 1, Sentenza n. 1833 del 26/01/2011).</p><p><br /></p><p>Ne consegue che l'APPELLANTE già attrice, si è limitata a proporre l'azione ex art. 2041 cc, senza neanche allegarne i fatti costitutivi e quindi la domanda è comunque infondata. Così come non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda ex art. 2033 cc , dato che se è vero che il coniuge non proprietario è astrattamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 2033 c.c. (Cass. 14.4.2004, n. 7060), tuttavia ai fini dell'accoglimento della domanda deve pur sempre dimostrare di aver contribuito alla costruzione e di aver versato somme per la costruzione del manufatto divenuto per accessione di proprietà del titolare esclusivo del terreno.</p><p><br /></p><p>Del che , ancora una volta, non vi è prova nel caso di specie.</p><p><br /></p><p>7.5. Nessun ausilio può provenire dalla reiterazione delle richieste istruttorie- solo indirettamente richiamate nelle conclusioni dell'atto di appello non avendo l'appellante espressamente indicato i mezzi di prova dedotti in primo grado e non ammessi, né risultando argomentato alcunché in punto di loro decisività e rilevanza (v. Cass., 23-3-2016 n. 5812, la quale ha rimarcato che, anche laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, la riproposizione delle istanze istruttorie in appello deve essere specifica, dovendo la parte riprodurre nella sua comparsa di costituzione le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, essendo inammissibile una riproposizione generica con rinvio agli atti del procedimento di primo grado).</p><p><br /></p><p>8.L'appello deve quindi essere respinto.</p><p><br /></p><p>In applicazione, per vero, del principio di soccombenza, tenuto conto dell'esito del giudizio complessivo (che vede vittorioso il S.) le spese processuali del presente grado del giudizio devono essere poste a carico di M. C. nella misura liquidata in dispositivo, ai sensi del D.M. 55/2014 come modificato dal D.M. 37/2018 e dal DM 147/2022, in relazione al valore della controversia (E 50.000) ed all'attività difensiva (media) svolta, con applicazione dei relativi parametri ed esclusa la fase istruttoria per il presente grado di giudizio.</p><p><br /></p><p>Occorre inoltre considerare anche la fase di mediazione che è stata espletata ma non proseguita, non avendo la M., dopo la rinuncia al mandato del proprio difensore, provveduto a nominarne un altro.</p><p><br /></p><p>a) giudizio dinanzi alla Corte d'Appello Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022)</p><p><br /></p><p>Valore della Causa: Da E 26.001 a E 52.000</p><p><br /></p><p>Fase di studio della controversia, valore medio:</p><p><br /></p><p>E 2.058,00</p><p><br /></p><p>Fase introduttiva del giudizio, valore medio:</p><p><br /></p><p>E 1.418,00</p><p><br /></p><p>Fase decisionale, valore medio:</p><p><br /></p><p>E 3.470,00</p><p><br /></p><p>Compenso tabellare (valori medi) E 6.946,00 oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge.</p><p><br /></p><p>b) procedimento di mediazione (esclusa la fase di conciliazione):</p><p><br /></p><p>Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022)</p><p><br /></p><p>Valore dell'Affare: Da E 26.001 a E 52.000</p><p><br /></p><p>Fase dell'attivazione, valore medio:</p><p><br /></p><p>E 536,00</p><p><br /></p><p>Fase di negoziazione, valore medio:</p><p><br /></p><p>E 1.071,00</p><p><br /></p><p>Compenso tabellare (valori medi) E 1.607,00 oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge.</p><p><br /></p><p>Il tutto con distrazione delle spese a favore dei procuratori dell'appellato dichiaratisi antistatari.</p><p><br /></p><p>9. Poiché il presente giudizio è iniziato successivamente al 30 gennaio 2013 e l'impugnazione é stata respinta, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha introdotto il comma I-quater all'art. 13 del D.P.R. n. 115/2002, - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.</p><p><br /></p><p>PQM</p><p>P.Q.M.</p><p>La Corte di Appello di Firenze, TERZA SEZIONE CIVILE, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull'appello proposto da C. M. nei confronti di I. S., avverso la sentenza n. 409/2019 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 13/05/2019, così provvede:</p><p><br /></p><p>1-rigetta l'appello e conferma la sentenza gravata;</p><p><br /></p><p>2-condanna l'appellante C. M. a rimborsare all'appellato I. S. le spese del grado, che liquida in complessivi E 6.946,00 per compensi professionali oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge oltre alle spese del procedimento di mediazione liquidate in E 1.607,00 oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge con distrazione delle spese in favore degli avv. L. C., D. G., G. C. e C. C., dichiaratisi antistatari.</p><p><br /></p><p>Dichiara che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico dell'appellante M. C..</p><p><br /></p><p>Così deciso in Firenze in data 8.2.2023</p><p><br /></p><p>Nota</p><p><br /></p><p>La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell'ambito strettamente processuale, è condizionata all'eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.</p><p><br /></p><p>Depositata in cancelleria il 06/03/2023</p><div><br /></div>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-11139363051538646772023-05-02T12:20:00.001+02:002023-05-02T12:20:03.475+02:00Omessa notifica dell'avviso bonario iNPS<p>Sentenza del Tribunale Trapani sezione lavoro del 07/03/2023</p><p>Fatto</p><p>Con ricorso ritualmente notificato, la società indicata in epigrafe ha convenuto in giudizio l'INPS spiegando opposizione avverso l'avviso di addebito n. (omissis), notificatole il 12.02.2020, con il quale le è stato intimato il pagamento di € 3.923,28 a titolo di recupero delle agevolazioni contributive dalla stessa fruite per il periodo intercorrente tra luglio 2018 e dicembre 2018 (nel dettaglio, per i mesi di luglio, ottobre, novembre e dicembre 2018).</p><p><br /></p><p>Nello specifico, la A. S.r.l., dolendosi dell'omessa notifica dell'avviso bonario (e nello specifico, affermando che «l'Ente non ha fatto pervenire alla società l'avviso bonario con l'invito alla regolarizzazione delle pretese omissioni contributive, per cui la società al momento della proposizione della presente opposizione si trova nell'impossibilità di conoscere le ragioni e l'origine della pretesa debitoria che avrebbe determinato l'annullamento degli sgravi concessi»: pag. 3 del ricorso), ha dedotto la nullità dell'avviso d'addebito impugnato; per l'effetto, ne ha chiesto, previa sospensione dell'efficacia, l'annullamento.