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giovedì 26 gennaio 2012

LICENZIAMENTO DIRIGENTE - CASS. SENT. N. 11740 DEL 21.05.2007


Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 marzo 2002 il Tribunale di Milano respingeva il ricorso di L.A. nei confronti della s.p.a.
R. diretta all'accertamento della ingiustificatezza del licenziamento intimato il 6 ottobre 1999 ed alla condanna della società al pagamento delle indennità risarcitorie.

A seguito di gravame della L.A., la Corte d'appello di Milano con sentenza del 24 maggio 2004 rigettava il gravame e condannava l'appellante al pagamento delle spese del grado. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava preliminarmente che la nozione di giustificatezza concernente il licenziamento del dirigente non coincide con le nozioni di giusta causa o giustificato motivo, dovendosi tenere conto di tutti gli elementi che nel caso concreto possono ritenersi idonei a privare di ogni giustificazione il recesso ad nutum del datore di lavoro in relazione alla violazione del principio fondamentale di buona fede nella esecuzione del contratto, configurabile quando detto recesso rappresenti l'attuazione di un comportamento puramente pretestuoso, ai limiti della discriminazione, ovvero del tutto irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell'esercizio del diritto.

Circostanze queste ultime non riscontrabili nel caso di specie atteso che, in occasione della sua assunzione, alla L.A. era stato affidato l'incarico di assistente del Presidente dott. R. A., con compiti e responsabilità specifiche di sovrintendenza delle relazioni istituzionali e dei rapporti con F., e per eseguire tutta l'attività istituzionale di F., legata anche essa alla posizione di vice presidente ricoperta dallo stesso dott. R.; mansioni queste che erano tutte caratterizzate da un forte elemento fiduciario. Dopo la morte del R. la vice presidenza in F. non era stata più ricoperta da esponenti R., mentre risultavano riorganizzati anche strutturalmente i compiti e le responsabilità inerenti l'attività di supporto al nuovo Presidente mediante lo staff della nuova dirigenza. La sussistenza, quindi, di una riorganizzazione aziendale, non assoggettabile per il principio della libertà di intrapresa economica ad alcuna valutazione di merito, rendeva giustificato il licenziamento della L.A.. Aggiungeva ancora la Corte milanese che nella lettera di recesso del 16 ottobre 1999 si manifestava inequivocabilmente la volontà della società di esonerare la lavoratrice dal lavoro durante il periodo di preavviso e di corrisponderle l'indennità sostitutiva.

Doveva però trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio secondo cui al preavviso deve essere attribuito carattere reale, sicchè durante il decorso dello stesso, in quanto periodo lavorato, permanevano gli effetti del contratto, e tra questi il potere disciplinare in capo al datore di lavoro perchè la volontà espressa dalla dottoressa L.A. - al momento della consegna della lettera di recesso - di contestare la decisione aziendale e di impugnare il licenziamento escludeva che il diritto al preavviso lavorato potesse tramutarsi in quello alla indennità sostitutiva comportante la cessazione immediata del rapporto.

Avverso tale sentenza L.A. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la s.p.a. R

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione dell'art. 2118 c.c. deducendo che, contrariamente a quanto affermato nella impugnata sentenza, l'obbligo di dare il preavviso non ha una efficacia reale ma soltanto obbligatoria perchè il recedente è titolare di un diritto potestativo di sostituire al preavviso la relativa indennità facendo cessare immediatamente gli effetti del contratto indipendentemente quindi dall'eventuale consenso della controparte.

