Conteggi lavoro

giovedì 19 gennaio 2012

PREVIDENZA SOCIALE - Sentenza Cass. Sez. Unite, n. 916 del 03.02.1996

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15 luglio 1993 n. 526 il Tribunale di Livorno confermava la decisione pretorile che aveva rigettato l'opposizione della locale Unità sanitaria n. 13 contro l'ordinanza-ingiunzione dell'Inail, emanata per l'omesso versamento di contributi assicurativi in data 11 gennaio 1990, e notificata il 15 gennaio successivo.

Il Tribunale rigettava preliminarmente l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalla USL appellante, rilevando essere stata emanata l'ordinanza ai sensi degli artt. 22 e 23 l. n. 689 del 1981, che prevedono espressamente la competenza del pretore per i relativi giudizi d'opposizione.

Nel merito, il collegio riteneva che l'art. 112, secondo comma, D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 assoggettasse i crediti contributivi dell'Inail ad una prescrizione triennale e che tuttavia la norma si applicasse solo ai crediti già accertati in modo definitivo: per quelli ancora soggetti ad accertamento ispettivo, la prescrizione era quella ordinaria decennale di cui all'art. 2946 cod. civ., onde risultava infondata anche l'eccezione di prescrizione, sollevata dall'appellante.

Quanto alla sussistenza dei crediti, dalle indagini ispettive era risultato che la USL impiegava personale assoggettato ad assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in parte perché addetto a macchinari di cui all'art. 1 d.P.R. cit. e in parte perché conducente veicoli a motore.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la USL n. 13. Resiste l'Inail con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria prima dell'udienza del 28 marzo 1995, fissata davanti alla Sezione lavoro. Successivamente la causa è stata assegnata a queste Sezioni unite e l'Inail ha depositato una nuova memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo di ricorso la USL afferma il difetto della giurisdizione ordinaria, per essersi trattato di rapporti previdenziali di cui erano titolari, secondo la stessa sentenza impugnata, pubblici dipendenti, ossia di rapporti soggetti alla giurisdizione amministrativa (art. 7 l. 6 dicembre 1971 n. 1034).

Il motivo non è fondato.

Nella sentenza impugnata il Tribunale ha affermato la giurisdizione ordinaria fondandosi sugli artt. 22 e 23 l. 24 novembre 1981 n. 689, i quali attribuiscono al pretore la competenza sui giudizi d'opposizione contro le ordinanze-ingiunzioni emesse per l'irrogazione di sanzioni amministrative. E' il caso di precisare che nella specie non di sanzioni si tratta ma di crediti per contributi assicurativi non versati, per la cui realizzazione tuttavia l'art. 35, secondo comma, l. cit. permette agli enti previdenziali di servirsi della medesima ordinanza-ingiunzione usata per l'inflizione delle dette sanzioni.

Con la riportata affermazione, però, il Tribunale ha risolto una questione di competenza, invece che quella di giurisdizione sottopostagli. La motivazione tuttavia corrisponde ad una statuizione legittima, onde può essere corretta ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ..

Più volte queste Sezioni unite hanno affermato appartenere alla giurisdizione ordinaria la controversia vertente fra un ente pubblico ed un ente previdenziale ed avente ad oggetto la sussistenza dell'obbligo contributivo, quand'anche sia contestata la configurabilità del rapporto di pubblico impiego in capo al lavoratore assicurato; ciò per la necessaria distinzione del rapporto previdenziale, che ha fonte esclusiva nella legge, dal rapporto di lavoro, che ha fonte in un atto negoziale o in un provvedimento amministrativo, e per la conseguente natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo (Cass. 24 febbraio 1987 n. 1958, 5 febbraio 1991 n. 1076, 13 luglio 1993 n. 7704, le ultime due con riferimento a liti tra Inps e una USL).

Bene, pertanto, la presente causa è stata decisa dal giudice ordinario.

Col secondo motivo la ricorrente afferma che i crediti in questione, aventi ad oggetto i contributi previdenziali, erano assoggettati al regime ordinario della prescrizione dei crediti assicurativi, la quale iniziava a decorrere dal giorno in cui essi avrebbero potuto essere fatti valere e perciò, al più tardi, nel giorno dell'accertamento da parte dell'Inail ed aveva la durata breve di un anno, stabilita nell'art. 2952 cod. civ..