</p><p><br /></p><p>Si è costituito in giudizio l'INPS, anche quale mandatario della S.C.C.I. Spa, il quale, preliminarmente, ha eccepito il difetto di legittimazione passiva di quest'ultima, nonché la tardività del ricorso per violazione del termine perentorio di 40 gg. per l'introduzione del giudizio di opposizione; nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato in fatto ed in diritto.</p><p><br /></p><p>Sul contraddittorio così instaurato, disposta la sospensione del titolo opposto, la causa è stata istruita documentalmente e discussa mediante scambio di note di trattazione scritta.</p><p><br /></p><p>L'opposizione è parzialmente fondata.</p><p><br /></p><p>Preliminarmente, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva della S.C.C.I. Spa, non sussistendo nel caso di specie il litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c. tra INPS e SCCI Spa, in quanto l'ultimo contratto di cessione dei crediti dell'Istituto alla società di cartolarizzazione ha avuto ad oggetto i crediti maturati sino al 31.12.2005, mentre la pretesa creditoria oggetto del presente giudizio ha ad oggetto crediti contributivi relativi al 2018.</p><p><br /></p><p>È, poi, destituita di fondamento l'eccezione di tardività. Invero, l'avviso di addebito de quo è stato notificato il 12.02.2020 e, considerato il periodo di sospensione del decorso dei termini ex art. 83 co.2. D.L. 18/2020, il quarantesimo giorno cadeva il 26.5.2020; ed essendo in tale data avvenuto il deposito del ricorso, come si evince dalla consultazione dei registri, l'opposizione de qua deve ritenersi tempestiva.</p><p><br /></p><p>In punto di diritto giova poi ricordare che, ai sensi dell'art. 24, comma 2, d.lgs. 46/1999, l'ente previdenziale ha una mera “facoltà” di richiedere il pagamento dei contributi non versati mediante avviso bonario.</p><p><br /></p><p>Invero, nel procedimento di riscossione a mezzo ruolo dei contributi previdenziali, l'avviso di addebito può ben essere il primo e unico atto notificato al contribuente in quanto «in difetto di espresse previsioni normative che condizionino la validità della riscossione ad atti prodromici, la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben potendo l'iscrizione a ruolo avvenire pur in assenza di un atto di accertamento da parte dell'Istituto» (così, ord. Cass. n. 4225/2018, la quale fa proprio il principio espresso dalla sentenza Cass. n. 3269/2009).</p><p><br /></p><p>D'altro canto, si evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, il mancato esercizio della suddetta facoltà da parte dell'Istituto previdenziale non lede il diritto di difesa del soggetto passivo al quale è comunque riservata l'impugnazione dell'avviso mediante un'azione di accertamento negativo (in proposito, si veda Cass. 27784/2017).</p><p><br /></p><p>Venendo al merito della pretesa contributiva, l'Inps ha riferito che, riscontrata la mancata comunicazione delle denunce mensili e, per l'effetto, l'irregolarità della posizione contributiva, «notificava alla società ricorrente i tre inviti a regolarizzare» e, «stante il persistente inadempimento, provvedeva al recupero delle agevolazioni autorizzate in precedenza, risultanti indebite», emettendo DURC non regolare con addebito sulle note di rettifica.</p><p><br /></p><p>Ora, giova ricordare che ai sensi dell'art. 1, comma 1175, L. 296/2006, «i benefìci normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva».</p><p><br /></p><p>In altre parole, la norma citata subordina la fruizione dei benefici normativi e contributivi al possesso del c.d. DURC; certificazione la cui emissione è vincolata all'accertamento della regolarità contributiva dell'impresa che, ai sensi dell'art. 5 del D.M. 24 ottobre 2007, si considera integrata allorquando siano attestate le seguenti condizioni: «a) correttezza degli adempimenti mensili o, comunque, periodici; b) corrispondenza tra versamenti effettuati e versamenti accertati dagli Istituti previdenziali come dovuti; c) inesistenza di inadempienze in atto».</p><p><br /></p><p>Ciò posto, dalle difese delle parti, nonché dalla documentazione dalle stesse prodotta, è pacifico e provato per tabulas che la ragione sottesa alla revoca delle agevolazioni contributive fruite dalla ricorrente – e delle quali ne è chiesta la ripetizione con l'avviso di addebito impugnato – sia l'omessa comunicazione dei DM10 dei mesi di luglio, ottobre, novembre e dicembre 2018; irregolarità queste che (a seguito dell'attività di verifica su richiesta dell'interessato) risultano essere state solo in parte oggetto di appositi inviti a regolarizzare ai sensi dell'art. 4, comma 1, D.M. 30 gennaio 2015 (il quale, si rammenta, dispone che «qualora non sia possibile attestare la regolarità in tempo reale, […] l'Inps, l'INAIL e le Casse edili trasmettono tramite Pec all'interessato […] l'invito a regolarizzare con indicazione analitica delle cause di irregolarità rilevate»).</p><p><br /></p><p>Senonché, poiché secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale il giudizio promosso dinanzi al giudice ordinario investe non tanto la legittimità dell'atto dal punto di vista amministrativo, quanto piuttosto il fondamento sostanziale della pretesa contributiva (in tal senso, si veda CdA di Palermo sent. n. 40/2022, che a sua volta rinvia alla precedente sentenza n. 58/2015), l'accertamento del presente giudizio è stato circoscritto al rispetto degli obblighi posti in capo al contribuente ai fini della legittima fruizione degli sgravi contributivi.</p><p><br /></p><p>Infatti, se è indubbio che ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 7 del D.M. 24 ottobre 2007 sussista in capo all'Inps l'obbligo di segnalare al contribuente le irregolarità riscontrate, dalla violazione del predetto obbligo non può derivare «un'inesigibilità delle differenze contributive rispetto agli sgravi, così rovesciando sull'ente previdenziali gli effetti dell'inosservanza di obblighi, quali sono quelli inerenti la regolarità contributiva, che sono in primis del datore di lavoro. […] Semmai, la violazione degli obblighi procedimentali da parte dell'ente previdenziale può comportare una sua responsabilità risarcitoria, per l'impedimento creato al realizzarsi della fattispecie sanante e perdita della chance di fruire degli sgravi, ove si dimostri che l'inadempimento dell'ente ha comportato causalmente un tale danno» (così, Cass. sent. n. 27107/2018; si veda in proposito anche CdA Palermo sent. n. 58/2015).