Conteggi lavoro

martedì 21 febbraio 2012

CASS., SEZ. LAV., SENTENZA N. 6046 DEL 11.05.2000 - INTERESSE AD AGIRE

Svolgimento del processo

Con sentenza del 6 maggio 1997 il Tribunale di Siracusa, decidendo sull'appello dell'A. P. S.p.A. nei confronti di 22 dipendenti, avverso sentenza del pretore della medesima città, rigettava l'appello confermando la sentenza impugnata, che aveva accolto le domande dei lavoratori dirette ad accertare che la indennità di tecnico di turno era elemento irriducibile della retribuzione e la computabilità nel trattamento di fine rapporto di questa indennità e di quella di reperibilità.

Osservava in motivazione che la eccezione di inammissibilità della seconda domanda per difetto di interesse ad agire andava esclusa in conformità della giurisprudenza della SS.UU. n. 11945 del 1990. In ordine al motivo di appello, che deduceva che le indennità per le prestazioni di tecnico principale di turno e di reperibilità, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, erano connesse ad elementi accidentali della prestazione, dipendenti da occasionali esigenze del lavoro ed in particolare che la indennità di tecnico principale di turno non premiava una professionalità aggiuntiva, ma soltanto il disagio nelle mansioni, il Tribunale osservava che la accertata attività ed adempimenti del Tecnico di turno, descritti nel manuale delle procedure, gli obiettivi connessi a tale figura, l'addestramento al quale gli appellati furono sottoposti prima di essere adibiti a detta funzione nonché il carattere periodico della mansione, mediante turnazione, facevano ritenere che essa facesse parte della complessiva condotta lavorativa pretesa dal datore di lavoro. Osservava, inoltre, che non aveva rilevanza la frequenza con la quale gli appellati dovevano esperire le specifiche mansioni, in quanto la particolare prestazione dei lavoratori si esplicava nell'assicurare, al di fuori del normale orario di lavoro, il presidio dello stabilimento garantendo, grazie alla specifica professionalità raggiunta anche con l'addestramento, un immediato intervento nelle situazioni di emergenza e con compiti di rappresentanza esterna.

L'A. P. S.p.A. propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, resistono con controricorso i 19 lavoratori in epigrafe, mentre T. E., B. P. e S. S.o non si sono costituiti.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso l'A., denunziando la violazione dell'art. 100 c.p.c. e il vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.), deduce che, in relazione alla domanda di irriducibilità di alcuni compensi, manca l'interesse concreto ed attuale, non essendo tale quello connesso alla dedotta possibilità dell'azienda di eliminare la figura di tecnico principale di turno e la relativa indennità. Quanto all'interesse per la domanda di computo delle indennità nel t.f.r., rileva la insufficienza della motivazione con il solo richiamo di una sentenza delle Sezioni Unite, trascrivendo la ricorrente, a sua volta, altra massima di questa Corte n. 4725 del 1996 in tema di sufficienza della motivazione.

La prospettazione della mancanza dell'interesse ad agire deduce un vizio del procedimento per difetto di condizione dell'azione ossia della ammissibilità della domanda (art. 360, n. 4, c.p.c.); in relazione ad esso la Corte è giudice del fatto, sicché non rileva come sia stato prospettato dai ricorrenti l'interesse al giudice di merito né come questi abbia motivato la sussistenza o meno dell'interesse; la questione che il motivo pone alla Corte, indipendentemente dalla sua formulazione, è soltanto di accertare se sussiste o meno questa condizione dell'azione o presupposto processuale. Ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'interesse ad agire nelle azioni di mero accertamento consiste nell'incertezza oggettiva in ordine ad un diritto e non nell'attuale lesione di esso, si rileva che la contestazione della odierna ricorrente in ordine ai diritti azionati ha fatto certamente sorgere l'incertezza oggettiva ed il diritto ad agire in accertamento, non dubitandosi che tale interesse non deve necessariamente esistere al momento della domanda ma potendo esso sorgere nel corso del giudizio e nella specie per effetto della contestazione del convenuto (cfr. Cass., n. 1675 del 1978).

In relazione alle due domande proposte la ricorrente deduce, inoltre, il difetto di attualità dell'interesse. Si osserva che il diritto alla conservazione della indennità di tecnico principale di turno è caratteristica, stabilità di un diritto di natura retributiva, attuale del diritto medesimo, che gli appellati hanno, quindi, interesse ad accertare attesa la contestazione della controparte.

Il meccanismo previsto dalla legge, art. 2120 c.c., per il trattamento di fine rapporto mediante accantonamento contabile durante tutto il rapporto, sul quale sono possibili anticipazioni in favore del dipendente durante il rapporto, fuga ogni dubbio sulla sussistenza di un interesse attuale ad agire in accertamento del suo ammontare (cfr. Cass., n. 9819 del 1996, n. 2714 del 1993 e n. 7081 del 1991).