Il motivo è fondato per quanto di ragione ed ancorché sia improprio il riferimento al detto art. 2952.

La materia in questione è specificamente regolata dall'art. 112, secondo comma, d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), il quale così stabiliva nel testo originario: "L'azione (dell'Inail) per riscuotere i premi d'assicurazione ed in genere le somme dovute dai datori di lavoro all'Istituto assicuratore si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui se ne doveva eseguire il pagamento". Il termine di un anno venne elevato a tre anni dall'art. 4 d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, conv. in l. 29 febbraio 1980 n. 33, e poi a dieci anni dall'art. 12 d.l. 30 dicembre 1987 n. 536, conv. in l. 29 febbraio 1988 n. 48.

La disposizione è stata costantemente interpretata dalla Corte nel senso che la prescrizione ivi prevista riguardi l'azione diretta al soddisfacimento di crediti contributivi gia definitivamente accertati e liquidati, restando invece soggetta all'ordinaria prescrizione decennale l'azione, sempre dell'Inail, di accertamento e liquidazione dei medesimi crediti. Percio la prescrizione dell'art. 112 cit. decorrerebbe dalla scadenza nel termine concesso al datore di lavoro per adempiere, ossia dal decimo giorno successivo alla comunicazione, ex art. 44 d.P.R. cit., spedita dall'Istituto all'interessato, dell'accertamento e della liquidazione delle somme dovute (Cass. 14 aprile 1987 n. 3706, 23 marzo 1989 n. 1476, 20 settembre 1990 n. 9588, 14 aprile 1994 n. 3476, 8 ottobre 1994 n. 8236, e numerose altre).

Questa giurisprudenza fu recepita anche dalla Corte costituzionale, la quale escluse che il termine annuale, originariamente previsto dall'art. 112, rendesse troppo difficile all'Inail l'esercizio del diritto di credito e perciò contrastasse con l'art. 24 Cost., "tanto più che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, la prescrizione annuale in esame si riferisce alla sola azione diretta al recupero dei crediti già accertati e liquidati, mentre l'azione diretta all'accertamento ed alla liquidazione di essi deve considerarsi soggetta alla prescrizione ordinaria di dieci anni, decorrenti dall'inizio dei lavori cui attenga l'obbligo assicurativo" (Corte cost. 10 giugno 1982 n. 110).

Malgrado il rilevante numero dei precedenti e l'autorevole avallo del Giudice delle leggi, queste Sezioni unite, dopo aver rimeditato la questione, ritengono che il detto orientamento non possa essere mantenuto.

Anzitutto, infatti, esso introduce una distinzione che non è nella legge.

Questa prevede un termine di prescrizione per il diritto dell'Inail avente ad oggetto il pagamento dei premi, o contributi, assicurativi (che l'art. 112 cit. parli di "azioni" invece che di "diritto", adoperando per inerzia l'espressione dell'art. 2135 cod. civ. 1865 anziché quella dell'art. 2934 cod. civ. 1942, è un dato lessicale irrilevante) e non scinde tale diritto di credito da un diverso diritto alla riscossione, onde il sopra illustrato orientamento giurisprudenziale contravviene ad antichi canoni ermeneutici, secondo cui le figure giuridiche non vanno moltiplicate senza necessità né l'interprete deve distinguere là dove il legislatore non distinse.

Neppure sembra possibile giustificare la distinzione attraverso una plausibile configurazione della situazione giuridica soggettiva anteriore, soggetta al termine di prescrizione di cui all'art. 2946 cod. civ..

A) Essa infatti non può essere considerata come un diritto soggettivo diverso dal credito avente ad oggetto i contributi assicurativi, non essendo ravvisabile un interesse dell'Inail ad accertare e liquidare una somma, isolato dall'interesse ad esigerla.

Potrebbe, in ipotesi, parlarsi di diritto potestativo di emettere un'ordinanza-ingiunzione, ma questo, in quanto diverso dal credito, si prescriverebbe senza possibilità di interruzione stragiudiziale, ossia di costituzione in mora (art. 2945, quarto comma, cod. civ.), in contrasto con quanto affermato dalla sopra riportata giurisprudenza di questa Corte, e in particolare da Cass. 25 luglio 1984 n. 4367 e n. 3476 del 1994 cit..