</p><p><br /></p><p>Nel caso di specie, disposta la verifica e accertata l'irregolarità contributiva in data 2.10.2018, l'Inps notificava alla A. S.r.l. due inviti a regolarizzare nel termine di quindici giorni: il primo, datato 5.11.2018, relativo all'omessa denuncia di luglio 2018; il secondo, del 10.1.2019, relativo all'omessa denuncia di ottobre 2018.</p><p><br /></p><p>Nessun invito alla regolarizzazione veniva, invece, emesso con riferimento alle mensilità di novembre e dicembre 2018.</p><p><br /></p><p>Assorbita ogni questione relativa alle omissioni procedimentali riferibili alle due mensilità da ultimo citate – tenuto conto dell'orientamento surriferito in punto di violazione di obblighi procedimentali, nonché del fatto che la società ricorrente non ha provato il corretto adempimento degli obblighi sulla stessa gravanti, non risultando agli atti le denunce relative ai mesi di novembre e dicembre 2018, e neppure la contestazione delle note di rettifica notificatele (v. sull'onere della prova Cass. n. 20504/2018) – resta invece oscura la ragione sottesa alla revoca delle agevolazioni fruite per il luglio 2018.</p><p><br /></p><p>Ed invero, sul punto l'Inps si è limitato ad eccepire la tardiva acquisizione (in data 24.09.2019) della denuncia relativa al settembre 2017, sostenendo che la stessa «pur essendo stata trasmessa il 24.11.2017, risultava SQUADRATA […] il Durc del 2.10.2018 è risultato, quindi, NON REGOLARE»; nulla, però, è stato dedotto in merito al nesso tra la squadratura suddetta e la revoca delle agevolazioni fruite per il luglio 2018; mensilità, quest'ultima, antecedente alla suindicata data di emissione del Durc (2.10.2018).</p><p><br /></p><p>In proposito, giova precisare che, se è vero – come anticipato – che la fruizione degli sgravi contributivi presuppone il possesso del Durc regolare, è anche vero che la revoca degli stessi non può che riguardare il futuro e, dunque, mensilità successive all'emissione del documento. Pertanto, non può essere ravvisata alcuna ragione giustificativa del recupero dei benefici fruiti prima che l'irregolarità venisse accertata con il Durc irregolare del 2.10.2018.</p><p><br /></p><p>In ogni caso, prescindendo dalle considerazioni suesposte, dalla nota di rettifica del 3.2.2019 emerge sia la regolarità formale che sostanziale della posizione contributiva della ricorrente: il flusso UniEmes è stato trasmesso il 22.10.2018 (quindi, prima dell'emissione del Durc irregolare e del correlativo invito a regolarizzare) e i contributi dovuti sono stati pagati il 07.08.2018.</p><p><br /></p><p>Ne consegue che, al luglio 2018, la posizione contributiva della A. S.r.l. era regolare e la pretesa relativa alla mensilità in questione va dichiarata illegittima, proprio perché non si configura la dedotta omissione di denuncia lamentata nell'invito a regolarizzare; ne consegue che la somma imputabile alla mensilità di luglio 2018 va espunta dall'avviso di addebito impugnato.</p><p><br /></p><p>Quanto, infine, all'omessa denuncia dell'ottobre 2018, dagli atti emerge che, a fronte dell'invito a regolarizzare del 10.1.2019, la ricorrente abbia comunicato il flusso UniEmens solo il 30.1.2019, quindi oltre il termine di quindici giorni previsto per la sanatoria dell'irregolarità.</p><p><br /></p><p>In proposito, si ritiene che in tema di agevolazioni contributive la fruizione degli sgravi debba essere contemperata da un maggiore grado di diligenza posta in capo a parte datoriale in ordine all'assolvimento degli obblighi formali e sostanziali; se così non fosse, in capo all'Istituto previdenziale si porrebbe un gravoso onere di controllo costante della regolarità contributiva dei soggetti fruitori degli sgravi.</p><p><br /></p><p>Alla luce di quanto esposto devono ritenersi legittime le pretese vantate dall'Inps con riferimento alle mensilità di ottobre, novembre e dicembre 2018; va invece ritenuta illegittima la richiesta di ripetizione degli sgravi fruiti per luglio 2018.</p><p><br /></p><p>Le spese di lite vanno compensate in ragione del principio della soccombenza reciproca.</p><p><br /></p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p><br /></p><p>Il Tribunale di Trapani, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento del ricorso, ogni altra istanza rigettata:</p><p><br /></p><p>- dichiara il difetto di legittimazione passiva della S.C.C.I S.P.A.;</p><p><br /></p><p>- annulla l'avviso di addebito n. (omissis) limitatamente alle somme vantate a titolo di recupero agevolazioni contributive, nonché relative sanzioni, inerenti al mese di luglio 2018; dichiara dovute le restanti somme vantate dall'Inps a titolo di recupero agevolazioni contributive, nonché sanzioni, relative ai periodi di ottobre, novembre e dicembre 2018.</p><p><br /></p><p>- compensa integralmente le spese di lite.</p><p><br /></p><p>Trapani, 7 marzo 2023</p>Unknownnoreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-8376607743440480277.post-91608639747400799012023-04-25T13:12:00.001+02:002023-04-25T13:12:30.011+02:00Lavoro subordinato e mancato deposito di conteggi analitici<p>Tribunale Parma sez. lav., 09/06/2020, n.58</p><p><b>Massima </b></p><p>Il mancato <b>deposito di conteggi analitici </b>con il ricorso per il pagamento delle differenze retributive non determina la nullità della domanda qualora dall’esame complessivo del ricorso siano evincibili le mansioni asseritamente svolte, il periodo di svolgimento e l’inquadramento di riferimento.</p><p><b>Sentenza </b></p><p>Fatto</p><p>MOTIVI DELLA DECISIONE</p><p>Con ricorso depositato in data 25.10.2016 e ritualmente notificato assieme al pedissequo decreto di fissazione di udienza, It. Ca. Co. conveniva in giudizio B. s.r.l. innanzi all'intestato Tribunale, sezione lavoro.