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venerdì 27 gennaio 2012

RIFIUTO TRATTENERE CONTRIBUTI - CONDOTTA ANTISINDACALE - CASS. SEZ. LAV. SENT. N. 21368 DEL 07.08.2008

Svolgimento del processo

La sentenza di cui si domanda la cassazione, decidendo sull'appello proposto dalla Federazione lavoratori metalmeccanici uniti - F.L.M.U - contro la decisione del Tribunale di Brindisi in data 19.7.2004, conferma la detta decisione nella parte in cui aveva accolto l'opposizione a decreto emanato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28, riformandola soltanto in ordine alla statuizione sulle spese del giudizio.

Con l'indicato decreto era stata ordinata la cessazione della condotta antisindacale tenuta dalla A. SpA e consistente nel rifiuto di trattenere e versare all'organizzazione sindacale ricorrente i contributi oggetto di cessione del credito da parte dei singoli lavoratori.

La sentenza ritiene non configurabile il carattere dell'antisindacalità della condotta, non essendo obbligato il datore di lavoro a dare esecuzione ad una cessione parziale del credito retributivo comportante oneri aggiuntivi. La cassazione della sentenza è domandata dall'organizzazione sindacale per un unico motivo; resiste con controricorso la Società.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo di ricorso è denunciata violazione di legge e vizio di motivazione per avere escluso la sentenza impugnata che fosse intervenuta valida ed efficace cessione del credito alla parte della retribuzione corrispondente ai contributi sindacali;

sussisteva, invece, inadempimento del datore di lavoro costituente condotta antisindacale, siccome gli oneri aggiuntivi erano minimi e i precetti di buona fede e correttezza imponevano di effettuare le ritenute e i versamenti al sindacato.

Il motivo è fondato.

Sulla questione è intervenuta, a composizione di contrasto di giurisprudenza, la sentenza della Corte, a Sezione unite, 21 dicembre 2005, n. 28269, che ha enunciato il seguente principio di diritto "Il referendum del 1995, abrogativo dell'art. 26 stat. lav., comma 2, e il susseguente D.P.R. n. 313 del 1995, non hanno determinato un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo. Pertanto, ben possono i lavoratori, nell'esercizio della propria autonomia privata ed attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato - cessione che non necessita, in via generale, del consenso del debitore -richiedere al datore di lavoro di trattenere sulla retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso; qualora il datore di lavoro affermi che la cessione comporti in concreto, a suo carico, un nuovo onere aggiuntivo insostenibile in rapporto alla sua organizzazione aziendale e perciò inammissibile ex artt. 1374 e 1375 c.c., deve provarne l'esistenza. L'eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità e l'efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l'inadempimento del debitore ceduto, finchè il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi. Il rifiuto del datore di lavoro di effettuare tali versamenti, qualora sia ingiustificato, configura un inadempimento che, oltre a rilevare sul piano civilistico, costituisce anche condotta anti sindacale, in quanto pregiudica sia i diritti individuali dei lavoratori di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato stesso di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività".

La sentenza impugnata non è conforme a tale principio di diritto. Va pertanto cassata con rinvio ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Bari, che vi darà applicazione procedendo a tutti gli accertamenti necessari alla risoluzione della controversia. Il giudice del rinvio è anche incaricato di regolare le spese del giudizio di cassazione (art. 385 c.p.c., comma 3).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 7 maggio 2008.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2008