B) Essa potrebbe essere identificata con lo stesso credito avente ad oggetto i contributi assicurativi, ma ancora maggiori sono le difficoltà di configurare un credito con un doppio termine di prescrizione, uno ex art. 2946 cod. civ. e l'altro ex art. 112 d.P.R. n. 1124/1965. Difficoltà che appaiono più evidenti guardando al periodo anteriore al d.l. n. 536 del 1987, quando il termine ex art. 112 era breve. E infatti:

a) l'interruzione stragiudiziale del termine ex art. 2943 cod. civ. (ad es. attraverso la comunicazione dei verbali ispettivi: cfr. Cass. n. 4367 del 1984 e 3476 del 1994 ult. citt.) segnava l'inizio di un nuovo termine decennale, mentre la notificazione dell'ingiunzione di pagare segnava l'inizio del termine breve ex art. 112: la manifestazione di una più intensa volontà di essere soddisfatto lasciava così al creditore un termine più breve della manifestazione meno intensa, in contrasto con la funzione stessa dell'interruzione, da ravvisare nella comunicazione, da parte del creditore, della persistente volontà di realizzare il proprio interesse e perciò nell'espressione della perdurante vitalità del credito.

b) L'esistenza di due termini di prescrizione - di cui uno, quello ex art. 112, inizi ad arbitrio del soggetto onerato - genera per il debitore prescrivente un'incertezza contraria al fondamento stesso della prescrizione estintiva, che sta nell'esigenza di liberare il soggetto passivo di un rapporto giuridico dal vincolo che lo lega al soggetto attivo dopo un periodo di inerzia di quest'ultimo, di regola considerata obiettivamente; periodo che deve essere determinato con sicurezza dalla legge. Che l'interesse del soggetto passivo alla liberazione dal vincolo - vale a dire l'interesse del proprietario alla liberazione del fondo dal diritto reale limitato, o del debitore dall'obbligazione, o della persona assoggettata dal diritto potestativo altrui - stia al centro dell'istituto della prescrizione civile è oggi generalmente ammesso, anche se nel codice vigente non figura più la chiara definizione dell'art. 2105 cod. civ. 1865, secondo cui "la prescrizione è il mezzo con cui, col decorso del tempo e sotto condizioni determinate, taluno acquista un diritto o è liberato da un'obbligazione": si parla a tal proposito della prescrizione estintiva, sulla base del diritto romano, come di una species adquirendi.

E' evidente come tale fondamento legale resti frustato ove si configurino due termini di prescrizione, dei quali uno con esordio rimesso alla mera volontà del soggetto onerato, ciò che avviene nel caso in cui la vicenda estintiva inizi - secondo l'orientamento qui disatteso - soltanto dal giorno in cui il creditore Inail decida di comunicare i suoi accertamenti e calcoli al debitore.

La necessità di non vanificare la detta ratio legis trova conferma nella giurisprudenza resa da questa Corte nella materia della prescrizione in generale. La Corte infatti è solita affermare che la necessità di atti sollecitatori o comunque preparatori del debitore, oppure difficoltà o ostacoli di fatto nell'esercizio del diritto, non impediscono di regola (un'eccezione vistosa si trova nei crediti di lavoro, a seguito di un'abbondante giurisprudenza costituzionale) l'inizio della prescrizione.

E così non hanno tale effetto impeditivo la non liquidità del credito dovuta a negligenza del debitore (Cass. 7 gennaio 1994 n. 94) o del creditore (Cass. 16 luglio 1975 n. 2794, 18 febbraio 1964 n. 296), o il fatto che il creditore non sia riuscito ad identificare tempestivamente il debitore autore di un illecito aquiliano (Cass. 6 novembre 1976 n. 4054) o che l'avente diritto al risarcimento di un danno da lesione del credito commessa dal terzo, ignori così la lesione come il danno conseguente (Cass. 27 agosto 1990 n. 8797, in materia di inadempimento del datore di lavoro agli obblighi contributivi, che leda il credito del lavoratore alle prestazioni previdenziali) o l'omessa richiesta del creditore al giudice di fissare il termine d'adempimento ex art. 1183 cod. civ. (Cass. 14 marzo 1986 n. 1731) Cass. 8 febbraio 1984 n. 963 considera come meri ostacoli di fatto, non impeditivi del decorso della prescrizione di cui qui si tratta, le omesse comunicazioni del datore di lavoro all'Inail circa le variazioni attinenti al proprio domicilio o alla propria residenza.