</p><p><br /></p><p>Nell'atto introduttivo del giudizio, il ricorrente esponeva le seguenti circostanze di fatto:</p><p><br /></p><p>- di essere stato contattato, nell'ottobre del 2012, dal sig. Re. Ma., amministratore e legale rappresentante di B. s.r.l., società operante nel settore della progettazione, costruzione e commercializzazione di impianti, componenti e prodotti per il trattamento e la depurazione delle acque, che gli prospettava una collaborazione lavorativa come responsabile commerciale in forza di contratto di lavoro subordinato con qualifica di dirigente, in considerazione della sua trentennale esperienza nel settore;</p><p><br /></p><p>- che l'incarico di direzione commerciale per lo sviluppo, l'organizzazione ed il coordinamento delle politiche commerciali di vendita dei prodotti B. veniva conferito oralmente e che l'accordo, raggiunto alla presenza della figlia Ag. Co., prevedeva la sottoscrizione di un contratto di lavoro subordinato, una retribuzione netta mensile pari ad euro 3.000,00, la corresponsione di trattamenti economici accessori commisurati al fatturato, l'uso di telefono, automobile e telepass aziendali nonché la disponibilità di un ufficio presso la sede aziendale di Fornovo (PR) e la possibilità per il futuro di entrare nella compagine societaria;</p><p><br /></p><p>- che, sin dall'inizio del rapporto nel novembre 2012 e per tutta la durata dello stesso fino al novembre 2013, si era occupato di sviluppare una rete di dealer/concessionarie B., identificando nuove possibilità commerciali, di supportare la società nella predisposizione di offerte e quotazioni delle apparecchiature e dei sistemi di trattamento delle acque, di sviluppare nuovi settori tecnico-commerciali sul territorio nazionale, anche attraverso l'apertura di nuove sedi, la costituzione di nuove società e lo sviluppo di partnership e collaborazioni commerciali, di identificare e sviluppare contatti con clienti direzionali dell'azienda, quali catene di grande distribuzione, hotel, distributori e grossisti, di gestire e formare il personale tecnico e gli operatori del settore e di partecipare ad eventi formativi;</p><p><br /></p><p>- che era dotato di ampia autonomia decisionale nell'elaborazione delle strategie commerciali e nella gestione dei rapporti tra l'azienda ed i singoli clienti, rivenditori o collaboratori, dovendo rendere conto del proprio operato soltanto al legale rappresentante della società, sig. Re. Ma., e all'allora vicepresidente sig. Gi. De.;</p><p><br /></p><p>- che, in particolare, tutte le richieste di informazioni da parte di potenziali clienti o di assistenza che pervenivano alla società attraverso il form del sito web di B. gli venivano inoltrate sistematicamente dalla società, affinché se ne occupasse autonomamente;</p><p><br /></p><p>- che veniva, sin dall'inizio, inserito nell'organizzazione aziendale della B. s.r.l., come attestato dalle circostanze che la società gli forniva il dominio mail aziendale omissis@B..com, che era da lui utilizzato regolarmente nella corrispondenza intrattenuta tanto con i vertici aziendali che con i clienti e collaboratori, e che, nella suddetta corrispondenza, si qualificava abitualmente come direttore vendite o direttore commerciale o responsabile commerciale della B. s.r.l., ivi inserendo i dati ed il logo dell'azienda;</p><p><br /></p><p>- che, nello svolgimento dell'attività lavorativa, si recava non meno di tre volte a settimana e per molte ore al giorno presso la sede della B., dove gli era stato assegnato un ufficio per partecipare ad incontri con clienti e fornitori e per svolgere riunioni aziendali;</p><p><br /></p><p>- che, previo accordo con il legale rappresentante della B. s.r.l., aveva usufruito di un periodo di ferie;</p><p><br /></p><p>- che, in particolare, nella sua attività di sviluppo commerciale, implicante altresì compiti di assunzione ed inquadramento del personale, aveva avviato trattative con il sig. Lu. Zo. per una sua eventuale assunzione con ruolo dirigenziale all'interno di una costituenda società, Om.e, con sede a Roma, che avrebbe fatto capo alla B. s.r.l.;</p><p><br /></p><p>- di aver più volte richiesto al legale rappresentante della società, sig. Re. Ma., di provvedere alla sua regolarizzazione contrattuale mediante la sottoscrizione di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con qualifica dirigenziale nonché alla corresponsione della retribuzione spettantegli, mai versata, ma che, a fronte di tali richieste, il sig. Ma. assumeva un contegno dilatorio e seguitava a rassicurarlo circa l'imminenza di tali adempimenti;</p><p><br /></p><p>- che, stante la mancata regolarizzazione contrattuale e l'omesso pagamento da parte della B. s.r.l. delle retribuzioni a lui dovute, in data 15.11.2013, provvedeva a rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa.</p><p><br /></p><p>Parte ricorrente adiva pertanto il Tribunale di Parma in funzione di Giudice del lavoro chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Giudice adito, previa fissazione dell'udienza di comparizione personale delle parti e discussione, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e conclusione: in via principale: - accertare e dichiarare che tra il sig. Co. e B. s.r.l. dal novembre 2012 al 15.11.2013 è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento dirigenziale di cui al <a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/04/contratto-dirigenti-industria-2019-2023.html" target="_blank">CCNL Dirigenti delle Piccole e Medie Aziende Industriali</a>, e per l'effetto, - condannare B. S.r.l. al pagamento in favore del sig. Co. delle retribuzioni, del TFR, dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute e non pagate, dei permessi non goduti, tredicesima, quattordicesima e di ogni indennità maturata, da calcolarsi con onere a carico della società convenuta o, disponendo, occorrendo CTU tecnico - contabile, oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva, previdenziale ed assicurativa del ricorrente; accertare e dichiarare la sussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate in data 15.11.2013 dal sig. Co. nei confronti di B. s.r.l. per i motivi meglio esposti in narrativa e, per l'effetto, condannare B. s.r.l. al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso da calcolarsi in base all'inquadramento retributivo dirigenziale di cui al CCNL Dirigenti delle Piccole e Medie Aziende Industriali, con onere a carico del convenuto o nella misura che risulterà, all'esito dell'espletanda CTU tecnico - contabile; in via subordinata, salvo gravame: - accertare e dichiarare che tra il sig. Co. e B. s.r.l. da novembre 2012 al 15.11.2013 è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con qualifica di quadro livello A di cui al CCNL Metalmeccanica - Piccola Industria applicabile "ratione temporis", e per l'effetto, - condannare B. s.r.l. al pagamento in favore del sig. Co. delle retribuzioni, del TFR, dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute e non pagate, dei permessi non goduti, tredicesima, quattordicesima e di ogni indennità maturata, pari alla somma di Euro 44.149,21, come da conteggi allegati, oltre interessi e rivalutazione monetaria, o alla somma maggiore che sarà ritenuta di giustizia, nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva, previdenziale e assicurativa del ricorrente; - accertare e dichiarare la sussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate in data 15.11.2013 dal sig. Co. nei confronti di B. s.r.l. per i motivi meglio esposti in narrativa e, per l'effetto, condannare B. s.r.l. al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso da calcolarsi in base all'inquadramento retributivo di quadro livello A di cui al CCNL Metalmeccanica - Piccola Industria applicabile "ratione temporis", pari alla somma di euro 6.499,98, come da conteggi allegati, oltre interessi e rivalutazione monetaria, o nella misura che risulterà, all'esito dell'espletanda CTU tecnico-contabile; in via ulteriormente subordinata, salvo gravame: - accertare e dichiarare che tra il sig. Co. e B. s.r.l. dal novembre 2012 al 15.11.2013 è intercorso un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa posto in essere in violazione del d.lgs. 276/2003 in quanto privo di progetto, e per l'effetto, disporre la conversione del rapporto in lavoro di natura subordinata fin dalla data di costituzione (novembre 2012) ai sensi dell'articolo 69, comma 1, d.lgs. 276/2003, e per l'effetto, - accertare e dichiarare che tra il sig. Co. e B. s.r.l. dal novembre 2012 al 15.11.2013 è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento dirigenziale di cui al CCNL Dirigenti delle Piccole e Medie Aziende industriali, e per l'effetto, - condannare B. s.r.l. al pagamento in favore del sig. Co. delle retribuzioni, del TFR, dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute e non pagate, dei permessi non goduti, tredicesima, quattordicesima e di ogni indennità maturata, da calcolarsi con onere a carico della società convenuta o, disponendo, occorrendo CTU tecnico-contabile, oltre interessi e rivalutazione monetaria, nonché alla regolarizzazione della posizione contributiva, previdenziale ed assicurativa del ricorrente; - accertare e dichiarare la sussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate in data 15.11.2013 dal sig. Co. nei confronti di B. s.r.l. per i motivi meglio esposti in narrativa e, per l'effetto, - condannare B. s.r.l. al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso da calcolarsi in base all'inquadramento retributivo dirigenziale di cui al <a href="http://www.dirittolavoro.org/2023/04/contratto-dirigenti-industria-2019-2023.html">CCNL Dirigenti delle Piccole e Medie Aziende Industriali</a>, con onere a carico del convenuto o nella misura che risulterà, all'esito dell'espletanda CTU tecnico-contabile; in via ulteriormente subordinata, salvo gravame, accertare e dichiarare che tra il sig. Co. e B. s.r.l. dal novembre 2012 al 15.11.2013 è intercorso un rapporto di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa posto in essere in violazione del d.lgs. 276/2003 in quanto privo di progetto, e per l'effetto, disporre la conversione del rapporto in lavoro di natura subordinata fin dalla data di costituzione (novembre 2013) ai sensi dell'art. 69, comma 1, d.lgs. 276/2003, e per l'effetto, - accertare e dichiarare che tra il sig. Co. e B. s.r.l. dal novembre 2012 al 15.11.2013 è intercorso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con qualifica di quadro livello A di cui al CCNL Metalmeccanica - Piccola Industria applicabile "ratione temporis", e per l'effetto, - condannare B. s.r.l. al pagamento in favore del sig. Co. delle retribuzioni, del TFR, dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute e non pagate, dei permessi non goduti, tredicesima, quattordicesima e di ogni indennità maturata, pari alla somma di Euro 44.149,21, come da conteggi allegati, oltre interessi e rivalutazione monetaria, o alla somma maggiore che sarà ritenuta di giustizia, nonché alle regolarizzazione della posizione contributiva, previdenziale ed assicurativa del ricorrente; - accertare e dichiarare la sussistenza della giusta causa delle dimissioni rassegnate in data 15.11.2013 dal sig. Co. nei confronti di B. s.r.l. per i motivi meglio esposti in narrativa e, per l'effetto, - condannare B. s.r.l. al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso da calcolarsi in base all'inquadramento retributivo di quadro livello A di cui al CCNL Metalmeccanica - Piccola Industria applicabile "ratione temporis", pari alla somma di euro 6.499,98, come da conteggi allegati, oltre interessi e rivalutazione monetaria, o nella misura che risulterà, all'esito dell'espletanda CTU tecnico-contabile; in ogni caso: - con vittoria di anticipazioni e compensi, oltre rimborso forfetario per spese generali, iva e c.n.p.a., come per legge".</p><p><br /></p><p>Provvedeva a costituirsi in giudizio B. s.r.l. chiedendo al Giudice adito l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale Ill.mo, contrariis reiectis, dichiarare la nullità del ricorso e, comunque, l'inammissibilità e, in via di gradata principalità, rigettare perché inammissibili, infondate, non provate o come meglio, le richieste tutte avversarie. Con vittoria di spese".