Con il secondo motivo riguardante un vizio di motivazione circa la ritenuta adesione alla cessazione immediata del rapporto di lavoro la ricorrente deduce in subordine - qualora si intendesse cioè ritenere il preavviso con efficacia reale - che la sentenza impugnata ha errato nell'affermare - anche in considerazione del contenuto della documentazione in atti - che la contestazione della legittimità del recesso volesse significare la volontà di proseguire il rapporto lavorativo e di rinunziare alla indennità di preavviso. Con il terzo motivo si denunzia infine omessa motivazione con riferimento all'art. 2119 c.c. non avendo il giudice d'appello fornito alcuna valutazione in ordine alla configurabilità del comportamento addebitato come giusta causa di licenziamento, rimanendo così "del tutto incomprensibile perchè alla stessa non sia riconosciuto il diritto all'indennità di preavviso". 2. Con il primo motivo la ricorrente sostiene l'efficacia obbligatoria del preavviso affermando che nel caso di specie il recesso ad nutum della società aveva determinato la cessazione del rapporto lavorativo con la conseguenza che doveva riconoscersi ad essa ricorrente la indennità di cui all'art. 2118 c.c..

2.1. E' stato affermato dai giudici di legittimità che non deve dubitarsi dell'efficacia c.d. reale del preavviso, ove nel relativo periodo si presti l'attività lavorativa; in tal caso restano fermi i diritti e gli obblighi facenti capo alle parti. Viceversa nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, altrettanto immediatamente il rapporto si risolve, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva. Infatti l'art. 2118 c.c. non fa cenno alle necessità del consenso della parte non recedente; inoltre sarebbe incongruo richiedere che, per evitare la prosecuzione del rapporto durante il periodo di preavviso, all'atto unilaterale del licenziamento debba necessariamente accedere un accordo bilaterale sulla risoluzione immediata (cfr. in questi precisi termini: Cass. 19 gennaio 2004 n. 741).

2.2. Il riportato pronunciato della Corte di Cassazione è confermativo del principio espresso - in relazione ad una fattispecie di incumulabilità tra cassa integrazione guadagni straordinaria ed indennità sostitutiva di preavviso - dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui alla concezione reale del preavviso osta innanzitutto la definizione legislativa di cui all'art. 2118 c.c. ("indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso") in cui il condizionale di "sarebbe", come non ha mancato di rilevare la dottrina, sottintende una protasi inespressa se fosse proseguito il rapporto durante il periodo medesimo; e ciò esclude la volontà legislativa di intendere il rapporto come proseguito sino al termine del preavviso (in questi testuali sensi: Cass., Sez. Un., 29 settembre 1994 n. 7914).

2.3. Ed ha fatto richiamo al dictum delle Sezioni unite anche una ulteriore decisione di questa Corte che, in linea con un orientamento elaborato in precedenza (Cass. 13 dicembre 1988 n. 6798, Cass. 10 febbraio 1989 n. 831, Cass. 6 luglio 1990 n. 7109, Cass. 25 agosto 1990 n. 8717), ha pure affermato che il periodo di preavviso costituisce prosecuzione del rapporto di lavoro solo nel caso in cui il lavoratore continui nella prestazione della sua attività, e che invece si verifica la interruzione immediata del rapporto di lavoro quando vi sia un accordo in proposito, anche per fatti concludenti, tra i quali l'accettazione senza riserve della indennità sostitutiva, evidenziando come sia contraria alla realtà una prosecuzione del rapporto di lavoro fino alla scadenza del periodo di preavviso quando di fatto non vi sono le prestazioni corrispettive delle parti e queste sono esonerate dall'obbligo di renderle (cfr. così: Cass. 29 luglio 1999 n. 8256, che precisa altresì come anche nella ipotesi di cessazione dell'attività produttiva dell'azienda, in cui pure spetta al lavoratore l'indennità di preavviso, non trovi giustificazione l'affermazione della prosecuzione del rapporto di lavoro sino al termine del periodo di preavviso, e come ad analogo effetto si pervenga quando l'indennità sostitutiva del preavviso sia accettata dal lavoratore, che subito dopo la risoluzione del rapporto trovi altra occupazione).

