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giovedì 16 febbraio 2012

CASS. SENT. N. 13137 DEL 25.11.1999 - POTERE DISCIPLINARE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 giugno 1996 il Tribunale di Grosseto, decidendo sull'appello della S. S.p.A. nei confronti di M. A., avverso sentenza del Pretore della medesima città, rigettava l'appello confermando l'accoglimento della impugnativa del licenziamento disciplinare irrogato al M. il 5 maggio 1993 per essere stato comminato oltre il decimo giorno successivo alla contestazione dell'addebito disciplinare, termine di decadenza fissato dall'art. 93 del C.C.N.L. 30 maggio 1991 che regolava il rapporto.

Osservava in motivazione che le censure alla applicazione analogica della norma contrattuale, inserita tra quelle che regolano il procedimento per la irrogazione delle sanzioni conservative, al licenziamento disciplinare distintamente regolato dal medesimo contratto, non erano condivisibili.

Riteneva che quelle stesse esigenze che avevano portato, attraverso gli interventi adeguatori della Corte costituzionale e della giurisprudenza di legittimità, ad estendere la procedura prevista dall'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, originariamente previsto solo per le sanzioni disciplinari conservative al licenziamento disciplinare, portavano alla applicazione, estensiva e non analogica, dei primi tre commi e del quinto comma dell'art. 93 del C.C.N.L. al licenziamento disciplinare, attesa la comune natura di misura disciplinare. Aggiungeva che il rilievo che la norma prevedesse la motivazione della irrogazione della sanzione, non applicabile al licenziamento, non impediva l'estensione del solo garantistico sbarramento temporale.

Osservava che la ratio allegata dall'appellante per la differente disciplina, e cioè la necessità di un maggior "spatium deliberandi", non era conciliabile con la natura del licenziamento in tronco, cioè con una situazione che rende impossibile la protrazione anche temporanea del rapporto di lavoro ed esige la maggiore immediatezza delle sanzioni disciplinari.

Propone ricorso per cassazione affidato a due motivi La S.; il M. non si è costituito.

Motivi della decisione

Con i due motivi di ricorso, che si trattano congiuntamente perché connessi, denunziando la violazione e falsa applicazione dell'art. 1362 c.c. e segg. nonché il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5), la ricorrente S. S.p.A. lamenta che nella interpretazione del contratto collettivo non sia data preminenza alla interpretazione letterale, rilevando come nel contratto collettivo fossero date distinte e minuziose regolamentazioni del procedimento disciplinare per la irrogazione delle sanzioni conservative e di quello per il licenziamento disciplinare, sicché era arbitraria l'interpretazione estensiva della clausola di cui all'art. 93, comma sesto.

Contestava inoltre la sussistenza nella specie delle medesime ragioni che indussero la Corte costituzionale e la giurisprudenza di legittimità ad estendere al licenziamento disciplinare le garanzie procedimentali previste dall'art. 7 della legge n. 300 del 1970, in quanto nel 1991 - data di stipula del contratto collettivo in questione - non vi era quel dubbio in ordine alla applicabilità delle garanzia procedimentali anche al licenziamento disciplinare che aveva legittimato l'estensione ed erano previste dallo stesso contratto specifiche garanzie anche per il licenziamento.

Le censure sono fondate.

La sentenza impugnata fonda la interpretazione estensiva della clausola di cui all'art. 93, sesto comma, del Contratto collettivo sul parallelismo tra le ragioni che indussero la giurisprudenza ad estendere le garanzie procedimentali previste dalla legge per le sanzioni conservative al licenziamento e quelle che suggerirebbero la estensione di una garanzia prevista dal contratto per le sanzioni disciplinari conservative a quelle espulsive.

Tale analogia non sussiste e rende illogica la motivazione che su di essa fonda la applicazione estensiva della clausola contrattuale. Infatti, mentre per l'estensione delle regole procedimentali legali militavano la ritenuta mancanza di garanzie procedimentali per la irrogazione del licenziamento, ritenendosi all'epoca applicabile l'art. 7 della legge n. 300 del 1970 solo alle sanzioni conservative, e la conseguente irragionevolezza di non estendere alla sanzione disciplinare più grave le garanzie procedimentali previste per quelle conservative, una volta che le garanzie procedimentali legali sono state estese al licenziamento disciplinare, non vi è ragione per ritenere che le ulteriori regole fissate dai contratti collettivi per i due procedimenti debbano essere identiche.

Non vi sono ragioni logiche o giuridiche per ritenere che il contratto collettivo non possa dettare regole diverse per il procedimento disciplinare per le sanzioni conservative e per il licenziamento, tenuto conto che la comune appartenenza al "genus" delle sanzioni disciplinari, non esclude la possibilità di una autonoma disciplina procedimentale per il licenziamento, come del resto ammette anche la sentenza impugnata ove afferma non è estensibile al licenziamento la regola della motivazione contestuale all'irrogazione della sanzione, prevista dal medesimo art. 93 per le sanzioni conservative.

Premesso, quindi, che il canone primario per la interpretazione dei contratti è quello letterale (cfr. Cass. n. 4221 e n. 1940 del 1998, n. 321 del 1990 e n. 846 del 1984), il Tribunale ha violato questa regola ermeneutica omettendo preliminarmente di accertare se il contratto collettivo preveda espressamente distinte procedure per l'irrogazione delle sanzioni conservative e per quelle espulsive, nel qual caso sarebbe contro la lettera e la volontà delle parti, che è dato desumere dalla duplice e quindi distinta disciplina, estendere al licenziamento la decadenza in oggetto prevista per le sanzioni conservative, tenendo conto altresì che l'esigenza di sollecita definizione del procedimento disciplinare è autonomamente assicurata dal principio di immediatezza, più volte affermato da questa Corte con riguardo al licenziamento (tra le tante cfr. Cass. n. 5271 del 1997, n. 129 e n. 7889 del 1996).

Va ancora rilevato che le norme sulla decadenza sono di stretta interpretazione e quindi insuscettibili di applicazione estensiva (cfr. Cass. n. 529 del 1997 e n. 5332 del 1990).

Per contro se il contratto collettivo nel regolare il licenziamento disciplinare non ne disciplinasse affatto la procedura, neppure con il richiamo a quella legale, non sarebbe illogico ritenere che l'unica disciplina dettata dal contratto per il procedimento disciplinare, anche se in sede di sanzioni conservative, si applichi direttamente anche al licenziamento quando esso abbia natura di sanzione disciplinare.

La sentenza impugnata che non si è attenuta a questi canoni legali di interpretazione dei contratti ed ha inoltre motivato illogicamente su un punto decisivo va cassata a sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La causa va pertanto rinviata ad altro tribunale che si designa nel dispositivo, il quale nel decidere si atterrà ai principi enunciati in motivazione. Allo stesso giudice si demanda anche, ex art. 385 terzo comma c.p.c, di provvedere in ordirne alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Siena.

Così deciso in Roma il 17 giugno 1999.