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giovedì 22 dicembre 2011

CASSAZIONE - SEZ. LAVORO - SENTENZA N. 5555 DEL 09.03.2011



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.Q.M.

CASSAZIONE - SEZ. LAVORO - SENTENZA N. 5555 DEL 09.03.2011
(OMISSIS)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. Con sentenza del 5 novembre 2004 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la domanda di L.P.S., intesa all'annullamento del licenziamento intimatogli dalla Banca Commerciale Italiana (divenuta poi Banca Intesa s.p.a. e, infine, Intesa Sanpaolo s.p.a.) in data 2 luglio 1997. In particolare, al dipendente, investito di funzioni di responsabilità in diverse filiali della banca, erano state contestate diverse inadempienze, emerse in sede ispettiva, specialmente in relazione alla concessione di finanziamenti irregolari e con finalità improprie; egli aveva dedotto la inesistenza di alcuna infrazione, rilevando che, in realtà, il licenziamento aveva carattere ritorsivo, essendo riconducibile a contrasti insorti con il condirettore della filiale di (OMISSIS) circa la gestione del credito in relazione a determinati gruppi finanziari.

2. La decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame proposto dal L.P.. La Corte territoriale, alla stregua degli accertamenti emersi in giudizio, riteneva determinante il comportamento del dipendente, realizzato mediante diversi episodi, da cui era risultato che il L.P. aveva posto in essere non solo violazioni delle regole di condotta imposte da prescrizioni regolamentari interne, ma anche infrazioni che, per la frequenza e la molteplicità, erano divenute espressione di un modus agendi sistematico, sì che diventava superflua ogni indagine sulla eventuale sussistenza di motivi ritorsivi. I giudici d'appello sottolineavano, in modo specifico, le violazioni accertate in relazione alla irregolare negoziazione di numerosi assegni e alla concessione irregolare di finanziamenti e mutui ipotecari, stipulati per l'acquisto di appartamenti di cui i richiedenti erano già proprietari, ovvero concessi in presenza di gravi irregolarità edilizie o di situazioni patrimoniali prive di alcun affidamento, o, ancora, richiesti per il completamento e la ristrutturazione di alcuni immobili e finalizzati, in realtà, a ripianare posizioni debitorie dei richiedenti; rilevavano altresì la inammissibilità della deduzione di non immediatezza del licenziamento, in quanto non formulata nel ricorso introduttivo.

3. Di questa decisione il L.P. domanda la cassazione deducendo cinque motivi di impugnazione, illustrati con successiva memoria, cui resiste la Intesa Sanpaolo s.p.a. (già Banca Commerciale Italiana s.p.a.).

MOTIVI DELLA DECISIONE



1. Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e L. n. 300 del 1970, art. 15, in relazione alla L. n. 108 del 1990, art. 3 e artt. 1344 e 1324 c.c.. Si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto l'irrilevanza del carattere ritorsivo del licenziamento, in riferimento all'origine della contestazione, limitandosi a considerare semplicemente la oggettiva esistenza degli addebiti contestati senza alcuna valutazione della incidenza del motivo ritorsivo.

2. Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente sottolinea come la contestazione sia conseguita ad una ispezione disposta immediatamente dopo che egli si era dissociato dalle modalità di gestione di un gruppo finanziario, segnalando la necessità di una denuncia "antiriciclaggio". 3. Con il terzo motivo si lamenta che non sia stata esaminata l'eccezione di non immediatezza del licenziamento, sull'erroneo presupposto della novità della deduzione, mentre, in realtà, la medesima era stata già precedentemente formulata, in sede di procedimento cautelare in corso di causa.

4. Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione. Si lamenta che la Corte d'appello non abbia adeguatamente valutato deduzioni, istanze e risultanze istruttorie, testimoniali e documentali, riguardanti le operazioni bancarie relative agli addebiti contestati, e ciò, in particolare, con riferimento a diverse pratiche di mutuo, finanziamento e gestione di conti bancari.

5. Con il quinto motivo si lamenta l'omessa valutazione della gravità dei comportamenti addebitati e della proporzionalità, o meno, del licenziamento in relazione alle violazioni accertate.

6. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per l'intima connessione delle relative censure, non dono fondati.

Secondo il consolidato principio enunciato da questa Corte l'intento ritorsivo deve avere avuto un'efficacia, non solo determinativa, ma anche esclusiva, in relazione alla volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di un provvedimento legittimo di licenziamento (cfr. Cass. n. 10047 del 2004; n, 18283 del 2010). Risulta del tutto ininfluente, con tale presupposto, che le contestazioni mosse al dipendente siano state originate da un'ispezione che sarebbe stata disposta, a suo dire, come reazione ingiusta a sue segnalazioni circa la gestione di "gruppi finanziari" di dubbia provenienza, non essendo affatto necessario procedere, come invece sostiene il ricorrente, ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, cioè quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad inadempienze emerse in sede ispettiva.