3. L'indicato indirizzo giurisprudenziale aderisce, quindi - seppure con alcune differenze sul versante motivazionale e delle conseguenze fattuali - alla tesi della c.d. efficacia obbligatoria del preavviso che, condivisa da una parte della dottrina giuslavoristica, configura il preavviso come un istituto volto a trasformare il contratto di lavoro a tempo indeterminato, assegnandogli un termine finale, sicchè il preavviso stesso assume efficacia nei sensi indicati, potendo essere liberamente e discrezionalmente sostituito da una indennità, con l'ulteriore effetto che il rapporto lavorativo deve considerarsi cessato al momento della ricezione dell'atto di recesso, risultando da tale momento ininfluenti eventuali avvenimenti sopravvenuti.

4. Questa Corte ritiene di ribadire questo indirizzo anche se non ignora la contraria opinione, che ha avuto riscontro sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui il preavviso ha un efficacia reale perchè durante tale periodo di tempo continuano in ogni caso a verificarsi tutti gli effetti del contratto (cfr. al riguardo tra le altre: Cass. 9 giugno 1994 n. 5596; Cass. 5 febbraio 1992 n. 1236, cui aderisce, Cass. 26 luglio 2002 n. 11118, che - dopo avere rimarcato che, solo dietro accordo di entrambe le parti a rinunziare alla prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso, può essere consentita la corresponsione di una indennità sostitutiva di preavviso con effetti estintivi immediati - riafferma, in mancanza di detto accordo, il principio dell'efficacia reale del preavviso, con il corollario della piena operatività del rapporto di lavoro e di tutte le obbligazioni connesse fino alla scadenza del termine di preavviso).

4.1. In questa ottica ricostruttiva il preavviso è stato pure equiparato ad un termine, che sospende l'effetto del recesso, per cui durante tutto il suo corso il rapporto lavorativo continua ad essere regolato dalla medesima disciplina che lo regolava prima del recesso e con la piena applicabilità delle norme di legge e dei contratti collettivi sopravvenuti.

5. Ragioni di ordine letterale e logico - sistematico inducono a condividere l'indirizzo volto ad assegnare al preavviso efficacia obbligatoria.

5.1. Ed invero è innegabile che l'art. 2118 c.c. è formulato ("Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando il preavviso...") nel senso di riconoscere in maniera inequivocabile sia al datore di lavoro che al lavoratore il diritto di recedere dal contratto dando il preavviso, ed ancora nel senso di regolare in maniera inequivocabile ed esaustiva tutte le conseguenze della mancanza del preavviso ("In mancanza di preavviso, il ricorrente è tenuto verso l'altra parte ad una indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso"), impedendo così un interpretazione del dato normativo che porti ad ammettere che il rapporto di lavoro continui durante il periodo di preavviso allorquando il datore di lavoro abbia estromesso il lavoratore esternando la sua volontà di recedere dal rapporto lavorativo. E che questo sia il senso chiaro della norma codicistica si ricava anche dall'ultimo comma della stessa norma ("La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione per morte del prestatore di lavoro"), che va letta come disposizione che, nel parificare per l'attribuzione della indennità in esame la fattispecie regolata dai primi due commi a quella del comma 3, attesta in maniera certa la volontà del legislatore di ricollegare il sorgere del diritto all'indennità di preavviso al momento in cui il rapporto di lavoro cessa di avere una qualsiasi perdurante efficacia; momento coincidente con un evento naturale(morte del datore di lavoro) o con un evento negoziale (quale il recesso di una parte del rapporto di lavoro).

5.2. Anche a non volere considerare l'interpretazione letterale della norma - da tutti reputata come elemento favorevole alla tesi della efficacia obbligatoria del preavviso - come di per sè capace di accreditare la suddetta efficacia in base al brocardo in claris non fit interpretatio (in giurisprudenza per la validità di tale criterio, sebbene non legislativamente espresso, sia per quanto riguarda l'ermeneutica del contratto che quella della norma giuridica, vedi ex plurimis: Cass. 13 luglio 2004 n. 12957; Cass. 2 novembre 1995 n. 11392; Cass. 11 agosto 1972 n. 2681, cui adde Cass. 12 giugno 1963 n. 1568, secondo cui è fondamentale canone di ermeneutica, fissato dall'art. 12 preleggi, che la norma giuridica deve essere interpretata innanzi tutto e principalmente, dal punto di vista letterale, non potendosi al testo "attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato fatto proprio dalle parole secondo la connessione di esse"), sussistono ragioni di ordine logico - sistematico che portano ad escludere la portata reale dell'istituto scrutinato.