</p><p><br /></p><p>La parte convenuta eccepiva, in via preliminare, la nullità del ricorso per l'omessa produzione dei conteggi relativi alle differenze retributive asseritamente spettanti e per carenza di allegazione circa i fatti costitutivi delle pretese rivendicate in giudizio nonché, in via subordinata, l'inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza ex art. 6 l. n. 604/1966 mentre, nel merito, rilevava l'infondatezza delle domande ex adverso proposte, precisando in punto di fatto che:</p><p><br /></p><p>- la B. s.r.l. è una piccola società operante nel settore della costruzione e della commercializzazione di apparecchiature per il trattamento e la purificazione delle acque che, nel mese di ottobre 2012, occupava n. 6 lavoratori dipendenti, permanendo tale numero di dipendenti sino al novembre 2013, come attestato dal LUL prodotto in giudizio;</p><p><br /></p><p>- che il sig. Co. aveva costituito negli anni novanta alcune società operanti nel settore del trattamento e della depurazione delle acque, tra cui la MKT Commercial e Industrial s.a.s. di Ca. It. Co. & C. e M. H. s.a.s. di Co. Ca. It., rimaste operative sino al dicembre 2013;</p><p><br /></p><p>- che la figlia del ricorrente, sig.ra Ag. Ma. Co., costituiva in data 17.06.2013 la società a responsabilità limitata Omniacque, operante nel medesimo settore merceologico del trattamento e depurazione delle acque;</p><p><br /></p><p>- che le suddette società acquistavano prodotti realizzati da B. s.r.l. al fine di commercializzarli ma che non provvedevano a saldare le fatture emesse dalla società convenuta, rimanendo insolventi;</p><p><br /></p><p>- che il sig. Co., al fine di porre rimedio alla posizione debitoria della figlia, si proponeva alla B. quale procacciatore di affari futuri, tentando, in particolare, di coltivare una partnership tra la società convenuta e la Om. al fine di creare, con un soggetto terzo, un ulteriore soggetto giuridico autonomo al cui interno fare operare in qualità di dirigente il sig. Lu. Do.;</p><p><br /></p><p>- che il suddetto progetto non andava a buon fine;</p><p><br /></p><p>- che il ricorrente non aveva mai svolto alcuna attività lavorativa subordinata e/o di collaborazione a favore della B. s.r.l. e che non gli era mai stata offerta alcuna posizione lavorativa all'interno della società.</p><p>La causa, istruita tramite prove documentali e per testi, veniva rinviata per discussione all'udienza del 16.07.2019 e successivamente differita d'ufficio all'udienza dello 09.06.2020 per i medesimi incombenti. Con decreto del 26.05.2020, il Giudice disponeva la trattazione scritta dell'udienza ex art. 83, settimo comma, lett. h), d.l. n. 18/2020, come convertito dalla l. n. 27/2020. Nelle note scritte depositate telematicamente ai sensi della suddetta norma, le parti insistevano per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nei rispettivi atti introduttivi.</p><p><br /></p><p>Tanto premesso in relazione allo svolgimento del processo, osserva il Giudice come le eccezioni preliminari sollevate dalla parte convenuta siano infondate.</p><p><br /></p><p>Quanto all'eccezione di mancato deposito dei conteggi relativi alle somme richieste a titolo di differenze retributive, si deve innanzitutto rilevare come parte ricorrente abbia omesso di depositare i suddetti conteggi in relazione alla domanda proposta in via principale di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con qualifica dirigenziale mentre li abbia prodotti in relazione alla domanda subordinata di accertamento del rapporto di lavoro subordinato con inquadramento nella qualifica di quadro. Ebbene, secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, "nel rito di lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto o delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l'esame complessivo dell'atto - che compete al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione - sia impossibile l'individuazione esatta della pretesa dell'attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa. Ne consegue che la suddetta nullità deve essere esclusa nell'ipotesi in cui la domanda abbia per oggetto spettanze retributive, allorché l'attore abbia indicato - come nel caso di specie - il periodo di attività lavorativa, l'orario di lavoro ed abbia altresì specificato la somma complessivamente pretesa e i titoli in base ai quali vengono richieste le spettanze, rimanendo irrilevante la mancata formulazione di conteggi analitici" (Cass. 22.02.2011, n. 11434; Cass. civ., sez. lav., 10.11.2003, n. 16855). Il mancato deposito di conteggi analitici non determina, dunque, la nullità del ricorso qualora, dall'esame complessivo dell'atto, sia possibile determinare l'oggetto della pretesa ed i fatti costitutivi della stessa.</p><p><br /></p><p>Osserva il Giudice come, nel presente procedimento, parte ricorrente indichi specificatamente le mansioni suppostamente svolte a favore della B. s.r.l., il periodo di attività lavorativa e l'inquadramento richiesto in via principale e subordinata. Seppur non via sia specificazione dell'importo complessivamente richiesto a titolo di differenze retributive nella domanda formulata in via principale, lo stesso può essere calcolato sulla base delle circostanze di fatto allegate nel ricorso medesimo, ossia la pattuizione di una retribuzione netta pari ad euro 3.000,00 e lo svolgimento di attività lavorativa di responsabile/dirigente commerciale nel periodo complessivamente intercorso dal novembre 2012 al 15.11.2013.</p><p><br /></p><p>In considerazione della piena comprensibilità del petitum e della causa petendi delle domande proposte da It. Ca. Co., le eccezioni di nullità del ricorso devono pertanto essere rigettate.</p><p><br /></p><p>Quanto all'eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza ex art. 6 l. n. 604/1966, disposizione applicabile ai sensi dell'art. 32, terzo comma, lett. a) e b), l. n. 183/2010 anche ai casi di licenziamento che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto e a quelli di recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di cui all'art. 409, n. 3), del codice di procedura civile, si rileva come, nel presente procedimento, il ricorrente non abbia impugnato un licenziamento, deducendo anzi di essersi dimesso per giusta causa, ma abbia richiesto l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la conseguente condanna della società convenuta alla corresponsione delle differenze retributive maturate. Stante la non sussumibilità della fattispecie in esame nella norma invocata dal ricorrente, anche tale eccezione preliminare deve essere respinta.</p><p><br /></p><p>Nel merito, il ricorso non è fondato.</p><p><br /></p><p>Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato - ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo - è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative" e "l'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo" (Cass. civ., sez. lav., 17.10.2011, n. 21439; in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. lav., 12.09.2003, n. 13448; Cass. civ., sez. lav., 21.11.2001, n. 14664; Cass. civ., sez. lav., 03.04.2000, n. 4036).