7. Anche il terzo motivo è infondato. Dagli stessi riferimenti del ricorrente alla lettera di contestazione (allegata e inserita nel corpo del ricorso), nonchè dall'accertamento compiuto dalla decisione impugnata, emerge che il licenziamento era conseguito all'instaurazione di un procedimento disciplinare ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7, così configurandosi, non solo ontologicamente, ma anche formalmente, come una sanzione espulsiva di carattere disciplinare (in riferimento alla quale, comunque, la banca resistente rileva, puntualmente, la tempestività, in relazione alla complessità delle risultanze ispettive); ne consegue, in maniera assorbente, la operatività del principio - richiamato dallo stesso ricorrente - della necessaria deduzione in giudizio, da parte del lavoratore, della non immediatezza della sanzione, ovvero della contestazione degli addebiti (cfr. ex multis Cass. n. 8264 del 2005).

Nè rileva, per escludere la novità della questione posta in appello, la sua eventuale proposizione nel giudizio cautelare, sia pure instaurato in corso di causa, stante la autonomia dei due giudizi, di cui quello cautelare attiene ad un'istanza meramente strumentale (cfr. Cass. n. 22830 del 2010), sì che la novità, o meno, ai sensi dell'art. 437 c.p.c., va valutata dal giudice esclusivamente in relazione al contenuto della domanda proposta ai sensi dell'art. 414 c.p.c., non essendo neanche consentito introdurre la nuova questione nel corso del giudizio di primo grado ex art. 420 c.p.c..

8. Infondato è anche il quarto motivo. Nella decisione della Corte d'appello l'apprezzamento relativo al comportamento del L.P. è scaturito, in concreto, dalla analitica valutazione delle risultanze indicate, con riferimento all'obbligo di fedeltà e correttezza insito nelle mansioni svolte all'interno della banca. In particolare, la violazione di tale obbligo è stata riferita ad alcuni specifici comportamenti del dipendente, ritenuti con esso incompatibili. In relazione a tali circostanze, le critiche del ricorrente si compendiano in deduzioni inammissibili rispetto alla valutazione operata dalla decisione impugnata. In particolare, si insiste sulla assenza di responsabilità in alcune procedure di concessione di crediti personali e di apertura di conti correnti, in ragione del comportamento della banca e dell'asserita osservanza delle circolari interne, nonchè della inattendibilità di alcuni testimoni, ma, da un lato, si finisce per contrapporre una propria valutazione della prova rispetto alla valutazione adottata dai giudici di merito e, dall'altro, si censura, inammissibilmente, la valutazione operata dal giudice circa l'attendibilità dei testimoni e la autenticità e decisività delle prove documentali. Ugualmente, per quanto concerne le operazioni di mutuo ipotecario, il ricorrente sostiene, e ribadisce, la avvenuta dimostrazione della regolarità dei suoi comportamenti, nonchè l'infondatezza delle contestazioni, fondandosi su dati e circostanze che implicano accertamenti di fatto, ovvero il riesame e la nuova valutazione di risultanze documentali o condotte processuali; parimenti inammissibili si rivelano le censure sollevate in ordine ad altre specifiche operazioni, relative a contestati favoritismi e irregolarità nella gestione di conti correnti e nella negoziazione di titoli, anch'esse fondate sulla asserita falsità e inattendibilità delle testimonianze assunte e dei documenti acquisiti, ovvero sulla mera reiterazione di deduzioni in fatto già formulate in sede di merito, come nel caso della contestazione relativa a "scoperture" indebitamente concesse.

9. Infondato, infine, è il quinto motivo, relativo al giudizio di gravità delle condotte contestate. La decisione impugnata, difatti, contiene una esplicita valutazione del comportamento del ricorrente, esaminato sia in relazione alle singole operazioni, sia nel suo complesso, con l'espressione di un giudizio di gravità riferito alle condotte specifiche e alla molteplicità e frequenza delle medesime, tali da configurare un modo di agire sistematico, idoneo a far venire meno la fiducia del datore di lavoro, specialmente in relazione alle funzioni di responsabilità rivestite dal dipendente.

10. In conclusione il ricorso è respinto. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio, secondo soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 35,00 per esborsi e in Euro tremila per onorario.