In definitiva e, con riferimento al caso specifico qui in esame, che l'adempimento del datore di lavoro debba essere proceduto da una pluralità di atti preparatori, oggetto eventualmente di altrettanti obblighi accessori, o da una serie di atti dell'Istituto, intesi a render possibile l'adempimento e oggetto di altrettanti oneri, è una circostanza che rientra nella fisiologia del rapporto obbligatorio nella sua fase attuativa e che perciò non permette di ravvisare, nella previsione legislativa di un termine di prescrizione, uno sdoppiamento né di situazioni soggettive né di termini prescrizionali, uno dei quali affidato nel suo inizio alle decisioni del titolare onerato. Ciò vale per i comuni rapporti fra soggetti privati, né è ragione per ritenere diversamente nei confronti degli enti previdenziali, che, per la realizzazione dei propri crediti, dispongono anzi di poteri autoritativi d'accertamento ed emettono poi ordinanze di pagamento esecutive.

Tanto premesso, occorre esaminare le disposizioni del d.P.R. n. 1124 del 1965 da cui risulti l'exordium praescriptionis per il credito in questione.

L'art. 12 stabilisce che i datori di lavoro debbono denunciare all'istituto, almeno cinque giorni prima dell'inizio dei lavori, la natura dei lavori stessi, e debbono fornire tutti gli elementi e le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio ed alla determinazione del premio d'assicurazione (primo comma). Quando, per la natura dei lavori o per la necessità del loro inizio, non sia possibile fare la denuncia preventiva, il datore deve provvedere entro cinque giorni (secondo comma). I commi successivi dispongono in ordine alle modificazioni del rischio ed alle variazioni dei dati personali del titolare dell'azienda.

L'art. 28 prevede che premi o contributi siano versati anticipatamente per la durata di un anno solare, o per la minor durata dei lavori, sulla base dell'importo delle retribuzioni che si presume saranno corrisposte (primo comma), potendo l'Istituto consentire la rateazione infrannale (secondo comma). I commi successivi dispongono in ordine ai conguagli, sulla base delle retribuzioni effettivamente pagate.

L'art. 44, primo comma, dice che la prima rata va pagata prima dell'inizio dei lavori e le successive entro dieci giorni dall'inizio del periodo assicurativo.

Da queste disposizioni appare chiaro come il "giorno in cui si doveva eseguire il pagamento", in cui l'art. 112, capoverso, fissa l'inizio della prescrizione, è quello in cui cominciano i lavori, per il credito avente ad oggetto la prima rata, ed il decimo dall'inizio di ciascun periodo, per le rate successive.

Non rileva nella presente causa il decreto del Ministero del lavoro 13 dicembre 1989, in G.U. 27 dicembre 1989 n. 300, richiamato nella memoria del controricorrente. Infatti esso modifica bensì l'art. 44 cit. nel senso di fissare al 20 febbraio di ciascun anno il termine di pagamento delle rate successive alla prima, ma si applica dal 1° gennaio 1991 (punto 4 della delibera Inail ivi approvata) e non concerne perciò i fatti del presente processo, che sono anteriori. Parimenti estraneo alla controversia attuale è il successivo d.m. 23 ottobre 1990, in G.U. 13 novembre 1990 n. 265.

E' pertanto errata in diritto la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile, con riferimento a tutti i periodi a cui si riferivano le pretese creditorie dell'Inail, la prescrizione decennale ex art. 2946 cod. civ., senza neppure precisare il momento di inizio della stessa per ciascun periodo assicurativo ed anzi rifacendosi in modo confuso a vicende iniziate nel 1979 ed ad un verbale ispettivo del 1983 (ma le parti dicono ora anche di un verbale del 1987). Cassata in parte qua la sentenza impugnata, ai dovuti accertamenti provvederà il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Pisa e che si uniformerà al seguente principio di diritto:

"La prescrizione del credito dell'Inail verso i datori di lavoro, avente ad oggetto i premi di assicurazione, ai sensi dell'art. 112, secondo comma, d.P.R. n. 1124 del 1965 ha attualmente una durata decennale, che è stata annuale nel periodo compreso tra l'entrata in vigore del d.P.R. e quella del d.l. n. 663 del 1979, conv. in l. n. 33 del 1980, e triennale tra questa e quella del d.l. n. 536 del 1987, conv. in l. n. 48 del 1988. Essa decorre dall'inizio della lavorazione protetta quanto alla prima rata e dal decimo giorno dall'inizio di ciascun periodo lavorativo (dal 20 febbraio di ciascun anno, a partire dal 1° genn. 1991, ai sensi del d.m. 13 dic. 1989) per le rate successive".

E' opportuno aggiungere che detta prescrizione è soggetta al regime ordinario degli artt. 2935-2945 cod. civ., salva diversa ed espressa disposizione di legge, e così, per esempio, può essere interrotta da atti stragiudiziali che valgano a costituire in mora il debitore, quali la comunicazione dei verbali ispettivi, in quanto il giudice di merito vi ravvisi un'intimazione ad adempiere (Cass. nn. 4367 del 1984 e 3476 del 1994 citt.).

Col terzo motivo la USL nega i rapporti di lavoro cui si fondano, ad avviso del Tribunale, gli asseriti rapporti previdenziali con l'Inail.

Con una prima parte della censura la ricorrente sostiene non avere assolto l'Istituto l'onere di provare il rapporto di lavoro, a ciò non bastando le dichiarazioni interessate, rese dai dipendenti agli ispettori del lavoro, né le notizie fornite da questi nei verbali di ispezione, che sul punto non potevano avere l'efficacia probatoria dell'atto pubblico. la ricorrente aggiunge che "nulla autorizza a ritenere che all'ente furono comunicati gli allegati (scil.: dei verbali d'ispezione) e quindi restava impossibile difendersi in ordine ai compiti affidati a persone di cui non conosceva il nominativo".

La censura non ha alcun pregio.

Il Tribunale afferma nella sentenza impugnata che dal verbale, consegnato in copia all'interessata, risultavano i nomi delle persone svolgenti attività di assistenza sanitaria e sociale "con modalità di lavoro subordinato" e le retribuzioni da loro percepite, nonché le occupazioni, soggette ad assicurazione contro gli infortuni ex art. 1 d.P.R. cit.. Quanto all'efficacia probatoria dei verbali redatti dagli ispettori del lavoro, o comunque dai funzionari degli enti previdenziali, è giurisprudenza costante di questa Corte che essi fanno fede fino a querela di falso, ai sensi dell'art. 2700 cod. civ., solo relativamente alla loro provenienza dal sottoscrittore, alle dichiarazioni a lui rese ed agli altri fatti che egli attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell'inchiesta per averle apprese da terzi o in seguito ad altre indagini, i verbali, per la loro natura di atto pubblico, hanno un'attendibilità non infirmata se non da una specifica prova contraria (Cass. 25 novembre 1992 n. 12545, 29 luglio 1994 n. 7095). Prova contraria che nel corso del giudizio di merito l'attuale ricorrente non ha fornito.

Con una seconda parte della propria censura la USL, diffondendosi su una giurisprudenza amministrativa che ritiene attinente alla fattispecie esaminata dai giudici di merito, nega la configurabilità di rapporti di pubblico impiego tali da giustificare l'obbligo contributivo in questione.

Neppure questa parte della censura può essere condivisa poiché, come si è testé detto, il Tribunale ha ravvisato nelle prestazioni rese dai dipendenti indicati dall'Inail le modalità del lavoro subordinato e perciò ha ritenuto che la datrice di lavoro fosse tenuta all'obbligo di contribuzione antinfortunistica.

Affermazioni che risultano qui incensurabili per le ragioni già illustrate.

In conclusione, e secondo i principi già seguiti nella sentenza 24 marzo 1995 n. 3445, la sentenza impugnata va cassata solo in ordine al motivo attinente alla prescrizione dei crediti dell'Inail mentre vanno rigettate tutte le altre doglianze. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il motivo di ricorso relativo alla prescrizione e rigetta gli altri; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Pisa.

Così deciso in Roma il 12 ottobre 1995.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 3 FEBBRAIO 1996