</p><p><br /></p><p>La Corte di Cassazione ha altresì statuito che "in caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con una continuità regolare, anche negli orari, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato oppure autonomo, sia pure come collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto - con accertamento di fatto incensurabile in Cassazione se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato - dando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto, senza che il "nomen juris" utilizzato dalle parti possa assumere carattere assorbente" (Cass. civ. sez. lav., 07.08.2008, n. 21364; in tal senso, anche Cass. civ. sez. lav., 28.03.2003, n. 4770). Con riferimento specifico al contratto di lavoro subordinato con qualifica dirigenziale, la Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che, ai fini della prova, "occorre verificare se il lavoro svolto possa comunque essere inquadrato all'interno della specifica organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se la parte possa ritenersi assoggettata, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro (e, in particolare, dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso), nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale" (Cass. civ., sez. I, 10.05.2016, n. 9463).</p><p><br /></p><p>Al fine di accertare la natura del rapporto di lavoro asseritamente intercorso tra il Co. e la B., s.r.l., il Giudice ha ammesso le prove testimoniali richieste dalle parti inerenti alle modalità di svolgimento del rapporto medesimo, escludendo ai sensi dell'art. 2721 c.c. i capitoli di prova riguardanti il presunto accordo tra il Co. e il Ma. avente ad oggetto la stipula del contratto di lavoro subordinato dirigenziale.</p><p><br /></p><p>Orbene, l'istruttoria testimoniale svolta ha permesso di appurare come il ricorrente abbia svolto delle trattative commerciali in nome e per conto della B. nel periodo oggetto di accertamento ma non è in alcun modo emersa la soggezione del ricorrente al potere direttivo, conformativo e di controllo della parte convenuta, neppure in forma lieve o attenuata, né il suo stabile inserimento nell'organizzazione aziendale.</p><p><br /></p><p>In sede di escussione testimoniale, il sig. Marco Pi., ex dipendente di B. s.r.l., circa la natura dei rapporti tra il Codraro e la società convenuta ha dichiarato quanto segue: "Ho lavorato per B. fino al mese scorso; il rapporto di lavoro si è interrotto perché ho aperto un'attività autonoma.</p><p><br /></p><p>Nell'ultimo periodo ero amministratore delegato di B. mentre nel periodo 2012-2013 lavoravo nell'ufficio tecnico di B.. Non sono socio di B. e non lo sono mai stato neanche in passato. So che il ricorrente e la figlia del ricorrente nel passato avevano costituito società nel settore del trattamento e della depurazione delle acque; so che esisteva la Om. s.r.l. ma non so quale fosse la compagine sociale; so che era una società riconducibile alla famiglia Co.. So che le società riconducibili alla famiglia Co. avevano acquistato prodotti da B.; da quello che so io le fatture non erano state all'epoca integralmente pagate e quindi B. s.r.l. era creditrice nei confronti di tale società. Preciso che tra il novembre 2012 e il novembre 2013, mi è capitato di vedere il ricorrente in azienda. Io lo vedevo saltuariamente in azienda; per me all'epoca il ricorrente era un cliente di B.; che io sappia non aveva un rapporto di lavoro con la B.. Quando lo vedevo, venivo a parlare con il legale rappresentante di B., Ma.. In relazione al capitolo n. 8 di parte convenuta, posso dire di non ricordarmi se il ricorrente si fosse proposto come procacciatore di affari. Nulla so sul capitolo 9 in merito ad un tentativo di partnership operato dal ricorrente tra la B. e la Om.. Può essere che abbia avuto una corrispondenza via email con il ricorrente: non mi ricordo quale fosse l'indirizzo email del ricorrente e se lo stesso usasse quindi un indirizzo riconducibile alla B.".</p><p><br /></p><p>Queste invece le dichiarazioni testimoniali rese da Ma. Al., che tuttora presta attività lavorativa a favore della società convenuta: "Sono un collaboratore esterno di B. dal 2009; ho un contratto di collaborazione e mi occupo degli aspetti amministrativi e contabili della società. So dell'esistenza di Omniacque sia come cliente che come fornitore; so che Omniacque aveva un debito nei confronti della società B. ma allo stesso tempo crediti per prestazioni rese, nella specie servizi di manutenzione.</p><p><br /></p><p>So anche che M. T. e M. H. erano altre società riconducibili al ricorrente e che erano clienti della B. s.r.l. e so che la M. T. allo stesso tempo svolgeva a favore della B. prestazioni di manutenzione nel territorio di Bologna. Non so nulla sul capitolo n. 8, ossia se il ricorrente si sia proposto come procacciatore d'affari alla B. s.r.l.. Nulla so in relazione al capitolo n. 10 di parte convenuta. Nel periodo tra il novembre 2012 e il novembre 2013, mi è capitato di vedere nella sede aziendale della B. il ricorrente; l'ho incrociato alcune volte, all'incirca 3-4, dirigersi in produzione; non so cosa facesse in produzione. Il ricorrente non aveva un ufficio presso la B. s.r.l.".</p><p><br /></p><p>La saltuarietà della presenza del ricorrente in azienda è stata confermata altresì dal teste Re. Ma., fratello del legale rappresentante della società convenuta e dipendente della stessa, che, dopo aver premesso di lavorare in officina e non nel piano superiore in cui sono situati gli uffici, ha asserito di aver visto il ricorrente un paio di volte in produzione, specificando come il medesimo fosse venuto con suo fratello a visionare dei prodotti.</p><p><br /></p><p>Sono stati altresì escussi i testi Ga. Re., Lu. Zo. e Ro. Ba. che hanno affermato di aver condotto trattative commerciali con il sig. It. Ca. Co. nel periodo oggetto di causa.