5.3. E' opinione di comune condivisione che l'istituto del preavviso risponde all'elementare esigenza che, nel contratto a tempo indeterminato, la parte receduta non si trovi all'improvviso di fronte alla rottura del contratto affinchè, in caso di dimissioni, il datore abbia il tempo per sostituire il collaboratore e, in caso di licenziamento, il lavoratore non sia improvvisamente privato dei beni della vita che dal posto di lavoro derivano e abbia tempo per trovarsi altra occupazione (cfr. in giurisprudenza per analoga affermazione; Cass., Sez. Un., 29 settembre 1994 n. 7914 cit).

5.4. Orbene, va in primo luogo rilevato che se si volesse riconoscere efficacia reale al preavviso, imponendo una continuazione del rapporto lavorativo in ogni caso di recesso (e specificatamente anche nelle ipotesi di assenza di una comune volontà in tali sensi), si finirebbe per legittimare una soluzione incompatibile con l'assetto ordinamentale dell'epoca della codificazione, che si caratterizzava - stante la mancanza di una articolato sistema di garanzia in termini di tutela (obbligatoria o reale) del posto di lavoro - per un generale riconoscimento del principio del recesso ad nutum. La norma scrutinata - la cui lettura non può, è necessario ribadirlo, prescindere dal contesto temporale in cui è stata emanata - si collegava quindi ad un sistema in cui era ancora evidente l'intento del legislatore di garantire la libertà dell'individuo da vincoli di soggezione a durata indeterminata ed in cui si riscontrava - come è stato pure evidenziato - una logica simmetrica tra la costituzione e la cessazione del rapporto di lavoro, nel comune segno della libera determinazione ad opera della volontà delle parti.

6. Alla stregua delle considerazioni svolte questa Corte ritiene che non occorre il consenso di entrambe le parti per impedire la prosecuzione del rapporto sino alla scadenza del termine di preavviso, potendosi pervenire a tale risultato anche unilateralmente, e cioè da parte del solo recedente (contra però in maniera espressa anche: Cass. 7 ottobre 1975 n. 3190).

6.1. Ed invero, nel caso di specie si viene a configurare una obbligazione alternativa in capo alla parte recedente perchè questa - nel rispetto della lettera e della ratio dell'art. 2118 c.c. - può, nell'esercizio di un diritto potestativo, recedere dal rapporto con effetti immediati dietro l'obbligo verso la parte receduta di una "indennità equivalente all'importo della prestazione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso", o può acconsentire, allorquando ne abbia interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso.

6.2. A ben vedere una tale soluzione fatta propria dal legislatore codicistico - talvolta contrattualmente recepita dall'autonomia sindacale attraverso clausole volte a consentire in determinati casi il recesso senza preavviso con pagamento della indennità sostitutiva e con effetto risolutivo immediato (per la legittimità di tali clausole cfr.: Cass. 7 settembre 1981 n. 5054 avente ad oggetto le clausole del contratto collettivo per le aziende di credito) - determina un accostamento della nozione giuridica del preavviso a quella propria della scienza economica, dove è, come è stato notato, molto diffusa la considerazione dell'onere del preavviso come un puro e semplice firing cost aggiuntivo rispetto all'indennizzo solitamente comminato per il licenziamento ingiustificato.

7. Quanto ora detto induce ad ammortizzare ogni timore che possa sorgere sul piano garantistico e di tutela del lavoratore.