Con il secondo motivo la ricorrente assume che la sentenza di appello è viziata di ultrapetizione (art. 112 c.p.c. in rel. all'art. 360, n. 3, c.p.c.), in quanto conferma quella di primo grado che aveva affermato anche la irriducibilità della indennità di reperibilità, non oggetto di domanda dei ricorrenti. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell'art. 2103 c.c. e il vizio di motivazione per avere il Tribunale confermato la irriducibilità della indennità di reperibilità.

I due motivi, che si trattano congiuntamente perché connessi, non hanno fondamento. Invero, esaminando la sentenza di appello, si osserva che questa, nel riportare lo svolgimento del processo, indica in relazione alla indennità di tecnico principale di turno ai capi a) e b) le domande rispettivamente di irriducibilità e di computo nel t.f.r. ed al capo c) per la indennità di reperibilità la sola domanda di computo del trattamento di fine rapporto. Nel riferire il deciso, rileva che il pretore "accoglieva la domanda". Ed invero la sentenza di primo grado nella motivazione e nel dispositivo ha distintamente indicato le domande proposte ed accolte e non ha pronunciato sulla irriducibilità della indennità di reperibilità. Nella motivazione il Tribunale argomenta in tema di irriducibilità solo in relazione alla indennità di tecnico principale di turno.

Risultando quindi che la sentenza impugnata, in relazione alla indennità di reperibilità, ha accertato che la sentenza di primo grado ha pronunciato solo la computabilità nel t.f.r., e non anche la irriducibilità, e nel dispositivo la ha confermata, la censura di ultrapetizione e quella di vizio di motivazione appaiono del tutto infondate in quanto censurano un insussistente capo della sentenza.

Per l'ultrapetizione va aggiunto anche che questo vizio della sentenza di primo grado non si comunica alla sentenza di appello che la confermi, salvo che la prima sentenza sia impugnata per ultrapetizione e quella di appello ne escluda erroneamente la sussistenza. Nella specie, non essendo stato denunciata con l'appello l'ultrapetizione, il vizio, se fosse stato sussistente, non sarebbe più censurabile per intervenuto giudicato.

Con il terzo motivo, denunziando la violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c. ed il vizio di motivazione (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.), l'A. P. censura la motivazione della sentenza del Tribunale per avere ritenuto le prestazioni connesse alle due indennità (tecnico principale di turno e reperibilità) intrinseche alle mansioni dei ricorrenti, evidenziando invece il loro carattere estrinseco e diretto a compensare un disagio ulteriore rispetto alle mansioni, non rilevando la loro continuità, e cita la giurisprudenza di legittimità che in tema di indennità di turno e reperibilità ha escluso il carattere di mansione e l'applicabilità ad esse della "irriducibilità" del relativo compenso.

Le censure sono infondate. La sentenza impugnata, come si è visto, per l'indennità di reperibilità ha ritenuto solo la computabilità nel T.F.R. e non ha affermato la irriducibilità di questa indennità, sicché la censura investe un capo insussistente.

Quando alla indennità di tecnico principale di turno, le censure alla motivazione sono infondate e le massime citate non pertinenti.

Infatti la sentenza impugnata non fonda sulla turnazione il giudizio che l'indennità compensasse una professionalità aggiuntiva delle mansioni di tecnico di turno, ma sul rilievo che esse comportassero compiti aggiuntivi a quelli propri della qualifica, per l'espletamento dei quali era stato necessario un ulteriore addestramento. La continuità su turni dell'espletamento della mansione è stata rilevata al fine di evidenziare la normale connessione con le mansioni proprie dei lavoratori ed escluderne la eccezionalità.

La massima di questa Corte citata dalla ricorrente (Cass., n. 974 del 1986) si riferisce alla comune indennità di turno che compensa soltanto il disagio di dovere effettuare la prestazione in orari diversi in base a turni prestabiliti, mentre quella in esame, secondo l'accertamento di fatto del Tribunale, compensava la maggiore professionalità richiesta in determinati turni.

Si deve concludere che la motivazione su questo punto di fatto è immune da vizi logici e giuridici e rigettare il motivo.

Con l'ultimo motivo si deduce la violazione dell'art. 2120 c.c., per avere il Tribunale ritenuto la computabilità delle due voci in contrasto con l'art. 65 del contratto per il settore energia dell'E. che, secondo la ricorrente, regolava il rapporto.

Trattasi di questione nuova, non proposta con la domanda introduttiva e non oggetto della sentenza impugnata, e di fatto, in quanto implica l'accertamento della applicabilità al rapporto di un determinato contratto e del suo contenuto, che è perciò inammissibile in sede di legittimità.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo in favore dei controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione in favore dei controricorrenti che si liquidano in L. 20.200 oltre lire quattromilioni di onorario di avvocato.

Così deciso in Roma l'1 dicembre 1999.