</p><p><br /></p><p>Il teste Ga. Re., dirigente della società H. che commercializza prodotti per il mercato dentale, ha asserito di essere stato contattato per conto di B. da parte del ricorrente, di aver interloquito con lo stesso, svolgendo anche degli incontri presso la sede legale della società a Fornovo ma che la trattativa contrattuale non aveva esito positivo. Lu. Zo. e Ro. Ba., dipendenti di T. s.r.l., società che si occupa di impianti per l'industria farmaceutica, hanno parimenti asserito di aver avuto dei contatti e colloqui commerciali con il ricorrente. Il primo ha dichiarato nello specifico quanto segue: "Mi ricordo che nel 2013, quando già lavoravo per T., che ci fu un problema con un cliente di T. e che per risolverlo contattammo H. nella persona del ricorrente; preciso che H. era un'azienda fornitrice; mi ricordo che però successivamente la T. la proposta la ricevette dalla B.. Io non sapevo all'epoca dell'esistenza di B.; ho appreso dell'esistenza al momento del ricevimento della proposta. Non ho più seguito direttamente la questione. Io mi ricordo che prima di iniziare a lavorare per T. ebbi un incontro con il ricorrente e il sig. Re. Ma. in un albergo di Roma dove abbiamo discusso di un progetto sviluppato dal ricorrente; si trattava di un progetto di commercializzazione dei prodotti per il trattamento delle acque; il ricorrente è arrivato con il sig. Ma.; per me il sig. Ma. rappresentava l'H.; non so quale fosse il rapporto in essere tra il ricorrente e il sig. Ma..</p><p><br /></p><p>Preciso che lo scopo dell'incontro era quello di coinvolgermi nel progetto, non sono state specificate in tale incontro le modalità del mio coinvolgimento; pochi mesi dopo io sono stato assunto e la cosa è stata abbandonata. Il progetto era ad uno stadio iniziale per quanto mi riguarda".</p><p><br /></p><p>Ro. Ba. ha invece reso le seguenti dichiarazioni: "Non ricordo di aver mai visto prima il ricorrente. Ho avuto dei rapporti via email con il ricorrente. Nel 2013, un cliente della T. aveva dei problemi ad una macchina e ci chiese di perfezionarla; il mio collega Zo. mi segnalò che questo problema poteva essere affrontato dal sig. Co.; probabilmente il ricorrente fu contattato dallo Zo.; il sig. Co. mi inviò un'email con un'offerta della società B.; l'indirizzo email utilizzato da Co. era omissis@B..com; il mio collega Zo. poi mi ha inoltrato in data 05.07.2013 un'ulteriore proposta inviatagli da Co. con lo stesso indirizzo email; successivamente c'è stato un altro scambio di email tra di noi in cui il ricorrente correggeva la proposta. L'affare si ferma fino al novembre 2013 quando il cliente della T. ci manda l'ordine dicendoci che potevamo fare il lavoro; io l'8 novembre ho chiesto a Co. che il lavoro fosse svolto dal 25 al 29 novembre 2013. So che poi il lavoro non è stato svolto perché la B. non ci ha mandato la documentazione necessaria. Non so quale fosse il ruolo del ricorrente all'interno della B. s.r.l..</p><p><br /></p><p>L'ordine è stato cancellato il 4 dicembre 2013. Non mi ricordo di aver fatto un sopralluogo con il ricorrente nel luogo di esecuzione dei lavori".</p><p><br /></p><p>Dalle testimonianze di Re., Zo. e Ba., risulta pacificamente che il ricorrente abbia trattato alcuni affari per conto della B., circostanza che emerge altresì dalle email prodotte da parte ricorrente, attestanti la sussistenza di colloqui e trattative commerciali con clienti e fornitori, che, seppure contestate da parte convenuta, possono assumere valore indiziario e confermativo di ulteriori mezzi di prova. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, "il messaggio di posta elettronica è riconducibile alla categoria dei documenti informatici, secondo la definizione che di questi ultimi reca il D.lgs n. 82 del 2005, art. 1, comma 1, lett. p, ("documento informatico: il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti"), riproducendo, nella sostanza, quella già contenuta nel D.P.R. n. 445 del 2000, art. 1, comma 1, lett. b). Quanto all'efficacia probatoria dei documenti informatici, l'art. 21 del medesimo D.Lgs., nelle diverse formulazioni, ratione temporis vigenti, attribuisce l'efficacia prevista dall'<a href="https://formulario-online.blogspot.com/2023/04/art-2702-codice-civile.html">art. 2702 c.c. </a>solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, mentre è liberamente valutabile dal giudice, ai sensi del D.lgs. n. 82 del 2005, art. 20, l'idoneità di ogni diverso documento informatico (come l'email tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità". (Cass. civ., sez. lav., 08.03.2018, n. 5523).</p><p><br /></p><p>Lo svolgimento di tali attività è però del tutto compatibile con la sussistenza di un rapporto di procacciamento di affari, tesi sostenuta da parte convenuta, secondo cui il ricorrente avrebbe promosso, in modo saltuario e occasionale, la conclusione di contratti a favore della B. s.r.l. al fine di rimediare all'esposizione debitoria della società della figlia e favorire accordi e strategie commerciali nell'interesse anche delle società di famiglia. Non vi è infatti prova dell'esercizio di un potere direttivo e/o organizzativo da parte del legale rappresentante della B. nei confronti del ricorrente né risulta che lo stesso fosse inserito stabilmente nell'organizzazione aziendale, dal momento che, come riferito dal teste Al., il Co. non aveva neanche un ufficio personale. Dalle prove testimoniali, è emerso inoltre come la sua presenza nella sede legale della società fosse saltuaria ed è inoltre circostanza incontestata che il ricorrente non abbia percepito alcun tipo di retribuzione per tutto il supposto periodo di durata del rapporto di lavoro. L'attività lavorativa prestata dal ricorrente non può quindi essere sussunta all'interno del paradigma della subordinazione.</p><p><br /></p><p>Stante il carattere saltuario dell'apporto lavorativo prestato dal ricorrente a favore della B. s.r.l. e la mancata prova della sussistenza di modalità effettive di coordinamento tra l'attività di promozione di affari da lui svolta con quella aziendale, tale rapporto non può nemmeno essere qualificato come collaborazione coordinata e continuativa.</p><p><br /></p><p>Alla luce delle considerazioni sopra espresse, tutte le domande proposte da parte ricorrente devono quindi essere rigettate.</p><p><br /></p><p>Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate, ai sensi del d.m. 55/2014, tenuto conto del valore della controversia, dell'attività difensiva in concreto espletata dalle parti e del livello di complessità delle questioni giuridiche oggetto di causa, come da dispositivo.</p><p><br /></p><p>P.Q.M.</p><p>Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione, così decide:</p><p><br /></p><p>- rigetta le domande proposte da It. Ca. Co. nei confronti di B. s.r.l.;</p><p><br /></p><p>- condanna It. Ca. Co. a rifondere a B. s.r.l. le spese di lite, liquidate in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.</p><p><br /></p><p>Parma, 09.06.2020</p>Unknownnoreply@blogger.com