Ed infatti, in una ottica di doverosa disaggregazione della normativa sul preavviso da quella sul licenziamento, regolante il recesso del datore di lavoro, il danno subito dal lavoratore (illegittimamente licenziato) - ad esempio: per non avere potuto godere di un nuovo e più favorevole trattamento normativo intervenuto durante il periodo di preavviso - che non risulta coperto stante la natura retributiva della indennità ex art. 2118 c.c., comma 2, (cfr. per la natura retributiva di tale indennità: Cass., Sez, Un., 29 settembre 1994 n. 7914 cit.; in una ottica risarcitoria, limitativa però dei danni, non liquidabili oltre l'ammontare della suddetta indennità, vedi: Cass. 18 febbraio 1960 n. 279; Cass. 21 luglio 1956 n. 2841) è suscettibile di trovare pieno ristoro nell'ambito della tutela risarcitoria garantita in maniera specifica dall'art. 18 stat. lav. o in via generale dall'art. 2043 c.c..

7.1. E che la soluzione seguita si lasci preferire perchè risponde oltre che, come visto, all'assetto ordinamentale dell'epoca in cui la norma codicistica è stata emanata, anche a quello attuale, risulta con chiarezza solo che si consideri che, ogni volta che il legislatore ha inteso rendere operativo un rapporto lavorativo (non più assistito dalla comune volontà delle parti ed in cui venga conseguentemente a cessare la corrispettività tra prestazione lavorativa e retribuzione) sino in qualche misura ad assimilarlo sul piano meramente fattuale ad un rapporto valido ed efficace, ha perseguito tale finalità, in caso di illegittimità della condotta, sanzionando il datore di lavoro attraverso il riconoscimento della nullità assoluta (cfr. ad esempio: art 2 legge 9 gennaio 1963 n. 7) o della invalidità (attraverso l'esercizio di una azione costitutiva; cfr. ad esempio: art. 18 stat. lav.) del rapporto lavorativo, e nel caso in cui non si riscontri, invece, alcuna condotta addebitabile, recuperando - in un ottica di bilanciamento di interessi contrapposti ma ugualmente protetti a livello costituzionale - in termini di efficacia un rapporto che risulta sospeso in ragione del venir meno della corrispettività tra retribuzione e prestazione lavorativa (cfr. art. 2110 c.c.).

8. Consegue da quanto sinora detto che il ricorso va accolto.

Ed invero nella presente controversia - il cui thema decidendum risulta orami limitato, stante il contenuto delle censure di cui al ricorso, soltanto all'esame della fondatezza della domanda della indennità di preavviso - come è stato accertato dalla impugnata sentenza la società ricorrente ha receduto dal rapporto di lavoro unilateralmente, manifestando con la lettera di recesso l'intento di non proseguire il rapporto con la L.A. e di corrisponderle la relativa indennità sostitutiva. Da nessun atto processuale, inoltre, risulta la volontà della suddetta L.A. di rinunziare all'indennità di preavviso e di volere continuare il rapporto non potendo dalla mera dichiarazione di impugnare il licenziamento evincersi una tale volontà, che può trovare fondamento in altra autonoma e distinta causale.

9. Per concludere, l'esposto iter argomentativo comporta - contrariamente a quanto statuito dal giudice di merito sul presupposto della efficacia reale del preavviso - l'accoglimento della domanda della suddetta L.A.., con l'assorbimento delle non esaminate censure di cui al secondo e terzo motivo del ricorso.

10. Ai sensi dell'ari 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia va decisa nel merito con la condanna della s.p.a. Ricordati - Industria Chimica e Farmaceutica - al pagamento delle somma di Euro 63.214,32 a titolo di indennità di preavviso, oltre alla rivalutazione monetaria dalla data del licenziamento e agli interessi sulla somma rivalutata come per legge.

11. Ricorrono giusti motivi - tenuto conto della natura della controversia e delle questioni trattate - per compensare interamente tra le parti le spese dell'intero processo.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito condanna la società ricorrente al pagamento a favore di L.A. della somma di Euro 63.214,32 a titolo di preavviso oltre alla rivalutazione monetaria dalla data del licenziamento nonchè agli interessi legali sulla somma rivalutata.

Compensa tra le parti le spese dell'intero processo.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2007.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2007